Rassegna del 29 marzo.

Rassegna stampa del 29 marzo.

A cura di Chiara Purgato.

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M.O./ Israele ribadisce posizione su Gerusalemme: No a concessioni

Ministri Begin e Lieberman restano intransigenti

Roma, 29 mar. (Apcom) – Israele non ha intenzione di cedere alle richieste degli Stati Uniti su Gerusalemme e, secondo tre influenti ministri del governo Netanyahu, manterrà la propria posizione in merito alla costruzione di nuovi insediamenti nella zona Est della città santa.

Per Benny Begin, ministro senza portafoglio e membro del gabinetto dei sette ministri più vicini a Netanyahu, lo status di Gerusalemme può essere risolto solo attraverso negoziati diretti con i palestinesi, non in anticipo. “E' irritante e anche preoccupante” la richiesta statunitense, ha sottolineato Begin nel corso di un intervento a Radio Israele. “Questo mutamento porterà l'esatto contrario dell'effetto sperato: una radicalizzazione della politica degli arabi e dell'Autorità nazionale palestinese”, ha detto Begin.

In un'intervista a un quotidiano israeliano, il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha ricordato come la richiesta di congelamento degli insediamenti da parte di Obama ricomprenda molti quartieri ebraici di Gerusalemme. “Non ho sentito nessuno tra i sette che sia disposto ad accettare questa richiesta”, ha precisato il falco della destra israeliana. “Nei giorni passati ho capito che non c'è margine per altre concessioni”.

Secondo il ministro della Difesa, Ehud Barak, unico esponente di centrosinistra nel gabinetto, solo Israele è responsabile della propria sicurezza, anche se è vitale avere relazioni forti con gli Stati Uniti. Per il leader del partito laburista comunque le richieste specifiche degli Stati Uniti sono meno importanti del messaggio inviato da Israele: lavorare assieme agli Usa per il processo di pace.

 

 

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Pasqua di tensione a Gerusalemme

Per ora nessun incidente, polizia mantiene elevato stato allerta

29 marzo, 15:43

(ANSA) – GERUSALEMME, 29 MAR – Clima di tensione, ma finora nessun incidente, nella Citta' Vecchia di Gerusalemme, in attesa delle celebrazioni pasquali.

La polizia israeliana mantiene un elevato stato di allerta per prevenire disordini mentre la popolazione ebraica iniziera' in serata i riti. Per motivi di sicurezza l'esercito mantiene chiusi, fino alla nottata del 5 aprile, i valichi di transito fra Gerusalemme e la Cisgiordania.

 

MO: licenziati insegnanti pro Hamas

Dall'Autorita' nazionale palestinese in Cisgiordania

29 marzo, 16:13

(ANSA) -GERUSALEMME, 29 MAR -Centinaia di insegnanti e di imam sospettati di simpatizzare con Hamas sono stati licenziati dall'Autorita' palestinese in Cisgiordania. Lo riferisce il quotidiano israeliano Jerusalem Post. I licenziamenti, effettuati negli ultimi due anni. fanno parte di una campagna che l'Autorita' palestinese sta conducendo per contrastare l'influenza di Hamas e impedirli di assumere il controllo in Cisgiordania, dopo averlo preso con la forza due anni fa nella striscia di Gaza.

 

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29/03/2010Palestina, l'Anp licenzia gli insegnanti che si rifiutano di collaborare contro Hamas

La decisione di allontanare gli insegnanti sarebbe stata presa dagli ufficiali di sicurezza palestinesi e non dal dicastero

