Ragazzo palestino-americano libero, ma altri “marciscono in prigione”

Gerusalemme-Ma’an. Secondo la madre del quindicenne palestineserilasciato domenica su cauzione dopo essere stato pestato dalla polizia israeliana, se il figlio non fosse stato cittadino statunitense, sarebbe stato probabilmente ancora trattenuto nelle prigioni israeliane.

Se Tarek non fosse stato americano, “sarebbe stato messo da parte come un cane”, ha dichiarato Suha Abu Khdeir ai reporter giunti a seguire l’udienza di Tarek alla corte distrettuale di Gerusalemme.

“Sarebbe stato lasciato a marcire in prigione”, ha affermato la donna.

Invece, Tarek è stato condannato a nove giorni di arresti domiciliari fuori dal quartiere di Shufat.

La sua famiglia conta di tornare con lui negli Stati Uniti il 16 di questo mese.

Il ragazzo è stato arrestato giovedì, dopo essere stato brutalmente picchiato da agenti della polizia israeliana a Shufat, quartiere di Gerusalemme, durante gli scontri seguiti alla notizia che il cugino, Muhammad Abu Khdeir, era stato rapito e bruciato vivo, da estremisti ebrei.

Quello stesso pomeriggio si era diffuso un video che mostrava il pestaggio, divenuto virale al diffondersi della notizia che Tarek era cittadino americano.

Il video, oltre alle foto del giovane prima e dopo l’aggressione, aveva portato prima ad una protesta mediatica e, infine, alla condanna dell’attacco da parte del Dipartimento di stato  statunitense.

Suha Abu Khdeir ha dichiarato che il consolato statunitense a Gerusalemme è stato di grande aiuto durante tutta la vicenda.

“Il consolato degli Stati Uniti è stato al nostro fianco fin dal momento in cui abbiamo appreso dell’arresto. Sono stati al nostro fianco giorno e notte”.

Tre dipendenti del consolato statunitense erano presenti all’udienza.

Un dipendente di Addameer, associazione per i diritti dei prigionieri, presente all’udienza, ha dichiarato a Ma’an che la cittadinanza americana di Tarek è stata una delle regioni principali per cui il suo caso ha suscitato più attenzione degli altri.

“Altro motivo è che esso è stato documentato con immagini”, ha affermato Gavan Kelly, coordinatore dell’unità di patrocinio di Addameer.

“La stessa cosa capita in continuazione. Ma non sempre ci sono prove fotografiche”.

È d’accordo anche Ivan Karakashian, della Defense for Children International: “Quello che ci preoccupa è che le forze di sicurezza di Israele hanno iniziato a confiscare ogni tipo di telecamera di sicurezza, ogni strumento che potrebbe provare la loro brutalità”, afferma Karakashian.

“Ciò a cui abbiamo assistito è l’uso brutale di forza eccessiva contro un ragazzo palestinese, un quindicenne, dopo che questo aveva appreso che suo cugino era stato bruciato vivo in quello che sembra un atto di rappresaglia”, ha dichiarato Karakashian a Ma’an.

*Le forze di Israele “pestano persone ogni giorno”*

Dopo aver trascorso più di 48 ore in custodia, un Tarek tranquillo ma coraggioso – il volto ancora gonfio e contuso – ha descritto la sua aggressione ai reporter, immediatamente dopo il suo rilascio.

“Sono arrivati alle spalle e mi hanno colpito a colpito ancora. Poi sono svenuto e mi sono risvegliato all’ospedale”, ha detto il ragazzo.

“Ero fermo a guardare un gruppo di persone, quando sono venuti di fianco”.

Una volta in prigione, Tarek afferma di essere stato trattato bene.

Il ragazzo era uno dei 21 palestinesi comparsi all’udienza alla Corte distrettuale di Gerusalemme la scorsa domenica.

Altri due quindicenni, presenti domenica in tribunale per un procedimento, hanno dichiarato a Ma’an di essere stati arrestati nei pressi di al-Isawiya durante degli scontri con le forze israeliane.

Hanno affermato inoltre di aver visto il video del pestaggio di Tarek e che, per loro, si trattava di qualcosa di assolutamente “normale”.

Le forze israeliane “pestano persone ogni giorni” confessa uno dei ragazzi, Muhammad, a Ma’an.

Due attivisti di Ecumenical Accompaniment Program in Palestine and Israel, presenti all’udienza, hanno riferito a Ma’an di essere lì in supporto a tutti i palestinesi a processo quel giorno.

“Era importante per noi venire qui per esprimere la nostra solidarietà… non solo per Tarek ma per tutti quelli che oggi sono sottoposti a processo” dice un’attivista, Isobel, a Ma’an.

“Ci sono così tanti ragazzi palestinesi che hanno subito le stesse violenze, senza suscitare alcun interesse nei media. Non è un atteggiamento affatto equo”.

*Tempo di lutto*

Il pestaggio di Tarek ed il suo arresto giungono in un momento di grande tensione, durante le proteste di palestinesi in Cisgiordania e in Israele contro l’apparente linciaggio di Muhammad Abu Khdeir, un sedicenne di Shufat.

L’assassinio del giovane ha tutta l’aria di un omicidio per odio razziale compiuto in risposta a quello dei tre ragazzi israeliani, e, secondo quanto un ufficiale israeliano ha dichiarato domenica, sei estremisti ebrei sono stati arrestati nelle relative indagini.

“Questo è tempo di lutto”, ha dichiarato Suha Abu Khdeir ai reporter mentre lasciava le aule del tribunale.

“Siamo ancora in lutto per Muhammad Abu Khdeir, e ora questo. Dovrei essere al fianco della madre di Muhammad ed invece sono al fianco di mio figlio”.

La donna ha dichiarato inoltre la sua intenzione di sporgere denuncia e richiedere un’indagine sui poliziotti che hanno pestato il figlio.

Un portavoce della polizia israeliana ha comunicato che il Dipartimento di Giustizia sta “esaminando le circostanze e gli eventi che hanno seguito l’arresto”.

Lo stesso ha dichiarato che “sei palestinesi, col volto coperto dalla kefiah” sono stati arrestati nella stessa circostanza, e che tre di loro erano armati di coltelli.

Secondo il Defense for Children International Palestine, 214 minori palestinesi erano trattenuti – a questo maggio – nelle carceri israeliane.

Oltre 8.000 ragazzi sono stati reclusi dal 2000, secondo Addameer.

Traduzione di Luca Fortunato