Prigioniere palestinesi nelle carceri israeliane in condizioni “dure e dolorose”

MEMO. Condizioni “dure” e “dolorose” attendono le donne palestinesi detenute nelle prigioni israeliane, ha dichiarato domenica un avvocato che parla a nome del comitato per i prigionieri ed ex-detenuti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
Secondo Hanan Al-Khatib, che ha visitato sabato 11 novembre la prigione di al-Damun, le autorità d’occupazione israeliane “isolano completamente i prigionieri dal mondo esterno”.
 
Ha aggiunto che alle donne detenute vengono impedite le visite familiari sotto il pretesto della sicurezza, in particolare dei loro figli maggiori, che hanno il divieto di visitarle. Vengono anche messe in isolamento ed esposte a perquisizioni “umilianti” ed altre “misure provocanti”.
 
Il trattamento, ha sottolineato al-Khatib in un comunicato stampa, inizia nel furgone sulla strada per la prigione, con “insulti sporchi” contro le prigioniere. Poi fanno seguito il sovraffollamento e le umiliazioni durante il trattamento medico: fino a 22 prigioniere possono essere incarcerate dentro due celle.
 
Il comitato dell’OLP ha osservato che le condizioni sanitarie e psicologiche delle detenute sono “difficili e dolorose”. Il servizio penitenziario israeliano, si presume, provoca intenzionalmente tali sofferenze.
Citando l’esempio di Nisrin Hassan Abdullah di Gaza, il comitato ha affermato che è madre di sette figli ed è in carcere dal 2015. Non ha ricevuto nessuna visita da allora e non le è stato permesso di vedere alcun familiare.
 
Khadija Raba’i, dalla Cisgiordania occupata, è madre di sei figli. Le forze di occupazione israeliane hanno attaccato i suoi figli quando l’hanno arrestata. È in prigione con una detenzione amministrativa, senza accusa o processo.
Traduzione di F.H.L.