La scorsa settimana il ministro dell'Educazione dell'Autorità nazionale palestinese ha licenziato una insegnate, Hadeel Mafarjeh, dalla scuola dove insegnava da sole due settimane, nella città di Beitunya, a ovest di Ramallah. I colleghi la descrivono come una devota musulmana “che conosce il Corano con il cuore” e spiegano che non ha legami né con Hamas, né con altre fazioni palestinesi. Altri insegnanti denunciano di essere stati licenziati dopo essersi rifiutati di collaborare come informatori delle forze di sicurezza dell'Anp. Un docente di inglese di un villaggio vicino a Ramallah ha spiegato al 'The Jerusalem Post di essere stato portato una mattina nel quartier generale del Servizio di Intelligence dell'Anp a Ramallah, dove gli avrebbero chiesto di spiare i suoi colleghi. Dopo aver rifiutato, è stato licenziato. “Non appartengo ad alcuna organizzazione palestinese – ha detto -. Mi hanno licenziato solo perché mi sono rifiutato di lavorare come informatore. Sono le stesse tecniche usate dagli israeliani”. Alcuni insegnanti sono stati, invece, licenziati perché alcuni familiari sono sospettati di far parte di Hamas. Una docente di Betlemme è stata allontanata dopo sei anni di lavoro perché il marito era stato arrestato dall'Anp con il sospetto di essere affiliato ad Hamas. Il primo ministro “Salam Fayyad sta combattendo Hamas a nostre spese – ha detto un'insegnante di 38 anni di Nablus, licenziata nel 2008 per le stesse ragioni -. Persone innocenti ne stanno pagando il prezzo”. I rappresentanti dei docenti licenziati hanno scritto a vari Ong in difesa dei diritti umani chiedendo attenzione e hanno inviato una lettera al primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh, chiedendogli di parlare della situazione nel corso dei prossimi “colloqui di riconciliazione” tra il movimento islamico e Fatah. Intanto una fonte del ministero dell'Educazione dell'Anp ha detto che la decisione di allontanare gli insegnanti è stata presa dagli ufficiali di sicurezza palestinesi e non dal dicastero. “Agiamo in base a istruzioni ricevute dai servizi di sicurezza – ha detto la fonte al 'The Jerusalem Post' -. Non facciamo domande quando si tratta di questioni di sicurezza”. L'epurazione degli imam in Cisgiordania passa invece tramite Mahmoud Habbash, il ministro degli Affari religiosi dell'Anp. Habbash, ex residente della Striscia di Gaza ed ex membro di Hamas, negli ultimi due anni ha licenziato più di 300 imam sospetti di essere affiliati al movimento islamico. Vietato anche usare le moschee per proporre “letture private” dell'Islam e della Sharia, la legge islamica. Il ministero, che controlla più di 800 moschee in Cisgiordania, ha imposto infine severe restrizioni per i sermoni del venerdì. Le prediche devono infatti essere approvate prima di giungere al pubblico in quanto non devono contenere critiche all'Anp. “Fayyad non può chiudere le moschee, così allontana i predicatori che non sostengono l'Autorità nazionale palestinese o che rappresentano una voce critica”, ha precisato un imam di Tulkarm licenziato sette mesi fa. C'è anche la storia dell'imam di Hamas Majd Barghouti, di Ramallah, morto in una prigione dell'Anp lo scorso anno. Secondo la famiglia sarebbe stato torturato fino al decesso.

 

 

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– Domenica delle Palme: code tranquille di pellegrini cristiani si accalcano attorno alle porte della Gerusalemme antica, ripercorrendo le stesse strade calcate da Gesù Cristo. La scena è idilliaca, la folla dei fedeli è multicolore e multirazziale, come a San Pietro durante l’Angelus. Tutto questo avviene sotto lo sguardo vigile della polizia israeliana. Proviamo a pensare la stessa scena se, al posto dei poliziotti con la divisa blu e la camicia azzurra di Israele, ci fossero i miliziani con la divisa nera e i pantaloni mimetici del partito Hamas… I cristiani avrebbero la stessa libertà e tranquillità?

Sì, risponderebbero le autorità del partito islamico, per attirare il consenso dell’opinione pubblica. No, risponderebbero i cristiani di Gaza, che il potere di Hamas lo subiscono ormai da quattro anni e sono costretti a subire intimidazioni, a veder bruciare i propri luoghi di culto e le proprie sedi dell’Ymca, a non doversi sposare in pubblico e con la musica per timore dei nuovi guardiani religiosi dell’ordine, come in un qualsiasi regime integralista islamico. Si dirà che Gerusalemme non è contesa fra Israele e Hamas, ma fra Israele e l’Autorità Palestinese, cioè la Palestina moderata, quella di Abu Mazen e del premier liberale Fayyad, che già da anni permette regolari pellegrinaggi nei luoghi di culto cristiani di Betlemme.

