Quando San Francesco dialogava con il Sultano.

Quando S. Francesco parlava al sultano

 

Secoli di sospetti e occasioni mancate nei rapporti tra Chiesa e Islam

 

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

 

Nell´agosto 1219 Francesco d´Assisi intraprende per la terza volta un viaggio in Terra Santa. La prima volta si era imbarcato ad Ancona per la Palestina ma una tempesta lo aveva riportato sulle coste dalmate, da dove tornò in patria. L´anno seguente (1214-1215?) aveva tentato di raggiungere il Marocco ma una grave malattia lo aveva nuovamente obbligato ad abbandonare il suo desiderio di far missione in Terra Santa. Il terzo tentativo fu coronato da successo. Giunto a Damietta (un porto, in Egitto, che si affaccia sul Mar Mediterraneo, al delta del Nilo, circa 200 chilometri a nord del Cairo) trovò la città assediata dai Crociati.

 

Con uno di quei gesti storici di cui era capace, cercò di dissuadere i suoi correligionari dal combattere, quindi si presentò spontaneamente davanti al sultano Malik-al-Kamil e predicò alla sua presenza. Il Sultano – che le fonti definiscono prudente e benevolo – accoglie con favore Francesco e gli concede un salvacondotto affinché possa visitare indisturbato la Palestina. Francesco avrebbe voluto restarvi un anno ma voci su conflitti sorti all´interno del suo ordine lo costrinsero a tornare (1220).

Otto anni dopo, nel giugno 1228, l´imperatore svevo Federico II decise – dopo un primo infruttuoso tentativo (1227) che gli procurò la scomunica del papa – di recarsi in Terra Santa. Ma invece di guidare la Crociata trattò direttamente con il sultano Al-Kamil, riuscendo così, senza ricorrere alle armi, a raggiungere Gerusalemme e farsi incoronare re nella chiesa del Santo Sepolcro per i diritti venutigli sposando Isabelle di Brienne.
Per motivi ben diversi, a soli pochi anni di distanza, Francesco d´Assisi e l´imperatore Federico II percorsero un cammino insolito nell´Europa cristiana di allora, quello dello scambio pacifico e del contatto diretto, pur da posizioni ferme. Federico II non può essere tacciato di anacronistico pacifismo e Francesco d´Assisi era venuto a Damietta per convertire anche il Sultano. Ma si trattava pur sempre di straordinarie opportunità di tolleranza che l´Europa non era pronta ad accogliere senza riserve.

 

L´incontro di Federico II con il sultano diventò per i suoi avversari un ulteriore elemento di polemica ed anche la memoria dell´episodio francescano di Damietta fu successivamente modificata (da San Bonaventura).
Le critiche occidentali rivolte agli incontri di Francesco d´Assisi e di Federico II con il sultano al-Kamil, unici nel loro genere, costituiscono un appuntamento mancato dell´Europa medievale con l´Islam, in termini di contatti, discussioni, scambi. Erano critiche che riflettevano un´incapacità di dialogo che si fondava anche su un basso grado di conoscenze. Soltanto una volta, il Corano fu tradotto nel Medio Evo, per iniziativa dell´abate di Cluny Pietro il Venerabile (1122-1156).

 

Si trattava di uno sforzo intellettuale per tentare di capire, ma anche di discutere, appena una generazione dopo che papa Urbano II aveva promulgato a Clermont-Ferrand (1095) la prima crociata.

Diversi furono invece i rapporti tra l´Europa e il mondo islamico sul piano scientifico, incominciati ben prima del 1085, anno in cui Toledo fu liberata dai cristiani. Il viaggio intrapreso in Spagna da Gerberto di Aurillac – il futuro papa Silvestro II (999-1003) – contribuì, anche nella memoria, alla sua fama di scienziato e matematico. Nella seconda metà dell´XI secolo, Costantino Africano, accolto a Montecassino dall´abate Desiderio, introdusse in Europa il grande sapere medico del mondo arabo.

