I profughi palestinesi torneranno davvero a casa?

MEMO. Di Motasem A. Dalloul. Migliaia di palestinesi hanno marciato, nella Striscia di Gaza, vicino alla teorica recinzione di confine, per il quarto venerdì consecutivo con lo sguardo sulle loro terre e le loro case occupate dalle milizie ebraiche nel 1948. Fino a 700 mila abitanti palestinesi autoctoni vennero espulsi dalle loro case, villaggi e città durante la Nakba, quando oltre 500 villaggi vennero eliminati dal territorio dalle squadre sioniste aiutate dalla classe dirigente del nascente Stato di Israele.

Donne, uomini e bambini partecipano alla Grande marcia del ritorno ogni settimana. Da ogni angolo di Gaza, si riuniscono pacificamente in 5 punti lungo il confine. Centinaia sono lì dal 30 marzo, e intendono restarci fino al 15 maggio, quando, secondo gli organizzatori, la marcia raggiungerà il suo apice.

Queste sono manifestazioni in gran parte pacifiche: l’attenzione del mondo è attratta dal fumo dei copertoni bruciati, da palloncini e aquiloni e dagli eventi culturali che vi si tengono. Si cucina cibo tradizionale, si annunciano matrimoni e si tengono eventi commemorativi. Ma questa marcia, nella quale sono già state uccise quasi 40 persone e ferite 4000 dall’esercito israeliano, potrà raggiungere i suoi obiettivi?

Porterò alta la bandiera.

Secondo Mahmoud Abu Ibrahim, 64 enne di Al-Majdal, lui ritornerà a casa sua, nella Palestina occupata – Israele – nonostante tutti gli impedimenti che potranno esserci. “È sicuro”, mi ha detto, “che dobbiamo tornare a casa”. Abu Ibrahim è nato in esilio, solo un paio di chilometri fuori dalla città della sua famiglia, e ritiene che il rientro a Al-Majdal sia solo una questione di tempo. “Ritornerò a Al-Majdal molto presto, se Dio vuole”, egli dice, osservando che i palestinesi stanno dando il meglio di sé durante le proteste della Marcia del ritorno.

Lo scorso venerdì gli organizzatori hanno spostato le tende dei campi di protesta 50 metri più vicino al confine dichiarato da Israele. Per persone come Abu Ibrahim ciò ha un grande valore simbolico. “È stato un grande segno di riavvicinamento alla nostra patria”, egli sostiene.

Abdul Nabi Al-Saleebi ha 70 anni, ed è un profugo di Deir Esneed, vicino a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza. Anch’egli spera di tornare un giorno nella sua casa natale. Si è unito alle decine di giovani dimostranti che hanno tirato il filo spinato messo lungo la barriera confinaria.  “Io sono di Deir Esneed, e ora vi ritorno”, ci ha detto attraversando la barriera. “Toglierò questo filo spinato per poter andare a casa, tenendo alta la bandiera”. Ovviamente, la casa di Al-Saleebi è improbabile che ci sia ancora. Il suo villaggio fu occupato dagli israeliani, da gente come il futuro primo ministro Ariel Sharon, che distrusse le case dei palestinesi e costruì al loro posto un caseificio. Al-Saleebi racconta che aveva 6 mesi quando dovette fuggire con sua madre nella Striscia di Gaza. Lei morì 2 anni più tardi, e lui crebbe orfano.

Forza letale.

Israele ha risposto alla Grande marcia del ritorno con forza letale, nonostante il fatto che i manifestanti siano disarmati. Diversi gruppi dei diritti umani, e anche l’Onu, hanno definito illegale il giro di vite israeliano sui manifestanti pacifici, dato che dei civili disarmati non rappresentano un pericolo per le truppe israeliane.

Nikolay Mladenov, coordinatore speciale del processo di pace in Medio Oriente ha criticato Israele per l’uccisione, venerdì, di un ragazzo disarmato. “È oltraggioso sparare ai bambini!”, ha egli scritto sul suo account Twitter dopo che le Forze di occupazione israeliane hanno sparato, uccidendo il 14enne Mohammed Ayoub. “Come può, l’uccisione di un bambino a Gaza, oggi, aiutare la pace?”, egli domanda. “Non lo fa! Alimenta rabbia e ulteriori omicidi”.

Dirigenti israeliani sostengono che i dimostranti sono violenti perché lanciano pietre ai soldati e bruciano copertoni. Waleed Al-Agha, un esperto in diritto internazionale che ha passato 13 anni nelle carceri israeliane, sostiene fermamente che “il lancio di pietre non giustifica l’utilizzo di forza letale dell’esercito israeliano”.

Egli sottolinea che le pietre non rappresentano alcun pericolo per nessun israeliano, in quanto nessuno ne viene sfiorato. “La distanza minima tra i dimostranti e i cecchini israeliani è tra i 250 e i 300 metri. Se anche chi lancia le pietre è miracolosamente forte, non colpirà mai i militari israeliani”.

È efficace?

Organizzatori e partecipanti alla Grande marcia del ritorno sono convinti di vincere questa battaglia e che raggiungeranno i loro obiettivi, in quanto i palestinesi sono uniti, e un modello di lotta simile a questo ha portato alla fine dell’apartheid in Sudafrica.

Uno degli organizzatori, Sami Naim, ha detto che siamo testimoni della più efficace unità tra le fazioni palestinesi. “Questa è la prima volta in cui vedo un’unità reale tra i poteri politici palestinesi, che si sono mescolati al popolo”, egli spiega. E’ un dirigente anziano del Fronte Arabo Baathista.

Il docente di linguistica Asaad Abu Sharekh, dell’università Al-Azhar, a Gaza, è un altro organizzatore della protesta. “Questa – egli osserva – è una copia dell’esperienza sudafricana contro il regime di segregazione”. Abu Sharekh sottolinea che la gente non sta cercando miracoli né nulla di irragionevole: “Dopotutto, stiamo cercando di ottenere diritti riconosciuti dalla comunità internazionale, che si basano su risoluzioni dell’Onu… stiamo mandando un messaggio al mondo, dicendo che siamo pronti a riacquisire i nostri diritti e a ritornare alle nostre case”.

I leader israeliani devono capire.

Il docente mi ha chiesto di attendere fino al 15 maggio, momento in cui il numero di manifestanti raggiungerà il picco. Ma anche se i profughi palestinesi non potranno attraversare il confine per raggiungere le loro città e i loro villaggi entro l’anniversario della Nakba del 1948, avranno se non altro scosso il supporto cieco che il mondo concede a Israele.

“Le proteste sono state immaginate come una campagna non violenta della società civile, per ricordare al mondo che i palestinesi, le cui famiglie furono costrette all’esilio durante la fondazione di Israele, considerano inviolabile il loro diritto al ritorno”, ha scritto il britannico Guardian in un suo editoriale. “L’assoggettamento dei palestinesi mina la posizione che Israele occupa a livello internazionale, e ne danneggia la democrazia entro i suoi confini. Star di Hollywood come Natalie Portman hanno compreso la china pericolosa intrapresa da Israele. Sarebbe bene che la comprendessero anche i leader israeliani”.

I leader israeliani capiscono molto bene cosa sta succedendo, per questo rispondono con forza letale. Loro sanno che la dubbia legittimità del loro Paese si basa su menzogne e falsità, e che non possono fare gli sbruffoni e i bulli con la comunità internazionale all’infinito. I palestinesi di Gaza non potranno tornare ancora alle loro case, ma il momento per poterlo fare sicuramente arriverà.

Traduzione di Stefano Di Felice