Ma al di fuori di Natale e Pasqua, festività di interesse internazionale, l’Autorità Palestinese garantisce libertà di culto negli altri 363 giorni all’anno? No, a giudicare dalla drastica riduzione dei cristiani nei territori che controlla. A Betlemme erano la maggioranza della popolazione. Adesso sono una sparuta minoranza (15% della popolazione). Il sindaco della città, un musulmano di Hamas, nel 2005 impose addirittura la tassa sugli infedeli, la tradizionale jizya, come ai tempi dell’Impero Arabo e dell’Impero Ottomano: vuoi vivere? Fai atto di sottomissione e paga la tassa ai musulmani. Il giornalista investigativo Khaled Abu Toameh, nel 2007, aveva scritto una lunga inchiesta sulle minacce subite dai cristiani in Cisgiordania (la Palestina “moderata”, dunque, non quella di Gaza controllata da Hamas): imprenditori costretti a chiudere, terre rubate, occupate o sottratte con la frode, donne molestate, minacce di morte per chi non si converte. “Dalla fondazione dell’Autorità Palestinese” – scrive Toameh – “Neanche un singolo cristiano ha ottenuto un posto di rilievo nell’amministrazione pubblica”.

Se i cristiani subiscono una persecuzione strisciante, non dichiarata e dissimulata da tolleranza (e la Chiesa, soprattutto quella locale, continua a parteggiare per la causa palestinese), la presenza degli ebrei in Palestina è a dir poco inconcepibile. I luoghi di pellegrinaggio ebraici, come la Tomba dei Patriarchi a Hebron, sono costantemente a rischio. Gli ebrei che vi si recano, devono farlo con la scorta della polizia, in autobus con i vetri blindati, spesso oggetto di sassaiole. Nella striscia di Gaza, quando gli ebrei dovettero lasciare le loro case e le loro serre al momento del disimpegno militare (estate del 2005), le sinagoghe rimaste furono tutte bruciate dai nuovi padroni del territorio.

Perché è bene ricordare questa intolleranza palestinese musulmana, latente e manifesta, quando è Israele che sta “ostacolando” il processo di pace con la costruzione dei nuovi insediamenti? Perché il problema è lo stesso: i palestinesi non accettano la presenza di ebrei nel loro futuro territorio. La loro presenza, la loro stessa esistenza è l’“ostacolo” che tanto fa indignare l’opinione pubblica internazionale, l’Onu, l’Ue e Obama. I palestinesi non accettano la presenza di ebrei nei territori che sono già amministrati dall’Autorità Palestinese. Non li accettano nei territori che prevedono di amministrare nei prossimi due anni, compresa Gerusalemme Est che, pur essendo territorio israeliano al 100%, è già stata proclamata dal governo palestinese come capitale del futuro Stato indipendente.

Il premier Fayyad aveva dichiarato, solo nel 2008, che non ci sarebbero stati problemi a dare la cittadinanza e tutti i diritti ai cittadini ebrei della futura Palestina indipendente. Ma adesso ha gettato la maschera, indignandosi per la costruzione di 1600 appartamenti a Ramat Shlomo, in un quartiere di Gerusalemme Est. Al di là della confusione mediatico-diplomatica che si è creata attorno al caso, la sostanza del problema è che: non accetta la presenza di 1600 famiglie ebraiche nel suo territorio. Non vuole neppure sentir parlare di 20 (venti) nuovi appartamenti nella struttura di Sheikh Jarrah, in un’area che apparteneva agli ebrei prima della Guerra di Indipendenza (1948), poi fatta sgomberare con la forza dai soldati giordani occupanti.

