Quella Gaza che non è sprofondata in mare

MEMO. I cecchini si sono allineati sulla collina e hanno iniziato a colpire i ragazzi disarmati uno per uno. La scena appariva simile a una battuta di caccia con fucili automatici, che termina con la preda abbattuta con un proiettile in testa. Centinaia sono rimasti feriti in poche ore e circa 20 hanno perso la vita. Nessuna delle vittime era armata, né rappresentava un pericolo per i soldati pesantemente armati o per l’integrità del confine con Israele.

Il massacro era ovviamente premeditato, pianificato in anticipo da una leadership israeliana che mirava a contenere i principali raduni pacifici che i profughi palestinesi avevano deciso di organizzare durante le settimane dal 30 marzo in poi per rivendicare i loro legittimi diritti.

Il mondo intero ha assistito a quello che è successo lo scorso venerdì quando decine di migliaia di rifugiati palestinesi nella striscia di Gaza hanno rivendicato il rispetto dei loro diritti e la proprietà delle proprie case e terre nelle zone della Palestina che l’occupazione israeliana usurpò nel 1948. A Gaza, la popolazione di rifugiati di oltre 2 milioni di persone costituisce la maggioranza; vivono in aree sovraffollate e isolate. L’ONU ha già dichiarato che entro il 2020 la Striscia sarà “invivibile”, a causa della scarsità di risorse e della mancanza di accesso all’acqua potabile e ai servizi di base.

Non è necessario che il mondo elabori soluzioni complesse per un’area assediata in cui la maggior parte della popolazione è costituita da rifugiati. L’opzione pratica è facilmente applicabile, consentendo loro di tornare alle loro abitazioni e tornare in possesso di terreni e beni confiscati dalle forze israeliane durante una delle più crudeli operazioni militari che il XX secolo abbia mai visto. Da allora, le autorità israeliane si sono sempre rifiutate di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite, inclusa la risoluzione 194 del 1948 dell’Assemblea generale, e continuano a ignorare le leggi e le convenzioni internazionali. I palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza si rifiutano di rinunciare ai propri diritti. Questa fermezza ha spinto i leader israeliani a considerare la distruzione di massa della popolazione di Gaza, la quale sta crescendo di numero sotto i loro occhi e insiste nel rivendicare i propri diritti, anche perseguendo insurrezioni popolari. A dare voce al desiderio di Israele è stato l’ex primo ministro Yitzhak Rabin, il quale si augurava che la  Striscia di Gaza sprofondasse nel mare. Rabin è stato assassinato da un fanatico israeliano e Gaza è rimasta salda anno dopo anno.

Il desiderio di Rabin non si è mai avverato, ma la leadership israeliana ha continuato a lavorare per gettare Gaza nell’oscurità, tagliando le forniture di elettricità per gran parte della giornata, ogni giorno, impedendo che le forniture mediche entrino nell’enclave e impedendo ai pazienti di viaggiare all’estero. Gaza è stata travolta dai problemi economici e sociali causati dall’assedio guidato da Israele. E ‘chiaro che la profezia delle Nazioni Unite sulla Striscia di Gaza si realizzerà, se non ha già raggiunto quella fase.

Per lo stupore di molti, però, il popolo palestinese non ha ancora alzato la bandiera bianca, né ha rinunciato ai propri diritti. Piuttosto, i palestinesi hanno inviato un chiaro messaggio di sfida e determinazione alle autorità di occupazione israeliane e al resto del mondo con la Grande Marcia del Ritorno. Ognuna delle persone che hanno preso parte alla marcia aveva la propria storia. Mohammed Ayyash, ad esempio, è un ragazzo proveniente da una famiglia originaria di Giaffa. Ha preso parte alla marcia mentre utilizzava una sua invenzione per proteggersi dai gas lacrimogeni che gli israeliani lanciavano sulla folla dai droni che volavano sopra la sua testa. Aveva un’espressione di sfida mentre se ne stava seduto in silenzio, apparentemente indifferente al gas che turbinava intorno a lui. La maschera sul suo viso conteneva della cipolla verde. La sua fonte d’ispirazione è stata l’esperienza vissuta da suo padre che, quando aveva la sua età durante la Prima Intifada, scoppiata 30 anni fa, usava cipolle per ridurre gli effetti nocivi dei lacrimogeni.

È così che i palestinesi ricorrono a semplici soluzioni a cui si aggrappano per non arrendersi di fronte al potere di Israele, che sfrutta la tecnologia e le attrezzature più moderne al mondo per rafforzare la sua occupazione, aggressività e intimidazione. Generazioni di palestinesi hanno raccolto e, a loro volta, trasmesso le proprie esperienze sfidando l’occupazione, a prescindere dagli enormi sacrifici che si sono resi necessari per la libertà nelle successive insurrezioni e atti di resistenza, fino alla “Grande Marcia del Ritorno”. Se alcuni ministri del governo Netanyahu hanno visto l’immagine del “ragazzo che usa le cipolle” al confine di Gaza, potrebbero dover riconoscere che la storia non è ancora finita in Palestina e che dovranno affrontare più problemi con questa nuova generazione palestinese preparata per contrastare l’attuale egemonia di Israele. Gli arroganti ministri israeliani potrebbero ricordare il desiderio di Rabin di svegliarsi e scoprire che Gaza è sprofondata nel mare. Ma ciò non accadrà mai.

Traduzione per InfoPal di Lorenzo D’Orazio