Promessa di “occupazione fino al martirio”

Promessa di “occupazione fino al martirio”
di Franklin Lamb. I jihadisti stanno entrando in Siria ad un ritmo accelerato, non solo secondo i funzionari siriani e palestinesi dell’UNRWA ma anche secondo i residenti di questi campi profughi. Per gli ormai circa 7mila combattenti arrivati dall’estero, i campi palestinesi sono visti come postazioni ottimali per la creazione di basi in tutta la Siria.

“I campi profughi palestinesi in Siria sono diventati teatri di guerra”, ha detto il commissario dell’UNRWA Filippo Grandi.

Il popolo siriano sta compassionevolmente ospitando 10 campi profughi ufficiali per i palestinesi, sotto mandato ONU, insieme ad altri tre non ufficiali, la cui popolazione totale è di almeno 230mila persone. Otto di questi sono “campi della Nakba (la catastrofe)”, realizzati subito dopo che i palestinesi furono espulsi dalle loro case nel 1948, mentre gli altri due, Qabr Essit e Dera’a (campi di emergenza), sono “campi della Naksa (la ricaduta)”. Questi ultimi sono stati istituiti nel 1967 come conseguenza dell’aggressione coloniale sionista, condannata dalla comunità internazionale, contro le due regioni arabe amiche della Cisgiordania palestinese e delle alture siriane del Golan.

Ed era alle Idi di marzo del 2011 che abbiamo visto un’esplosione di violenza nei pressi di uno di questi campi, il campo di Dera’a fondato nel 1950, a sud vicino al confine giordano.

Ma per prima cosa probabilmente un semplice elenco dei campi, con la loro popolazione e la data di creazione, sarebbe d’aiuto in questo caso:

1950 Dera’a, 5.916 persone
1967 Dera’a (emergenza), 5.536 persone
1950 Hama, 7.597 persone
1949 Homs, 13.825 persone
1948 Jaramana, 5.007 persone
1950 Khan Dunoun, 8.603 persone
1949 Khan Eshieh, 15.731 persone
1948 Neirab, 17.994 persone
1967 Qabr Essit, 16.016 persone
1948 Sbeineh, 19.624 persone
1955-6 Latakia, 6.534 rifugiati registrati
1957 Yarmouk, 112.550 rifugiati registrati
1962, Ein Al-Tal, 4.329 rifugiati registrati

A partire dall’8 agosto 2013, sette dei campi – due a nord e cinque nella zona di Damasco e nel sud della Siria – sono attualmente con la loro gola sotto lo stivale militare di salafiti-jihadisti stranieri. Queste cellule jihadiste si sono indirizzate contro questi campi durante le prime fasi dell’attuale crisi con lo scopo del reclutamento forzato, di beneficiare di una fornitura di scudi umani non combattenti, ricattare i residenti prendendo in consegna le strutture dell’UNRWA, ed infine utilizzare le precedenti “zone di sicurezza del campo profughi”. Tutti questi passaggi hanno anticipato la creazione di basi militari da cui lanciare le operazioni volte a rovesciare l’attuale governo della Repubblica araba siriana.

Come fanno i jihadisti ad infiltrarsi nei campi?

Come è possibile che più della metà dei campi palestinesi in Siria non solo sia caduta, ma lo abbia fatto addirittura, e purtroppo, senza opporre molta resistenza, nella situazione in cui la troviamo oggi – in gran parte dominata da jihadisti stranieri che continuano ad imporre le loro indesiderate ed estremiste credenze religiose ad una comunità palestinese laica, in gran parte progressista? Si tratta di un argomento attualmente molto discusso.

Questo osservatore ha dedotto da una serie di conversazioni – con gli attuali residenti nel campo ed ex occupanti, così come con alcuni membri del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) e del comando generale del PFLP, con ONG palestinesi ed anche con il mondo accademico – che ci sia un ‘modello di occupazione’ che si sta diffondendo in Siria, sorprendentemente analogo a quello che abbiamo visto sei anni fa nel campo palestinese di Nahr al-Bared (a Tripoli, in Libano). Le storie che sentiamo oggi sono molto simili a quelle raccontate dai quasi 30mila profughi di Nahr al-Bared costretti a fuggire verso il vicino campo di Badawi o verso altri dieci campi del Libano, come scritto in alcuni rapporti di questo osservatore relativi alle visite a Nahr al-Bared nel maggio del 2007.

