Rapporto: in Cisgiordania 3.455 strutture israeliane sono sorte su terreni privati palestinesi

Betlemme-Ma’an. Mercoledì scorso sono emersi alcuni rapporti secondo i quali, in Cisgiordania, almeno 3.500 strutture israeliane sono sorte su terreni privati palestinesi e rischiano di essere legalizzati retroattivamente a causa della legge israeliana sulla Regolarizzazione degli avamposti, approvata all’inizio di quest’anno.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, i dati pubblicati dalla amministrazione civile di Israele rivelano che 3.455 abitazioni ed altri edifici israeliani sono stati costruiti su terreni privati palestinesi in Cisgiordania, edifici costruiti illegalmente sia secondo la legge israeliana che secondo quella internazionale.

Il rapporto ha evidenziato nel dettaglio che queste strutture sono incluse in tre categorie di terreni privati.

La prima categoria comprende 1.285 strutture che sono state costruite su “terreni palesemente privati” e che non sono mai stati dichiarati come territori dello stato di Israele. Di queste strutture, 543 sono state edificate su terreni i cui proprietari palestinesi sono conosciuti e che hanno regolarmente e formalmente registrato i terreni – riconosciuti come “terreni privati regolarizzati” dalla amministrazione civile.

Le altre strutture sono risultate essere di proprietà privata dopo che le foto aeree avevano rivelato che erano state coltivate per anni dai Palestinesi; ciò significa che, secondo le leggi del periodo ottomano ancora applicate in Cisgiordania, questi terreni erano e sono tuttora in possesso dei Palestinesi che li coltivavano.

La seconda categoria riguarda 1.048 strutture israeliane che “sono state costruite su terreni privati designati precedentemente come terreni statali”. La terza, invece, consiste di 1.122 strutture che sono state costruite in Cisgiordania oltre 20 anni fa “quando le leggi di pianificazione in Cisgiordania erano rispettate a malapena”.

In totale, come ha riportato Haaretz, circa il 45% delle strutture edificate su terreni privati palestinesi sono state costruite su “terreni privati regolarizzati” mentre le altre strutture sono su terreni che non hanno proprietari legalmente confermati.

Tutte queste strutture rischiano di essere legalizzate retroattivamente a causa della controversa legge israeliana sulla Regolarizzazione.

La legge stabilisce che qualsiasi colonia costruita nella Cisgiordania occupata “in buona fede” – senza essere a conoscenza che il terreno sul quale è stata costruita era di proprietà privata di Palestinesi – potrebbe essere ufficialmente riconosciuta da Israele in attesa di un minimo segno di supporto da parte del governo con la sua legislazione e di alcune forme di compensazione ai proprietari terrieri palestinesi.

Il governo israeliano ha difeso la legge presso la Corte Suprema di Israele, reclamando che l’espropriazione di terreni di proprietà palestinese avrebbe beneficiato i Palestinesi in quanto a causa di essa avrebbero ricevuto compensazioni in denaro.

Tuttavia, le associazioni per i diritti hanno dichiarato che attualmente la legge viola il diritto internazionale ed è incostituzionale. Il gruppo israeliano per i diritti ACRI ha affermato che l’approvazione della legge è stata “un chiaro atto di applicazione della sovranità” alle colonie israeliane in Cisgiordania, mentre Israele dovrebbe continuare a governare i Palestinesi con la legge militare israeliana. ACRI ha definito la legge “un atto di annessione illegale”.

Altri hanno sottolineato il fatto della logica discriminatoria nell’applicazione della controversa legge ai coloni israeliani residenti in Cisgiordania in violazione del diritto internazionale, mentre negano ai Palestinesi della Cisgiordania i diritti sulle loro stesse terre, preparando con ciò il terreno per esacerbare le ruberie di terreni da parte di Israele nei territori palestinesi, rafforzando allo stesso tempo un regime di separazione nella regione.

La ONG israeliana Peace Now ha avvisato nel novembre scorso che circa 4.000 strutture israeliane potrebbero essere legalizzate retroattivamente in applicazione della legge.

Da quando è iniziata l’occupazione della Cisgiordania, compresa Gerusalemme, nel 1967, circa 600.000 israeliani si sono spostati nelle colonie ebraiche nei Territori occupati palestinesi, nonostante la comunità internazionale condannasse regolarmente le attività delle colonie come il maggiore ostacolo per la pace nella regione e come una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Nel frattempo, le autorità israeliane hanno anche effettuato movimenti azzardati negli ultimi mesi allo scopo di consolidare il controllo su Gerusalemme Est occupata, formalmente annessa da Israele nel 1980 e allo stesso tempo considerata la capitale di un futuro stato palestinese.

Una legge che tende a prevenire in futuro qualsiasi possibile suddivisione di Gerusalemme, modificando la Legge Fondamentale Israeliana su Gerusalemme che necessita dell’approvazione di 80 dei 120 componenti del Knesset per apportare modifiche, invece della solita maggioranza dei votanti, ha passato una lettura preliminare il mese scorso.

I ministri della estrema destra israeliana hanno stabilito che la legge tende a prevenire la creazione di un futuro stato palestinese.

Durante una sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, martedì scorso, l’Assistente del Segretario Generale per le Questioni Politiche, Miroslav Jenea, ha detto che la legge “potrebbe ulteriormente fortificare il controllo israeliano su Gerusalemme Est occupata e potrebbe limitare la possibilità di entrambe le parti di raggiungere una soluzione negoziata che sia in linea con le risoluzioni dell’ONU e gli accordi precedenti”.

Ha anche avvisato che la mossa potrebbe “diffondere la violenza” nella regione.

Mentre i membri della comunità internazionale hanno accantonato la soluzione del conflitto israelo-palestinese a causa della sospensione delle colonie illegali di Israele e la creazione di una soluzione dei due stati, i leader israeliani si sono invece spostati ulteriormente verso la destra, con oltre il 50% dei ministri dell’attuale governo israeliano che si dichiarano apertamente contrari all’esistenza di uno stato palestinese.

Traduzione di Aisha T. Bravi