Per i palestinesi più militanti, più vicini a Hamas, non solo è un problema la presenza di nuove case ebraiche nell’Anp o nella futura Anp, ma anche quello che gli ebrei fanno nei quartieri ebraici. L’inaugurazione della sinagoga Hurva, ad esempio, è un fatto interamente interno al quartiere ebraico di Gerusalemme. Eppure ha scatenato una rivolta alimentata da Hamas (“giornata della rabbia”) e appoggiata dal movimento islamico israeliano, formato da cittadini israeliani di religione musulmana. La sinagoga Hurva, storicamente importante per Israele (fu visitata da Herzl all’alba del sionismo e fu teatro del primo reclutamento della Legione Ebraica, il primo progenitore dell’esercito israeliano nella I Guerra Mondiale), fu fatta saltare in aria nel 1948 dalle truppe occupanti giordane. Dopo aver compiuto questo bel gesto di intolleranza religiosa, il comandante della Legione Araba ebbe anche modo di dichiarare con orgoglio: “Per la prima volta in mille anni non resta un solo ebreo nel quartiere ebraico di Gerusalemme”. E questo a soli tre anni dalla fine dell’Olocausto. La “giornata della rabbia” non può che essere letta, dunque, una protesta contro gli ebrei che “osano” ritornare nei loro quartieri.

Ed eccolo che riaffiora, il passato recente: quando Gerusalemme Est fu occupata dalla Giordania, dal 1948 al 1967, gli ebrei furono oggetto di un’espulsione di massa. Non solo la sinagoga Hurva, ma anche tutte le altre sinagoghe, i negozi, le case, le biblioteche, furono date alle fiamme. Una comunità antica di 1000 anni, sopravvissuta sotto le autorità prima arabe e poi ottomane, subì un tentativo di cancellazione fisica. Gli ebrei lo ricordano. E venderanno cara la pelle prima di cedere di nuovo, a un’Autorità Palestinese tutt’altro che tollerante, tutta la metà orientale della loro capitale. E’ questo ciò che le cancellerie occidentali (compreso Berlusconi) vedono come un “ostacolo” al processo di pace. E’ questa tenacia a non veder replicare il passato che fa indignare Barack Obama e lo induce a far entrare Netanyahu dalla porta di servizio della Casa Bianca, abbandonandolo da solo, nella sala Roosevelt, mentre lui andava a mangiare, nel bel mezzo della trattativa.

 

 

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Gaza, tracce di metalli pesanti nelle bombe israeliane

  
I segni di “Piombo fuso”, l'ultima offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, sono rimasti  nei capelli dei bambini palestinesi. 

In base ai risultati di uno studio pilota condotto dal New Weapons Research Group (Nwrg), gruppo indipendente di scienziati con base in Italia, tracce di metalli pesanti sarebbero infatti presenti nei capelli di quei giovani che vivono nelle aree più duramente colpite durante l’attacco del gennaio 2009.

Il Nwrg è giunto a queste allarmanti conclusioni dopo aver esaminato ritagli di capigliatura appartenenti a 95 persone, tra le quali sette donne in stato di gravidanza e quattro feriti, residenti nelle località di Beit Hanun, Gaza (zona Zeitun) e Beit Lahya. 

Cromo, cadmio, cobalto, tungsteno e uranio sono stati rilevati in percentuali due o tre volte superiori alla media in tutti i casi esaminati. Per 39 casi sono stati disposti anche controlli ulteriori.  

Già alla fine del 2009, lo stesso Nwrg aveva lanciato l’allarmerilevando una consistente presenza di metalli pesanti, come ad esempio il piombo, all’interno di quattro crateri provocati dai bombardamenti israeliani. 

L'esposizione prolungata ai metalli contenuti nelle bombe sganciate da Israele nelle sue ultime operazioni militari può provocare danni all'ambiente, ma soprattutto è causa di gravissime malattie per l’uomo. In base a uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità, l’esposizione al cromo può causare danni a fegato e reni e ai tessuti circolatori e nervosi. Non solo. L’eccessiva presenza di cadmio è alla base di disfunzioni renali, osteoporosi e risulta estremamente nociva per il sistema cardiovascolare e scheletrico. Il piombo, infine, è responsabile di alterazioni correlate ai sistemi gastrointestinale, cardiovascolare, nervoso, renale, ematopoietico e riproduttivo. 

