Qualunque sia l’esito delle elezioni in Egitto, segnerà una svolta: l’alba di un nuovo giorno

Memo. Di Daud Abdullah. Ora che i voti sono stati espressi, il popolo egiziano è con il fiato sospeso. E non solo gli egiziani, l’intera nazione araba è in attesa dei risultati delle elezioni presidenziali. È impossibile non pensare alle potenziali conseguenze dopo che l’Egitto ha riacquistato la propria dignità e riassunto la storica posizione di leadership.

È la terza volta che gli egiziani vengono chiamati alle urne dalla rivoluzione del 2011, che ha posto fine a quella che è stata una delle dittature più potenti del mondo. In ogni occasione, il popolo egiziano abbraccia la missione democratica con evidente orgoglio e partecipazione.

Se le precedenti elezioni parlamentari avevano sollevato interesse mondiale, c’è ora ancor più attenzione verso queste elezioni presidenziali. Il processo di transizione verso la democrazia non si sarebbe potuto completare prima, e benché i partiti laici e liberali erano tramontati nelle parlamentari, le elezioni presidenziali hanno finora dimostrato un tentativo di ritorno di persone che molti egiziani considerano agenti del vecchio regime. Questo, di per sé, ha reso queste elezioni ancor più interessanti.

La posta in gioco non potrebbe essere più alta. I risultati delle elezioni presidenziali in Egitto, nazione dalle grande dimensioni, posizione strategica e storia antica, avranno un impatto sull’intera regione araba. Ora come ora, la gara si è tramutata in una sfida tra i candidati islamici influenti e i presunti agenti del regime di Mubarak, probabilmente sostenuto dai militari, l’apparato di intelligence e la burocrazia.

Chi ne uscirà vincitore porterà il peso della speranza del popolo egiziano così come dell’intera regione araba. Più nell’immediato, tuttavia, ci saranno da risolvere le tensioni tra i centri di potere rappresentati dalla presidenza, il parlamento, l’esercito e la magistratura. Le varie problematiche sono aggravate dal fatto che la Costituzione deve ancora essere ratificata, operazione che dovrebbe avere la priorità assoluta per poter definite i poteri e le relazioni inter-istituzionali.

Con il rafforzamento del parlamento, che rappresenta la volontà del popolo, la possibilità che salga al potere un altro faraone a dominare l’Egitto è notevolmente ridotta. Nelle attuali circostanze, ciò potrebbe accadere solo ed unicamente in caso di consenso tra il parlamento dominato dagli islamici e i militari, che hanno spadroneggiato nell’esecutivo negli ultimi sessant’anni. E nessuno vuole che ciò accada.

Una volta superati tali ostacoli, il processo di transizione dovrebbe essere liscio. E bisogna riconoscere il merito del popolo egiziano per tale realizzazione; sono arrivati fino a questo punto grazie a grandi sacrifici, sudore, sangue e lacrime. Hanno atteso questa opportunità per decenni, creando una nuova coscienza ed esercitando la propria volontà di eleggere il presidente. Inutile dire che questa è la prima volta in cui si sono recati alle urne senza sapere in anticipo chi avrebbe poi vinto. Ma aspirano ad ottenere più della libertà di voto, giustamente desiderano essere parte di un processo di cambiamento che porti alla crescita economica e la giustizia sociale. Non è mai stato decretato che nel loro destino ci sia spazio solo per sottomissione e dipendenza.

Le elezioni presidenziali in Egitto non rappresentano la fine di un processo, bensì la fine di un inizio. I nuovi leader avranno bisogno di tempo per riformare il sistema politico, mettere in moto l’economia, valorizzare le risorse umane e potenziare l’intero popolo. In altre parole, dovranno mettere in pratica il motto delle rivoluzione: “L’Egitto per gli Egiziani”. Pertanto, il nuovo presidente – a differenze del dittatore precedente – non potrà concedere l’interesse nazionale e le risorse egiziane ad Israele o qualsiasi altra potenza.

Chiaramente, la storia e la posizione strategica dell’Egitto comportano precise responsabilità con cui il nuovo presidente dovrà fare i conti. Specialmente per quanto riguarda la Palestina e Israele, anche se per motivi differenti. L’ex ambasciatore israeliano Yitzhak Levanon ha riassunto le attuali preoccupazioni del suo paese quando ha affermato che, qualora un membro della Fratellanza Musulmana si aggiudicasse la presidenza, comporterebbe una fusione del potere esecutivo con il potere legislativo in Egitto e questo non sarebbe affatto un bene per la democrazia. Un ex-ministro della Difesa di Israele, Benyamin Ben Elizier, ha consigliato ai propri connazionali di adottare un approccio più pragmatico. Nello specifico, ha dichiarato che dovrebbero avviare un dialogo con la Fratellanza in quanto potrebbero ritrovarsi seduti allo stesso tavolo. A prescindere dal suo stretto rapporto personale con Mubarak, Ben Elizier è consapevole che la politica del Medio Oriente ha subito forti cambiamenti e sollecita l’attuale leadership israeliana a fare altrettanto.

I palestinesi, dal canto loro, non immaginano uno scenario peggiore di prima. Non solo il regime di Mubarak ha chiuso un occhio sulle atrocità israeliane contro i palestinesi, ma ne è stato talvolta complice. La Palestina rimane la cintura strategica settentrionale per la sicurezza nazionale dell’Egitto. Ma oltre che per motivi di sicurezza, la libertà della Palestina è parte integrante della libertà dell’Egitto. Per ora, nessuno si aspetta grandi cambiamenti nella politica estera egiziana, ma al contempo è chiaro che la vecchia politica non può e non deve andare avanti.

È l’alba di un nuovo giorno.

Traduzione per InfoPal a cura di Jessica Maggi

(Foto di Angela Lano, Il Cairo, novembre 2011)