Ciò che sentiamo oggi in Siria custodisce una somiglianza quasi inquietante. Ad esempio una signora, la cui famiglia è di Safad, nella Palestina occupata, ha spiegato: “All’inizio, loro (gli intrusi) sono apparsi solo in numero ridotto. Li abbiamo notati perché alcuni di loro avevano un accento “straniero” e indossavano abiti tradizionalisti, la maggior parte di loro aveva la barba. Erano educati e cordiali. Poi ne arrivarono altri, alcuni seguiti da donne e bambini. Inizialmente sono rimasti tra di loro, poi hanno iniziato a utilizzare la moschea ed erano accettati dagli sceicchi locali, che a volte ne lodavano la sincerità e la devozione. In seguito, alcuni di loro hanno iniziato a predicare con una propria versione del Corano, finché ad un certo punto la loro gentile educazione è diventata più disarmonica: in poco tempo questi uomini si erano impegnati a commentare come alcune delle donne palestinesi fossero vestite in maniera non islamica; hanno persino fatto la predica ad alcune ragazze circa la modestia, ribadendo che dovessero cambiare le loro abitudini come per esempio smettere di fumare, abbandonare i luoghi pubblici qualora fossero le uniche donne presenti ed indossare un hijab completo”.

La sorella della donna l’ha interrotta: “Allora sono apparse le pistole ed alcuni degli uomini sembravano essere molto abili nell’usarle, per esempio, in una scuola o in un parco giochi per allenarsi. Erano così seri e sembravano essere in uno stato di trance di qualche tipo. Non c’era alcuna possibilità di parlare o ragionare con loro. Tutto quello che sembravano volere era il martirio! Alcuni probabilmente credevano in realtà che la Siria fosse la Palestina e di essere qui per liberare Al Quds!”.

In alcuni dei campi già cominciava a balenare l’idea che i nuovi arrivati ​​intendessero imporre le loro idee e che fossero intenzionati a far sottomettere i residenti del campo al “puro Islam”, così come lo vedevano loro. Qualche resistenza ha cominciato a prendere forma da parte dei residenti del campo, ma i comitati popolari del campo non avevano il potere di affrontarli e pochi in realtà vi si erano uniti. I combattimenti con le truppe governative siriane avevano accelerato il processo di presa del potere, presto ai residenti del campo è stato presentato un appello: unirsi agli uomini armati e “liberare” i campi.

Ancora una volta, questa catena di eventi è singolarmente simile a quello che abbiamo visto (troppo tardi, come si è scoperto poi) nel campo libanese di Nahr al-Bared, un processo che, come quello che si sta diffondendo oggi in Siria, è stato accelerato dalla guerra civile che infuria anche qui.

Ancora una volta mi viene in mente il luogo comune: “Dov’è la Lega Araba, l’Organizzazione del Consiglio Islamico, l’Unione europea o le Nazioni Unite? Dov’è Waldo?”

Al fine di ottenere il controllo dei campi in Siria, sembra che gli affiliati di Al Qaeda abbiano seguito due procedimenti. Uno è quello che questo osservatore etichetta il “modello del campo di Nahr al-Bared”. Un membro del Comitato Popolare di Yarmouk, che è appena scappato dal campo prima che la sua casa fosse stata distrutta da un colpo di mortaio, si esprime così:

“Alcuni arrivano portando regali. Di solito creano piccoli centri per risolvere i problemi. Forse un po’ di denaro, le offerte di assistenza medica, la distribuzione di pane, le promesse di sicurezza del campo, questo tipo di servizi sociali attualmente assente qui”.