Già nei giorni e nei mesi immediatamente successivi alla fine dell’operazione israeliana alcune indiscrezioni giornalistiche riportavano come durante l’operazione militare fossero state utilizzate bombe all’uranio impoverito e nuove tipologie di ordigni chiamati Dime (acronimo di Dense Inert Metal Esplosive). Indiscrezioni successivamente confermate da autorevoli fonti dell’esercito israeliano che aprirono un’inchiesta interna per verificare le eventuali responsabilità in merito. 

In particolare, proprio l’impiego delle bombe Dime potrebbe esser stato devastante tanto nell’immediato quanto nel medio e lungo periodo. 

L'ordigno pare infatti essere composto da un leggero involucro in fibra di carbonio riempito a sua volta da una combinazione esplosiva alla quale vengono poi aggiunte micro-particelle inerti solitamente ricavate da metalli pesanti (tungsteno, nichel, cobalto o uranio). La testata appare composta di fibra di carbonio e resina epossidica integrata con acciaio e con l’ulteriore aggiunta di una lega di tungsteno. 

Gli agenti inquinanti sprigionati dalla deflagrazione con il tempo si integrano con l’ambiente circostante: entrano nel terreno, nelle falde acquifere, nel ciclo di formazione delle piogge, contagiando il cibo e le acque dell’intera popolazione della Striscia di Gaza. 

Un vento di pace per la Palestina

Oltre ai controlli, ai checkpoint e agli arresti, nei Territori occupati palestinesi (Tpo) c’è anche una scuola costruita nel deserto con materiali di recupero, una cooperativa che produce ed esporta sandali in pelle e una web tv gestita dai bambini dei campi profughi. Questi sono solo alcuni dei progetti attivati dalla onlus Vento di Terra (Vdt) in Cisgiordania tra Gerico, Ramallah e Qalandia.

Fondata nel 2006, VdT rappresenta il punto di intersezione tra diverse competenze e professionalità in ambito educativo, formativo, di bio-architettura e di cooperazione internazionale. Ne parliamo con Dario Franchetti, uno dei membri dell’organizzazione italiana che opera nei Tpo.

Dove e come opera VdT?
I settori principali di cui ci occupiamo sono quello educativo, i servizi sociali e la costruzione di edifici secondo le regole della bioarchitettura e del riciclo. Da qualche anno abbiamo anche avviato dei progetti per lo sviluppo della microeconomia locale. L’idea di base è quella di sostenere i servizi sociali attraverso i progetti avviati in ambito economico, per garantire funzionalità ai servizi attraverso un’economia locale strutturata secondo le regole del commercio equo e solidale.

In questo momento è attivo il progetto “Impronte di Pace” per la fondazione di una cooperativa no profit nel campo profughi di Qalandia (situato tra Ramallah e Gerusalemme, ndr). Oggi la struttura funziona e produce già dei sandali in pelle. Dopo aver collaborato per tanto tempo con le cooperative di Hebron specializzate nella lavorazione della pelle, abbiamo deciso di scegliere un prodotto e una manifattura tipicamente palestinese. Nella prima fase del progetto abbiamo sperimentato le possibilità di collaborazione tra i vari partner locali, come la Shu’Fat al-Quds Society e il Child Center di Qalandia, che si occupano di educazione extrascolastica e attività psicosociali per i minori. In questo momento il prodotto è sul mercato e quest’anno verrà distribuito nella rete nazionale del commercio equo e solidale dalla cooperativa Nazca.

