Quasi il 20% dei giovani palestinesi è stato arrestato per aver pubblicato dei post online

2013_5-8-A-Palestinian-man-holds-his-samsung-tab-EB_00-3-2Memo. Di Asa Winstanley. Una recente indagine dei giovani palestinesi rivela la radicata azione di controllo da parte israeliana sulla popolazione indigena della Palestina storica. Il sondaggio, effettuato dal Centro arabo per il progresso dei social media (campagna 7amleh) indica che il 19% dei giovani tra i 15 e i 25 anni di età hanno riferito di essere stati arrestati, o di essere stati messi sotto inchiesta, dopo che le loro comunicazioni online erano state intercettate.

Il sondaggio è stato attuato nella Cisgiordania occupata, nella Striscia di Gaza e tra i cittadini palestinesi di Israele (che costituiscono il 20% della popolazione totale). Le operazioni di spionaggio e i conseguenti arresti sono stati condotti dalle autorità dell’occupazione israeliana e dai loro pari dell’Autorità nazionale palestinese, oltre che (in misura minore) dalle autorità palestinesi nella Striscia di Gaza (dove i dati relativi agli arresti arrivano al 9,5%).

Le percentuali maggiori si hanno in Cisgiordania, dove il 35% dei giovani palestinesi ha riferito di essere stato arrestato per aver postato qualcosa sui social media o per aver comunicato in privato con un amico utilizzando strumenti online.
L’unità 8200 – agenzia per la sicurezza israeliana equivalente della statunitense Nsa o della britannica Gchq – utilizza le sue capacità di spionaggio online per monitorare l’intera popolazione palestinese civile che vive sotto il giogo di Israele in Cisgiordania, a Gaza e nello stato sionista.
Questi risultati rivelano l’ossessione israeliana per il controllo maniacale e sadico di qualsiasi aspetto della vita palestinese.
Un esempio recente è il caso di Dareen Tatour, un poeta palestinese che ha passato gli scorsi 16 mesi in un carcere israeliano, e che si trova ora agli arresti domiciliari, per aver scritto una poesia e averla pubblicata su Facebook. La sua poesia, intitolata «Resisti loro», incoraggiava i palestinesi a difendersi dai soldati dell’occupazione israeliana; «Resisti, mio popolo, resisti loro», è il suo ritornello. Per questo, e per un paio di post di accompagnamento pubblicati su Facebook, a Tatour è stata negata la libertà da Israele.

La mia collega Charlotte Silver ha raccontato, lo scorso settembre, che l’accusa delle autorità dell’occupazione israeliana sosteneva che un video pubblicato su Youtube con la poesia di Tatour, ad accompagnare scene di manifestanti palestinesi che si difendevano con pietre e fionde dai militari dell’occupazione israeliana, era stato visto da appena 153 persone. Nonostante ciò, questo video così poco visitato è stato considerato una minaccia così grande dalla sicurezza israeliana da far incarcerare l’autore della poesia. (Un video su Youtube che in parte sembra corrispondere alla descrizione dell’accusa israeliana registra, al momento della stesura di questo articolo, 5150 visite).
Come dimostra la recente indagine, tale sorveglianza online è solo la punta dell’iceberg.

La statistica è stata effettuata dall’organizzazione palestinese 7amleh, attiva per migliorare la sicurezza online nella società civile palestinese. Il suo direttore, Nadim Nashif, ha detto in una dichiarazione pubblicata a stampa che l’indagine stava al centro del lavoro dell’organizzazione, che promuove i diritti dei palestinesi alla libertà di usare internet senza subire l’intercettazione delle proprie comunicazione da corporazioni, governi o altre autorità.

Nel 2014 la sorveglianza israeliana è stata apertamente svelata allorché 43 riservisti dell’Unità 8200 hanno sottoscritto una lettera in cui si impegnavano a non svolgere più azioni di spionaggio sulla popolazione civile palestinese in Cisgiordania e a Gaza.
Secondo un giornalista israeliano i riservisti scrissero che le attività di controllo sui palestinesi comprendevano «la rivelazione delle preferenze sessuali dei palestinesi a fini ricattatori e per ingaggiarli, quindi, come collaboratori. Alternativamente si sfruttavano le ristrettezze economiche o i bisogni di medicinali dei palestinesi che necessitavano di cure in Israele».
Un riservista scrisse: «In parte si sta distruggendo la società palestinese, impedendole di svilupparsi e migliorare». Un altro riservista considera lo spionaggio israeliano sui civili palestinesi alla stregua dell’attività condotta dalla malfamata Stasi nell’ex Germania Est.
Lo scorso anno un’altra organizzazione per i diritti palestinesi osservò l’accresciuta collaborazione tra Facebook e l’autorità di occupazione israeliana allo scopo di eliminare i contenuti palestinesi che potessero rappresentare un’«incitazione» tra chi fa uso dei social media. «L’accusa usa il numero di ‘like’ e di ‘condividi’ dei post senza connettere questi post o questi individui, e considerandoli un atto di violenza. La tendenza è allarmante», ha dichiarato Sahar Francis, direttore di Addameer, all’Independent.
Il fatto che quasi il 20% – uno su cinque – dei giovani palestinesi entro la Palestina storica sia stato arrestato per aver pubblicato qualcosa online è una statistica davvero sconcertante. Essa dimostra il desiderio ossessivo di Israele di controllare ogni aspetto della vita palestinese. In questo contesto si individua una nuova fase nella lunga storia di controllo sociale da parte della brutale occupazione israeliana, che si è semplicemente aggiornata per approfittare dell’era della rete.

Traduzione di Stefano Di Felice