
Presstv.ir Di Alireza Akbari. Dopo aver languito nelle prigioni israeliane per 23 anni, i fratelli palestinesi Ibrahim, Musa e Khalil Sarahneh sono finalmente liberi, rilasciati nella sesta fase dell’accordo di scambio noto come Toufan al-Ahrar (Alluvione dei liberati).
I fratelli Sarahneh erano tra i 369 detenuti palestinesi liberati nella sesta fase di un accordo di cessate il fuoco tra il gruppo della resistenza di Gaza Hamas e Israele, il 15 febbraio. Il loro rilascio ha portato il numero totale di palestinesi liberati nell’ambito dell’accordo di scambio a 1.138 negli ultimi due mesi.
Originari della città di Silwan, nell’occupata Al-Quds (Gerusalemme), i fratelli Sarahneh sono scesi da un autobus all’ospedale europeo di Khan Younis, dove centinaia di palestinesi si erano radunati per salutare il loro ritorno.
Il rilascio dei rapiti palestinesi è avvenuto dopo che Hamas aveva consegnato, nelle ore precedenti, tre prigionieri israeliani alla Croce Rossa. Lo scambio è avvenuto sotto la supervisione delle Brigate Izz el-Din al-Qassam e Saraya al-Quds, rispettivamente braccia armate di Hamas e della Jihad islamica.

Mentre Khalil veniva deportato in Egitto, i suoi fratelli Ibrahim e Musa sono stati immediatamente trasferiti in ospedale a causa delle gravi condizioni di salute.
La Mezzaluna Rossa Palestinese ha confermato che il suo staff medico ha trasportato quattro rapiti appena liberati dal sito di accoglienza di Ramallah alle strutture mediche, tra questi Ibrahim e Musa.
Testimoni oculari e bollettini medici hanno descritto molti degli uomini liberati come visibilmente indeboliti e sofferenti, con segni di grave malnutrizione e maltrattamenti fisici. Per alcuni di loro sono state necessarie cure mediche urgenti.
Tra i liberati c’era Abdul Karim Mushtaha, che ha parlato a nome dei suoi compagni rapiti. “Il nostro vero compleanno non è il giorno in cui siamo nati. Il nostro vero compleanno è il giorno in cui siamo stati liberati dalla prigione e dall’oppressione del carceriere”, ha affermato.
“Un anno e più di sofferenze e privazioni, di malattie senza cure, di dolore”, ha aggiunto, sottolineando le difficoltà sopportate dai detenuti palestinesi nelle carceri dell’occupazione israeliana.

Tra i rilasciati c’era Adel Subaih, che ha espresso sollievo e gioia per la sua liberazione. “Non riesco a credere di essere a Gaza… mi hanno amputato la gamba con la forza”, ha detto Subaih, mentre le lacrime gli rigavano il viso.
Poco dopo il suo rilascio è emerso un video, divenuto virale, nel quale appariva Subaih che faticava a camminare con l’aiuto di un bastone, i suoi movimenti lenti e faticosi a causa dell’amputazione di una gamba.
Molti altri rapiti mostravano segni visibili di tortura, con graffi, ferite e volti raggrinziti, chiari indicatori della negligenza medica e degli abusi fisici che hanno subito nelle prigioni dell’occupazione israeliana.
I fratelli Sarahneh – Ibrahim, Khalil e Musa – del campo profughi di Dheisheh, sono stati tutti condannati all’ergastolo nelle prigioni israeliane, con Ibrahim condannato a sei ergastoli.
Membri attivi delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa durante l’Intifada di Al-Aqsa, tutti e tre sono stati arrestati e condannati da Israele per il loro ruolo nei gruppi della resistenza. Anche la moglie di Ibrahim, Irina Sarahneh, cittadina ucraina, è stata rapita e minacciata di deportazione, ma ha scelto di rimanere in Palestina. Irina è stata infine liberata nello scambio di Wafa al-Ahrar del 2011, riunendosi alle due figlie, Ghazala e Yasmine.
Iyad Haribat, di Sakaka vicino a Dura, a sud di Al-Khalil, è un altro detenuto la cui sofferenza sottolinea la brutalità che hanno dovuto affrontare i detenuti palestinesi.
Haribat, condannato all’ergastolo per il suo coinvolgimento nelle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, ha sopportato gravi negligenze mediche e molteplici tentativi di assassinio sotto la custodia israeliana. Imprigionato dal 2002, la sua salute è peggiorata drammaticamente.