Ma i campi diventano rapidamente delle piastre di Petri e la crescita esplosiva degli inserimenti stranieri a volte è abbagliante Quando i sostenitori del governo informano degli invasori del campo è troppo tardi. E il governo cosa può fare allora? Le pistole appaiono ovunque, improvvisamente non è più ‘buono buono’ il trattamento riservato ai fratelli islamici. Ai residenti viene detto di dover contribuire a liberare il campo dal regime di Assad o dovranno affrontare l’ira di Allah. Perciò la fuga per la vita diventa una massima urgenza, spesso in senso letterale dato che arrivano i cecchini, gli intensi combattimenti e le conseguenti prese di mira dal tetto.

Schivare i cecchini

Quindi, cosa succede poi ai campi palestinesi in Siria? Sarà possibile una risoluzione ottimista, positiva o pacifica? La risposta che suggerisce questa analisi di un osservatore da due centesimi è che non è possibile. I campi rimarranno in gran parte sotto il dominio – da un punto di vista militare e sociale – delle cellule jihadiste che continuano a costruire fortificazioni ed a “barricarsi” dentro. Quello che sta accadendo è una calamità scatenata da un Dio terribile, quell’essere imposto a coloro le cui uniche preghiere e desideri sono quelli di lasciare Siria e di tornare a casa per recuperare le loro terre rubate.

Una questione centrale è la situazione precaria nel campo di Yarmouk ed il destino del 18-20% della popolazione che ancora vive lì. Queste sono persone che rischiano la vita tutti i giorni cercando di evitare i cecchini. Uno può sentire la considerazione sulle possibilità che l’esercito siriano si diriga verso Yarmouk per cercare di mandare via la milizia ribelle. Alcuni funzionari dell’OLP con i loro uffici all’interno del quartiere di Yarmouk affermano che il comando generale del PFLP di Ahmad Jibril è stato rinforzato non solo con Kalashnikov e lanciarazzi. Lo scorso inverno alcune delle forze di Jibril sono state cacciate quando hanno cercato di espellere la milizia straniera, mentre altri – come anticipato prima – si sono schierati con il fronte opposto. Allo stesso tempo, tre dei comandanti del comando generale del PFLP abbandonarono le tattiche mentre mettevano in dubbio la decisione di Jibril di violare la neutralità del campo, il che avrebbe portato alla distruzione di parti di Yarmouk.

Quanto alla considerazione sulla possibilità che il governo siriano sia in movimento per espellere le forze straniere da Yarmouk, questo osservatore non dà ai rapporti molto credito. L’esercito siriano ha battaglie più urgenti e fondamentali da combattere oggi, con altre che sono state già programmate. Inoltre, qualunque truppa invada un campo palestinese si trova ad essere fermamente condannata per la violazione dell’accordo del Cairo che vieta ai governi ospitanti di entrare nei campi profughi dell’UNRWA.

Questo osservatore e le persone della comunità palestinese che ha incontrato non possono verificare il recente rapporto di un mezzo di informazione straniera secondo cui al-Nusra abbia lasciato Yarmouk e sia in fuga. In fuga da chi? Attualmente non vengono seriamente in discussione. Al contrario, gli affiliati di al-Qaeda sono impegnati a scavare altre gallerie sotto i campi per depositare le armi e muoversi liberamente. Le loro truppe stanno aumentando e non diminuendo.

Disperata come sembra la situazione di coloro che risiedono nei campi in Siria, insieme ai 12 milioni di rifugiati palestinesi in tutto il mondo, è che continueranno ad essere in balia degli eventi in cui non hanno avuto alcun ruolo. È un destino che condividono, in questo momento, con gran parte del resto della popolazione siriana, e la situazione non sembra passibile di miglioramento nell’immediato.

Ma in una nota più positiva, i palestinesi della Siria persistono nella loro resistenza ed opposizione all’occupazione illegale del loro paese. La loro è tenacia per ritornare nella loro patria, che non si sbiadirà o appassirà semplicemente: parlare con i rifugiati palestinesi in questi ultimi giorni a Damasco e Homs ha convinto questo osservatore più che mai del fatto che non si ritireranno nemmeno di un centimetro – e che col tempo libereranno il loro paese.

Traduzione per InfoPal a cura di Erica Celada