 

Un contributo fondamentale, che verrà proseguito dalla Scuola medica di Salerno. Ma fu ancor più la Reconquista ad aprire all´Occidente quell´immenso serbatoio di testi filosofici e scientifici che gli studiosi del mondo arabo avevano accumulato nel corso dei secoli, specie durante il periodo di splendore intellettuale delle scuole di Bagdad (IX-X secolo). Grazie ai traduttori (appartenenti alle varie civiltà mediterranee) che svolsero talvolta per decenni la loro attività a Toledo (Gerardo da Cremona), l´Europa venne a conoscenza non solo delle opere di Avicenna, Albumasar e Alazeno, e di molti altri grandi autori arabi, ma anche di testi dell´antichità classica (Aristotele, Ptolemeo) che gli Europei di allora conoscevano male e imperfettamente. Una di queste opere – il Canone di Avicenna – diventò e rimase per secoli l´opera di riferimento per lo studio della medicina nelle università occidentali.

L´attività di quei traduttori era il riflesso di una convivenza pacifica e la mediazione culturale che Toledo assunse in quei decenni ottenne la protezione di vescovi e prelati. Michele Scoto, che fu poi l´astrologo di Federico II, canonico di Toledo e partecipò a Roma al IV concilio lateranense (1215) al seguito dell´arcivescovo di quella città. Prima che Michele entrasse al servizio dell´imperatore (1227), papa Gregorio IX gli propose di nominarlo vescovo.

Intellettuali europei del rango di Ruggero Bacone erano perfettamente coscienti del fatto che i latini (così venivano allora chiamati gli europei) dovevano molto al mondo arabo in termini di conoscenze scientifiche, e che gli erano persino inferiori. E un tema che il francescano di Oxford, uno dei più originali uomini di scienza del suo tempo, tratta nei suoi scritti scientifici inviati a papa Clemente IV (1265-1268).

In quegli anni, la corte papale ospitò studiosi delle teorie della luce e della visione che si fondavano sulle opere di un grande scienziato arabo, Alazeno. Uno dei cardinali di allora, Giovanni "da Toledo" (dove aveva vissuto in gioventù), amante di alchimia, conosceva l´arabo ed era dunque in grado di tradurre la corrispondenza dei papi con i sultani. In quegli anni, Raimondo Lullo incominciò a suggerire che l´arabo fosse insegnato in alcune università europee, un progetto che il concilio di Vienne (1312) tenterà poi di realizzare.

Con il 1300, i rapporti tra l´Europa e l´Islam entrarono in una nuova fase. La paura di fronte al progressivo affermarsi dell´Impero ottomano finì per creare un´identità tra Islam e Turchi, il che conferma le poche conoscenze che i medievali avevano del mondo islamico. Erano paure che alimentarono una più forte presa di coscienza dell´identità tra Europa e Cristianità. L´Occidente si stava del resto orientando a lasciarsi sempre più ispirare culturalmente dall´antichità greco-romana – si pensi a Petrarca – senza ricorrere, come nel XII secolo, alla mediazione del mondo arabo.

Con il passare del tempo, la Crociata – pensata all´inizio per liberare il Santo Sepolcro a Gerusalemme – finì per diventare la Crociata contro il pericolo di invasione ottomana, anche perché Costantinopoli costituiva – con la sua cultura greca e i suoi codici – il principale punto di riferimento dell´Europa umanista. Ed è in questo contesto che l´umanista Enea Silvio Piccolomini, poi papa Pio II (1458-1464), elabora una visione d´Europa più cosciente di sé.

 

I suoi abitanti vengono da lui ora definiti con un nuovo aggettivo, quello di Europei (un termine che era stato fino allora usato una sola volta in uno scritto, nel lontano 927). I valori su cui poggia la sua visione dell´Europa sono dichiaratamente quelli della christianitas e della humanitas, ossia della cultura greco-romana, che gli umanisti volevano riscoprire direttamente dai codici greci che si conservavano a Costantinopoli. Appena due secoli prima, l´Europa cristiana aveva invece imparato a leggere nuovi sconosciuti testi classici tramite i commentatori arabi.

 

__da  La Repubblica, 18-9-06__________________

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