Nel 2014, è stato messo in isolamento per otto mesi e, a quanto si dice, gli è stata iniettata una sostanza sconosciuta. Dopo il rilascio, non è più stato in grado di riconoscere né sua madre né suo fratello.
Le condizioni di Haribat sono peggiorate nel corso degli anni. Nel 2017, la sua salute si è notevolmente aggravata a seguito di un attacco subito in carcere, e nel 2021 ha sviluppato un’infezione settica che ha richiesto cinque interventi chirurgici.
Samir Ghaith, del quartiere di al-Thawri nella zona occupata di Al-Quds, è stato liberato dopo la condanna all’ergastolo nelle prigioni israeliane. Incarcerato dal 2002 all’età di 18 anni, Ghaith è stato condannato all’ergastolo con l’aggiunta di altri 20 anni. Nonostante le dure condizioni, è riuscito a ottenere il diploma di scuola superiore dietro le sbarre e ha partecipato a diversi scioperi della fame per protestare contro la sua incarcerazione.
È stato sottoposto a isolamento e frequenti trasferimenti come ritorsione per il suo attivismo. Purtroppo, non è riuscito a dire addio al padre, morto mentre Ghaith era ancora in carcere.

Mahmoud Abu Wahdan, del campo profughi di Balata nella città di Nablus, Cisgiordania occupata, è stato rilasciato dopo aver trascorso più di 23 anni nelle prigioni israeliane.
Era stato condannato a tre ergastoli a causa della sua attività nella resistenza con le Brigate Abu Ali Mustafa, l’ala militare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Durante la sua prigionia, Abu Wahdan ha sofferto a causa della negligenza medica e degli abusi, tra cui lunghi periodi di isolamento e il rifiuto delle visite da parte dei familiari per anni.

Mansour Shreim, della città di Tulkarem nella Cisgiordania occupata, era in carcere dal 2002, dove i tribunali dell’occupazione lo hanno condannato a 14 ergastoli più 50 anni per il suo ruolo di leader nelle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, l’ala militare del movimento Fatah, durante l’Intifada di Al-Aqsa.
Shreim era stato un bersaglio delle forze di occupazione israeliane fin dal 2000 ed era stato sottoposto a pesanti torture durante i suoi quattro mesi di interrogatorio.
Il periodo che ha trascorso in carcere è stato caratterizzato da lunghi periodi di isolamento, tra cui periodi dal 2003 al 2009 e dopo il 2011. Nel 2014, è stato nuovamente sottoposto a interrogatori e torture per mesi. Shreim è comunque riuscito a conseguire la laurea triennale durante la sua detenzione, dimostrando una resilienza esemplare.
È il fratello dei martiri Mamoun e Nashat, quest’ultimo martirizzato nel 1998 sotto tortura mentre era detenuto dagli israeliani. L’altro fratello, Thaer, rimane imprigionato.

Ahmed Abu Khader, di Silat al-Dhahr vicino a Jenin, Cisgiordania occupata, è stato rilasciato dopo aver trascorso 23 anni nelle prigioni di occupazione israeliane.
Arrestato nel 2002 dopo essere stato ferito alla gamba durante uno scontro con le forze israeliane a Tubas, la salute di Abu Khader è peggiorata notevolmente a causa delle complicazioni dovute alle ferite riportate.
Leader delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa sia a Jenin che a Nablus, Abu Khader è stato condannato a 11 ergastoli più 50 anni. Durante la prigionia, i suoi genitori sono stati incrollabili nel loro sostegno, partecipando attivamente agli sforzi per aumentare la consapevolezza sui palestinesi che languono nelle carceri israeliane.