Oltre ai servizi sociali e alle attività economiche, avete costruito una scuola a Gerico utilizzando dei materiali di recupero. 
Il progetto è nato dalla collaborazione tra la VdT e la comunità dei beduini Jahalin che vivono in quest’area. L’esigenza era di costruire una scuola utilizzando un budget estremamente limitato, in un luogo caratterizzato da condizioni geografiche e climatiche estremamente difficili (si va dai 50 gradi dell’estate ai 5 dell’inverno). Ai problemi logistici si sommano quelli legali: la scuola doveva sorgere nell’area C, una zona su cui gravano una serie di limitazioni all’edilizia palestinese. Gli architetti dell’Arco hanno deciso di utilizzare delle risorse locali e l’utilizzo degli pneumatici si è dimostrata una scelta vincente: siamo riusciti a riciclare del materiale in disuso costruendo una struttura isolata dal caldo e dal freddo, dotata di pannelli solari. 

Come è la Palestina di oggi rispetto a quella che hai conosciuto nel 2004? 
Noto una disgregazione sociale sempre maggiore, legata alla mancanza di una leadership. C’è una frammentarietà sempre crescente e questo si percepisce osservando l’universo di organizzazioni e movimenti che agiscono in completa autonomia. 

Negli ultimi giorni si è accennato al rischio di una nuova escalation di violenze. Pensi che possa esplodere una terza intifada?

In questo momento ci sono tanti gruppi che agiscono istintivamente, spinti solo dalla rabbia. Quindi non credo che ci siano le basi perché possa nascere una terza intifada. Ma le difficoltà restano tante, soprattutto per gli spostamenti. Bastano una manciata di chilometri e si è costretti a superare un muro o un checkpoint, per non parlare dell’impossibilità di accedere a Gerusalemme o a Israele. Spesso occorrono 4 ore per percorrere 30 chilometri. Le restrizioni e i controlli distruggono la vita economica della società palestinese, impedendo ogni possibile scambio commerciale.

Negli ultimi mesi c’è stata una nuova ondata repressiva da parte dell’esercito israeliano contro le organizzazioni civili e i gruppi della resistenza. 
La repressione israeliana si sveglia, colpisce con forza e poi si riaddormenta. Credo sia una strategia che sta dando i suoi frutti: se assedi una popolazione è più probabile che questa reagisca violentemente, mentre se tiri la corda e poi la lasci andare diventa una routine. Purtroppo mi sembra che la popolazione palestinese si sia rassegnata. Dal 2002 ad oggi ho potuto notare un progressivo annullamento della forza propositiva. 

 

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Questa è stata davvero fantastica!

Preambolo: Tuba è una grotta e due tende su una collina, a cui vezzosamente si dà il nome di villaggio. Si tratta di due famiglie – due fratelli con una decina di figli ciascuno – trasferitisi in questa zona dopo l’esodo da quello che nel 1948 stava diventando l’odierno Israele.

Tuba non dista molto dal villaggio di At-Tuwani (1), una ventina di minuti a piedi, se non fosse che la strada diretta passa proprio tra la colonia e l’avamposto.(2) Questa strada “corta” è quella che i bambini di Tuba percorrono per andare tutti i giorni a scuola ad At-Tuwani, il famoso percorso che prevede la scorta militare e da parte nostra il controllo (3) che questa venga effettuata nei termini previsti. Da quando sono qua non è mai successo una volta che il protocollo venisse rispettato alla lettera, comunque tra ritardi e carenze la jeep arriva più o meno sempre, e i bambini possono passare.

In caso di assenza della scorta non possono percorrere la strada diretta tra Tuba e At-Tuwani, sarebbero quasi sicuramente attaccati, come successo tante volte prima che la Knesset intervenisse – ma una strada che scavalcando alcune colline passa attorno dall’avamposto e che noi percorriamo in circa un’ora a passo deciso).

Tuba stessa, così vicina ad Avat Ma’on, in passato è stato ripetutamente attaccata dai coloni, così è stato stabilito che Operazione Colomba e CPT , alternandosi, passino nel villaggio le due notti di venerdì e sabato (4), giorni in cui l’attacco è più probabile.

Dormire in grotta a Tuba ha dell’incredibile: entrando si vede quella che per questa famiglia di pastori è tutta la loro casa: un tendaggio sbrindellato delimita la cucina a sinistra, il soggiorno è unalivellatura nella roccia, leggermente rialzata, di due metri per due, mentre la camera da letto è semplicemente il proseguimento del soggiorno.

