Al-Awda-Italia – Digest Number 2956
Inviato da: "vittorio"
Mer 9 Gen 2008 9:19 pm
Nello sforzo inesausto di accreditarsi come il focolare domestico di
tutti gli ebrei, Israele ha raccattato gente un po’ dappertutto nel
mondo, compresi coloro che da generazioni con la Palestina non
avevano nulla a che spartire, cacciando dalle loro terre gli
originari residenti arabi, a cui tutt’ora viene negato quel diritto
fondamentale sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo che è il diritto al ritorno.
Così è stato anche per i Falasha, gli ebrei di origine etiope
trasportati in Israele con una serie di imponenti ponti aerei a
partire dal 1984-5 e fino al maggio del 1991 (con la cd. "Operazione
Salomone"), i quali attualmente in Israele costituiscono una
minoranza composta da quasi centomila persone.
E tuttavia questi ebrei "importati" non hanno mai avuto vita facile
in Israele, ed anzi hanno subito delle forti crisi di rigetto.
Sporchi, neri ed ignoranti, usi a tradizioni barbare, non sono
riusciti ad integrarsi in quel magnifico e civile Paese che è Israele
e, a causa dell’alta percentuale di disoccupati, di anziani e di
bambini da assistere, hanno cominciato a pesare sempre più sulle
finanze dello Stato ebraico.
Così in Israele, per limitare i costi del Welfare, la Mutua generale
braccio operativo del Ministero della Sanità ha pensato bene di
varare una decisa politica di contraccezione di massa nei confronti
di questa minoranza etiope, un tempo tra i gruppi etnici più
prolifici del Paese.
Come si può notare, il problema demografico continua a costituire una
vera e propria ossessione per i governanti e i burocrati israeliani
Così, ad un certo punto, a molte donne falasha è stato proposto di
assumere il "depo-provera", un anticoncezionale sotto forma di
iniezione i cui effetti durano circa tre mesi: il risultato è stato
sorprendente, laddove si consideri che, in una comunità in cui i
bambini erano in media 5-6 per famiglia, vanno sparendo i nuclei
familiari.
Secondo il quotidiano "La Repubblica" del 7 gennaio, da cui in larga
parte è tratto questo articolo, nel quartiere di Pardes Katz, a Beni
Berak (cittadina nei pressi di Tel Aviv), tra le cento famiglie di
etiopi, negli ultimi tre anni, è nata solo una bambina.
Il problema è che nessuno spiega a questa povera gente quali sono i
pesanti effetti collaterali del "depo-provera", che vanno dal
semplice mal di testa alla depressione all’osteoporosi, nessuno dice
agli uomini che le loro donne fanno queste iniezioni e quali sono gli
effetti, nessuno informa le donne che esistono in realtà altri metodi
anticoncezionali più semplici e con minori ricadute sulla loro
salute, come la pillola.
La notizia di questa campagna anticoncezionale "mirata" svelata al
pubblico dal quotidiano "Yedioth Ahronoth ha suscitato un certo
numero di polemiche in Israele, ed alcuni intellettuali ne hanno
apertamente parlato come di una pratica razzista.
Il portavoce della Mutua israeliana, naturalmente, ha respinto ogni
accusa, affermando che il medicinale in questione viene distribuito
indistintamente a tutta la popolazione, con la dovuta informazione.
Eppure non pare che sia esattamente così, visto che una delle donne
intervistate ha affermato: "quando siamo arrivati, ci hanno detto che
mantenere i bambini qui è molto difficile; poi, ci hanno proposto una
medicina di cui non so nulla".
Secondo Yossi Yonah, professore di filosofia all’Università Ben
Gurion, "in Israele si incoraggia la natalità in maniera selettiva,
non si proporrebbe mai l’iniezione anticoncezionale agli ebrei
ortodossi".
E poi, proseguendo, mette il dito sulla piaga: "La comunità etiope si
sente rifiutata
Cosa dire del sangue donato dai Falasha e poi
gettato? E della discriminazione nelle scuole? Tutto questo puzza di
razzismo".
Ed è proprio questo il punto già ne avevamo parlato Israele è uno
Stato profondamente intriso di razzismo (vedi
usualmente rivolto nei confronti della minoranza araba.
Secondo l’Israeli Democracy Index 2007, solo il 50% degli Israeliani
ritiene che arabi ed ebrei debbano avere uguali diritti, mentre il
55% degli ebrei israeliani sostengono l’idea che il governo debba
incoraggiare gli arabi ad "emigrare".
Uno studio del Center Against Racism (Index of racism for 2006),
pubblicato nell’aprile del 2007, riporta dati ancora più
agghiaccianti: il 49,9% degli ebrei, quando sente parlare per strada
in arabo, prova un senso di paura, il 31,3% disgusto, il 43,6%
disagio, mentre il 30,7% prova odio.
Addirittura il 75,3% degli intervistati dichiara che non accetterebbe
mai di vivere in uno stesso edificio insieme ad arabi, il 61,4%
rifiuterebbe di far visitare loro la propria casa, mentre il 55,6% si
dichiara d’accordo a che arabi ed ebrei dispongano di strutture
ricreative differenziate.
Questi sentimenti fraterni, naturalmente, si riflettono nella
legislazione e nella pratica amministrativa, tanto da aver spinto un
ex ministro israeliano, il laburista Ophir Pines-Paz, a dichiarare
che la politica di Israele verso i cittadini arabi è caratterizzata
da una "discriminazione istituzionale".
Così la minoranza araba (circa il 20% della popolazione) è
discriminata con riguardo all’unificazione familiare,
all’assegnazione delle terre, all’erogazione di fondi per il welfare
e di quelli per lo sviluppo: su quest’ultimo punto Mohammad Barakeh,
leader del partito Hadash, ha recentemente denunciato alla Knesset
che solo il 4% dei fondi per lo sviluppo viene destinato in favore
delle popolazioni arabe.
La minoranza beduina, in particolare, è poi costantemente sotto
attacco da parte del governo israeliano, che tende a confiscare le
loro terre destinandole a sempre nuovi insediamenti urbani e a
comunità agricole "solo per ebrei" nel deserto del Negev.
Adesso assistiamo a questa nuova pratica razzista, stavolta ai danni
degli ebrei "neri" ormai divenuti scomodi e indesiderati, una
subdola e sconcertante campagna di controllo delle nascite condotta
con metodi indegni di un Paese civile.
Chissà che cosa ne penserebbe Papa Ratzinger
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