Imemc e PIC. Rapporto sulle demolizioni e sugli spostamenti dell’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati (OCHA).
A dicembre, le autorità israeliane hanno demolito, costretto le persone a demolire o sequestrato 67 strutture di proprietà palestinese in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, provocando lo sfollamento di 50 persone, compresi 30 bambini, e influenzando diversamente i mezzi di sussistenza o l’accesso ai servizi di altri 400 e più.
Tutte le strutture erano situate nell’Area C o Gerusalemme Est e sono state prese di mira a causa della mancanza di permessi di costruzione, che per i palestinesi sono quasi impossibili da ottenere. Per sette delle strutture situate in tre comunità dell’Area C era stato previsto un aiuto umanitario, per un costo totale di oltre 14.000 euro.
In uno dei più grandi incidenti, avvenuto nella comunità beduina di Ras ‘Ein al’ Auja (Gerico), le autorità israeliane hanno sequestrato sette strutture senza preavviso, tra cui tre case in costruzione e quattro strutture legate ai mezzi di sussistenza, danneggiando 45 persone. In aggiunta cinque strutture sono state prese di mira in tre comunità beduine nel governatorato di Gerusalemme, situate all’interno o intorno a un’area pianificata per un grande progetto di insediamento (il piano “E1”).
Il piano, ad oggi in fase di approvazione finale, prevede la costruzione di 3.500 unità abitative, mettendo 18 comunità beduine ad un elevato rischio di trasferimento forzato. Inoltre, nella valle del Giordano settentrionale (Hammamat al Maleh), un asilo nido finanziato da donatori ha ricevuto un ordine di demolizione, sebbene serva a numerose comunità beduine.
Sempre nell’Area C, vicino al villaggio di Suba (Hebron), le autorità israeliane hanno raso al suolo circa 30 dunam di terreno agricolo, sostenendo che l’area era stata dichiarata “terra demaniale”. Come risultato, i terrazzamenti agricoli e le recinzioni circostanti (qui contate come un’unica struttura) sono stati distrutti e circa 930 ulivi, viti, mandorli e cactus sono stati sradicati, compromettendo i mezzi di sussistenza di otto famiglie.
Nel quadro di una petizione contro le demolizioni di massa nell’area di Massafer Yatta, a sud di Hebron, il 24 dicembre, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha emesso un provvedimento cautelare che impedisce temporaneamente la demolizione di varie strutture, tra cui case, una scuola, una clinica e mezzi di sussistenza – strutture correlate. Questa zona era stata dichiarata chiusa per l’addestramento militare israeliano (“Firing Zone 918”) mettendo a rischio di sfratto circa 1.400 residenti palestinesi. Questi residenti devono anche affrontare continue demolizioni, restrizioni di accesso e violenza da parte dei coloni.
Il numero cumulativo di strutture demolite o sequestrate nel 2020 (849) in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e il numero di palestinesi di conseguenza sfollati (996), sono i più alti dal 2016. Anche il numero di strutture di aiuto finanziate dai donatori, prese di mira nel 2020 (156), è il più alto dal 2016.
Gli impegni presi dalle autorità israeliane per fermare la demolizione delle case abitate durante la crisi del COVID-19 sono stati ampiamente ignorati. Insieme al ripetuto attacco all’acqua e alle strutture igienico-sanitarie, queste pratiche hanno minato la capacità delle famiglie già vulnerabili di far fronte adeguatamente alla pandemia.
Una delle principali tendenze osservate nel 2020 è stato l’aumento dell’uso di ordini militari e altre normative, che impediscono o limitano la capacità delle persone di contestare legalmente il targeting delle loro case e le fonti di sostentamento nei tribunali israeliani.
Nell’area C, il 30% delle strutture interessate nel 2020 (202 su 666) è stato sequestrato senza preavviso, rispetto all’11% nel 2017 e all’8% nel 2016. Un altro 13% delle strutture nell’Area C (88) è stato demolito sulla base del Military Order 1797, che prevede un preavviso di 96 ore e motivi molto limitati per contestare legalmente una demolizione.
A Gerusalemme Est si è registrato un forte aumento della percentuale di strutture demolite dai proprietari, a seguito dell’emissione di ordini di demolizione, che hanno raggiunto il 47% nel 2020, contro una media del 23% nei quattro anni precedenti. Ciò è attribuito alla nuova legislazione israeliana, che ha limitato l’autorità dei tribunali israeliani a intervenire e ha consentito alla municipalità di Gerusalemme di esercitare pressioni sulle famiglie colpite affinché demoliscano da sole le loro proprietà.
Traduzione per InfoPal di Silvia Scandolari