C’è di tutto accatastato alle pareti della grotta, vestiti, una radiolina a transistor  degli anni 70, tenuta assieme con lo spago e sintonizzata sulla BBC in arabo. Sacchi di granaglie, cianfrusaglie, tante coperte.

E poi l’ospitalità araba: il patriarca – quarant’anni? – col turbante, disteso su un fianco, sfaccendato, il cui unico compito è intrettenere noi Ajaneb [stranieri]. Tutti gli altri sono mobilitati: le donnepreparano la cena in cucina, quasi invisibili. Le figlie di età intermedia e i bambini aiutano nella logistica, e talvolta si accucciano dietro il padre o giocano. I bambini più piccoli scorazzano, mentre i figli maschi più grandicelli tendono ad affiancare il padre nel fare gli onori di casa, ma non dirigono la conversazione.

Si parla solo in arabo, ma per fortuna F. fa da interprete. La cena è il solito pollo con riso, un piatto da portata da cui mangiano da tre a cinque persone, le donne e i bambini sono nascoste in cucina, il dubbio è che la loro cena sia quello che avanziamo noi. Poi l’immancabile tè, ancora due parole, e quando il sole è già tramontato si distendono i materassini: uomini e bambini da una parte, bambine dall’altra, donne sempre invisibili in cucina. Coperte polverosissime e dall’odore vagamente di capra, alle 20 si spegne la luce, silenzio…

Un momento… si spegne la luce?!?!

Già, perchè Tuba ha un’altra particolarità: in questo nido di pastori dove non esiste acqua corrente, gas o strade, dove a scuola si va a piedi scortati dall’esercito e a Yatta si va in asino,da qualche mese è arrivata l’elettricità.

E con lei le lampade compatte fluorescenti, i cellulari, unfrigorifero per conservare il latte, e dove già si sogna la prima televisione della vita.

Si tratta di un progetto dell'associazione di solidarietà arabo-ebraica Ta’ayush finanziato dalla Germania: una pala eolica di potenza imprecisata e pannelli fotovoltaici da 1.35Kwp per alimentare tutti assieme una massiccia batteria capace di garantire fino a tre giorni di autonomia.

E nel suo piccolo la pala eolica è uno spettacolo: quando dai pascoli di Umm Zeitune la forma della valle costringe lo sguardo a posarsi naturalmente su Tuba ecco che si vedono le due tende dei fratelli e dei loro 20 figli, e spuntare come un minareto la pala eolica, perennemente in rotazione.

Il frigorifero serve per laconservazione del latte, necessaria per consentire ai pastori la sua commercializzazione. Anche negli altri villaggi di pastori Ta’ayush sta installando sistemi analoghi, opportunamente dimensionati, per far fronte alle medesime necessità.

E come mi spiegava A. prima di venire arrestato durante l’azione di sabato, ogni villaggio che guadagna l’energia elettrica riceve dal centro israeliano per i diritti umani B’Tselem anche una videocamera, per poter documentare le violenze dei coloni e gli abusi dei soldati e contribuire così da protagonisti alla propria autodifesa nonviolenta. …piccoli inaspettati miracoli del sole e del vento 

(1) At Tuwani si trova nelle South Hebron Hills, nella zona C della Cisgiordania, quella che è rimasta sotto il totale controllo militare israeliano. Qui ci sono alcune informazioni sulla situazione di At Tuwani (fonte palestinese)

(2) La colonia è Ma'on , fondata nel 1981 da un movimento sionista. L'avamposto è Hawat Ma'on, insediamento illegale secondo gli accordi internazionali e la stessa legge israeliana. Come riporta il link precedente di Wikipedia uno degli abitanti della colonia è stato arrestato nel 2002 per aver messo una bomba in una scuola araba di Gerusalemme.

(3) I bambini palestinesi vengono scortati a scuola da una jeep dell'esercito israeliano e da volontari di Operazione Colomba, che liproteggono dalle aggressioni dei coloni sionisti.

(4) Questi sionisti di Ma'on non sembrano rispettare il riposo dello Shabbat 

 

 

 

 

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