Mohammed Musleh e Ahmed Barghouti si sono nuovamente riuniti dopo essere stati liberati in Egitto e dopo aver trascorso 23 anni nelle prigioni israeliane, condannati a numerosi ergastoli. Il loro rilascio rappresenta un grande momento di liberazione, dopo anni di difficoltà e separazione.
Abdel-Rahman Musleh, del quartiere Umm al-Sharait ad al-Bireh, è stato imprigionato dalle forze israeliane per 24 anni, dal febbraio 2001. È stato condannato a nove ergastoli più 50 anni per il suo ruolo nella resistenza all’occupazione con le Brigate dei martiri di Al-Aqsa, durante l’Intifada di Al-Aqsa.
Oltre al prezzo della sua prigionia, le forze di occupazione israeliane hanno demolito la sua casa, che ospitava sua moglie e il figlio di quattro mesi, Ahmed. Durante la sua incarcerazione, Musleh ha sopportato condizioni difficili, tra cui il divieto di visite da parte della moglie per diversi anni. Sua madre è morta nel 2017 e gli è stata negata la possibilità di dirle addio.
Musleh ha un forte legame con Barghouti, essendo compagni e amici stretti anche prima del suo arresto.
Mohammed Nayfeh, della zona di Shweikeh a nord di Tulkarem, è stato liberato dopo 23 anni di carcere. Nayfeh è stato condannato a 14 ergastoli nelle prigioni israeliane da tribunali militari per la sua leadership nelle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, durante l’Intifada di Al-Aqsa.
Dal suo arresto, avvenuto nel 2002, la vita di Nayfeh dietro le sbarre è stata segnata da gravi privazioni. Gli sono state ripetutamente negate le visite dei familiari, è stato messo in isolamento e sottoposto a dure condizioni.
Nel 2011, è stato trasferito nella prigione di al-Jalameh per essere interrogato, dopodiché sono stati aggiunti nove mesi alla sua già lunga condanna.

Nonostante le condizioni brutali, Nayfeh è rimasto un simbolo di resilienza, continuando a lottare contro la sua ingiusta prigionia.
Amjad Taqatqa, di Beit Fajjar a Betlemme, è stato rilasciato dopo aver trascorso 23 anni nelle prigioni israeliane. Arrestato nel 2002, Taqatqa è stato separato dalle sue due giovani figlie: all’epoca, la più grande, Samah, aveva solo un anno e mezzo, e la più piccola, Anaheed, aveva solo tre mesi.
Ha sopportato otto mesi di intensi interrogatori, durante i quali è stato accusato di aver reclutato e addestrato il martire Andaleeb Taqatqa che ha condotto un’operazione ad Al-Quds occupata causando la morte di sei coloni e il ferimento di altri 85.
Durante la sua prigionia, Taqatqa ha anche dovuto affrontare diversi periodi di isolamento.

Nael Obeid, di Issawiya, area occupata di Al-Quds, si è potuto riunire alla madre dopo aver trascorso 21 anni nelle prigioni israeliane. Obeid stava scontando nove ergastoli e la casa della sua famiglia è stata ripetutamente attaccata dalle forze di occupazione israeliane per intimidire e minacciare i suoi familiari.
Nonostante questa repressione, Obeid è tornato a casa, per poi ritrovarsi circondato dai soldati del regime israeliano che hanno tentato di intimidire sia lui che la comunità. In precedenza, le forze israeliane avevano fatto irruzione nella sua casa, facendo uscire tutti i parenti che non erano considerati “familiari di primo grado”.
Imprigionato dal 2004, Obeid era stato condannato a sette ergastoli più 30 anni.

Durante il periodo di detenzione, è stato spesso tenuto in isolamento, in molti casi come ritorsione per il coinvolgimento in scioperi della fame e per le proteste col movimento dei prigionieri.
Samer Abu Kwaik, del campo di Al-Amari vicino a Ramallah, ha potuto tenere in braccio per la prima volta suo figlio neonato, dopo il suo atteso rilascio. Suo figlio, nato nel 2023, è stato concepito utilizzando sperma di contrabbando.
Abu Kwaik, che ha trascorso 23 anni nelle prigioni israeliane condannato a tre ergastoli più 25 anni, è stato arrestato nel 2002 per il suo ruolo nelle Brigate dei martiri di Al-Aqsa e per la resistenza contro il regime israeliano.
Durante la sua prigionia, ha dovuto affrontare gravi negligenze mediche e problemi di salute. Nel 2016, mentre era ancora in carcere, ha sposato Shireen Shamasneh della città di Ramallah, Cisgiordania occupata, e insieme hanno accolto il loro figlio nel 2023, rendendolo il 119° “Ambasciatore della libertà”.
Waddah Ali al-Bazra, della città di Nablus nella Cisgiordania occupata, era in carcere dal 2002, dove era stato condannato a tre ergastoli per il suo ruolo nelle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, con la Seconda Intifada.
Durante il periodo trascorso in prigione, al-Bazra ha partecipato attivamente a scioperi della fame e proteste. Gli è stata negata la possibilità di dire addio alla madre prima della sua morte, così come le visite dei familiari.
Nonostante abbia sopportato un forte dolore fisico dovuto a un’ernia gastrica e a un’infiammazione, ha completato la sua laurea triennale. Suo fratello, Firas, e suo cugino, Basil, sono entrambi ex prigionieri.
Amir Abu Radha, del campo profughi di al-Amari vicino a Ramallah, aveva solo 15 anni quando è stato condannato all’ergastolo nel 1990, diventando il più giovane palestinese ad aver mai ricevuto una simile condanna dai tribunali-farsa israeliani.
Dopo essere stato rilasciato in uno scambio di prigionieri nel 2000, Abu Radha è stato nuovamente arrestato nell’aprile 2002 e condannato all’ergastolo più altri 30 anni. Durante la sua prigionia, ha perso entrambi i genitori e ha sofferto gravi problemi di salute, esacerbati dalla negligenza medica delle autorità carcerarie israeliane.
Suo fratello, Musa, è stato rilasciato a gennaio e ora i due attendono l’eventuale rilascio di Amir.

Khaled al-Shouli, di Asira al-Shamaliya vicino a Nablus, è cresciuto insieme alla madre e ai due fratelli, e in giovane età è stato coinvolto nell’Intifada palestinese del 1987.
A soli 16 anni, è stato arrestato insieme ai suoi fratelli e ha trascorso tre anni nelle prigioni israeliane prima di essere rilasciato. È stato nuovamente arrestato meno di un anno dopo, per essere poi liberato nuovamente in seguito alla firma degli Accordi di Oslo.
Nel 2000, durante l’Intifada di Al-Aqsa, al-Shouli è stato ferito dalle forze israeliane. Un proiettile gli si è conficcato nella spina dorsale, causandogli gravi ferite e lasciandolo con una disabilità a lungo termine alla gamba destra.
Le forze di occupazione lo hanno perseguitato per due anni con l’accusa di aver ferito due soldati israeliani e lo hanno catturato nel 2003. Ha sopportato oltre 75 giorni di tortura durante il suo interrogatorio, venendo infine condannato all’ergastolo.

Durante la sua prigionia, ad al-Shouli sono state negate le visite dei familiari e sua madre è morta senza mai poterlo rivedere.
Dopo aver scontato 23 anni nelle prigioni israeliane, condannato a tre ergastoli più altri 20 anni, anche Murad al-Ajlouni è stato liberato sabato 15 febbraio. Originario di Kafr Aqab, nella zona occupata di Al-Quds, al-Ajlouni era stato imprigionato nel 2002, e condannato per le attività nella resistenza con le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, durante l’Intifada di Al-Aqsa.
Contemporaneamente, Osama al-Ashqar, 42 anni, anch’egli detenuto dal 2002 e condannato a otto ergastoli, ha subito una notevole trasformazione. Una recente immagine del prigioniero rilasciato rivela il peso e i segni dovuti alla sua incarcerazione.
Al-Ashqar, come tanti altri palestinesi, dopo essere uscito dalle prigioni israeliane è stato esiliato, costringendolo ad affrontare, oltre alle cicatrici fisiche, anche quelle psicologiche dovute agli anni di prigionia.
Il detenuto palestinese Ghaleb Al-Radi, del nord di Gaza, è stato rilasciato nell’ambito dell’accordo di scambio dei prigionieri, ma i segni visibili di torture sul suo corpo hanno destato preoccupazioni. Le sue precarie condizioni di salute e fisiche indicano che ha dovuto sopportare circostanze difficilissime nelle carceri di Israele, aggiungendosi alle altre numerose segnalazioni di maltrattamenti riferite dai detenuti palestinesi.

Il giornalista Ahmed Shuqoura ha fatto il segno della vittoria dopo il suo rilascio dalla detenzione israeliana nell’ambito dell’accordo di scambio. Era stato arrestato di recente e ha dovuto affrontare condizioni difficili durante la prigionia.
Il rilascio di Shuqoura dalla detenzione israeliana è stato caratterizzato da un’immagine che si è rapidamente diffusa sui social media: il suo viso scarno, il suo corpo emaciato, una testimonianza del calvario che ha sopportato dietro le sbarre.
Un tempo giornalista determinato, Shuqoura è uscito dal carcere visibilmente debilitato, la sua corporatura indebolita rappresenta il prezzo che i detenuti hanno dovuto pagare e che i testimoni descrivono come condizioni dure e disumane nelle prigioni israeliane.

L’immagine prima e dopo di Bahauddin Nasr, detenuto palestinese liberato di recente, illustra in modo evidente il prezzo pagato durante la sua incarcerazione. Nasr, rilasciato a Gaza come parte di un recente accordo di scambio di prigionieri, appare ora visibilmente fragile e indebolito rispetto alle fotografie precedenti.
Wael Jumaa, proveniente dal nord di Gaza, è stato rilasciato di recente con evidenti segni di maltrattamenti. Trattenuto per 15 mesi dopo la sua cattura a Gaza, Jumaa racconta di aver sopportato condizioni difficili, tra cui gravi abusi fisici ed esposizione a sostanze nocive.

Una foto prima e dopo di Iyad Abed, detenuto palestinese liberato, mostra un significativo deterioramento delle sue condizioni di salute. E’ stato costretto a privazioni prolungate, tra cui l’accesso limitato al cibo e alle cure mediche, che hanno contribuito al suo stato attuale di estrema debolezza.
Nader Jamal Hussein, detenuto dal campo profughi di Jabalia, è stato portato immediatamente all’ospedale europeo di Khan Younis dopo il suo rilascio. Le sue condizioni di salute rimangono preoccupanti poiché, come molti altri, ha dovuto affrontare condizioni molto difficili in prigione.

Presentava ferite e lividi visibili, una significativa perdita di peso e non era in grado di stare in piedi da solo, a testimonianza delle brutali torture a cui è stato sottoposto nelle prigioni israeliane.
Ibrahim Mohammad Khalil Al-Shawish, un residente di Beit Hanoun nel nord di Gaza, è stato rilasciato all’inizio del mese di febbraio dopo aver trascorso quasi un anno nelle prigioni israeliane.
È stato rapito il 10 dicembre 2023 da un rifugio per sfollati nel nord di Gaza e inizialmente trattenuto in baracche militari allestite al confine, dove è stato sottoposto a brutali torture.
A seguito del suo rilascio, un video di Al-Shawish è diventato rapidamente virale. In esso racconta delle orribili condizioni che lui e i suoi compagni palestinesi hanno sopportato mentre erano detenuti da Israele.
“Inizialmente sono stato trattenuto nelle cosiddette caserme, allestite al confine. In queste caserme avvenivano torture indescrivibili”, ha raccontato. Poi ha continuato a rivelare la gravità degli abusi subiti.
“Per 45 giorni, sono stato bendato e costretto a inginocchiarmi… bendato e ammanettato. Poi mi hanno trasferito nella prigione di Naqab, dove la tortura è continuata. A Naqab, siamo stati sottoposti a scosse elettriche e anche i cani sono stati usati durante gli abusi.”

Liberato a fine gennaio 2025, il ventunenne Mohammed Sabah, di Sur Baher, Gerusalemme, è rimasto per mesi a soffrire le orribili conseguenze della scabbia, insieme agli effetti devastanti della fame che lo hanno ridotto pelle e ossa.
Sabah venne imprigionato per la prima volta nel 2019 all’età di 15 anni, per poi scontare una condanna a 10 anni nelle prigioni di occupazione israeliane, accusato di aver tentato di compiere un’operazione di accoltellamento contro le forze di occupazione israeliane.
Fu il primo della sua famiglia ad essere arrestato. Successivamente, il 5 febbraio 2022, anche suo padre Khaled e suo fratello Musab sono stati arrestati, e anche suo fratello Munib è stato imprigionato, ricevendo una condanna a 36 mesi.

Dopo il rilascio di Sabah, le immagini delle sue pessime condizioni fisiche sono diventate virali sulle piattaforme dei social media, suscitando allarme e preoccupazione.
Gli utenti hanno criticato duramente sui social il regime israeliano per il trattamento disumano riservato ai rapiti palestinesi, accentuando le notevoli differenze tra i rapiti palestinesi liberati e i prigionieri israeliani, questi ultimi restituiti in ottima salute mentale e fisica.
Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi