Rassegna stampa ‘cultura e attualità’ del 9 aprile.

Rassegna stampa 'cultura e attualità' del 9 aprile.

A cura di Chiara Purgato.

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Palestina, giornalisti sotto attacco


Fare il giornalista nei Territori palestinesi occupati (Tpo) non è facile né per gli israeliani, né per i palestinesi, né tantomeno per gli stranieri. 

Non solo per questioni legate alla censura israeliana (non si può parlare di faccende militari né nucleari senza avere il “permesso” dell’apposito ufficio censura dell’Idf – Forze di Difesa Israeliane), ma anche perché scontrarsi con l’esercito, con i coloni, o con la polizia palestinese, è un rischio sempre più concreto.

Fuga a Londra

Il giornalista israeliano Uri Blau del quotidiano progressistaHaaretz era Medio Oriente da circa tre mesi, prima di arrivare pochi giorni fa in Gran Bretagna in cerca di rifugio. Blau aveva pubblicato un documento ufficiale dell’esercito israeliano, che gli era stato dato molto probabilmente da Anat Kam, giovane giornalista, quando era sotto le armi. 

La Kam è agli arresti domiciliari da mesi ormai, ma i censori hanno proibito ad ogni organo di stampa di parlarne. Il documento dell’esercito riguardava la morte di un esponente palestinese della Jihad Islamica, ufficialmente morto in seguito a uno scontro a fuoco, mentre secondo il documento faceva parte di una lista di omicidi mirati, chiaramente illegali.

Reporter e soldati israeliani

Gli attacchi ai giornalisti sono anche e soprattutto fisici, con ferite da proiettili rivestiti di gomma o pestaggi. 

Considerando solo il mese di marzo la lista è notevole. Il 5 marzo i fotografi dell’Associated Press, Mahfouz Abu Turk, e del quotidiano Al-Quds, Mahmoud Alian, sono stati colpiti da pallottole rivestite di gomma sparate dalle forze israeliane mentre documentavano gli scontri tra soldati e palestinesi nella spianata delle moschee. “Deliberatamente”, secondo Abu Turk.

Lo stesso giorno altri giornalisti sono stati attaccati dai soldati israeliani mentre coprivano gli scontri alla moschea di Hebron. Il fotografo Abdel-Hafiz Hashlamoun della European Press Photo Agency ha dichiarato che due soldati gli hanno rotto la fotocamera, dopo averlo sbattuto contro un muro, mentre il corrispondente Akram Natshe di QudsTv e il giornalista palestinese Mohamed Hmeidat hanno detto di essere stati picchiati e costretti a lasciare il posto. Il cameraman di Palmedia Abdul Ghani Natshe, anch’egli presente, ha detto di essere stato preso a calci e pugni dei soldati, prima di essere allontanato.

Harun Amayra, giornalista di Falestin Tv, il 30 marzo si trovava al villaggio di Badras, vicino a Ramallah, per seguire una manifestazione pacifica, quando è stato ferito a un piede dai proiettili di gomma sparatogli da soldati dell’Idf, ferito insieme ad altri 10 manifestanti. Amayra non era nuovo a eccessi di forza da parte dei soldati israeliani: il 19 marzo, insieme al collega Najib Sharoneh, era stato percosso e detenuto per quasi quattro ore sempre a Badras. 

Secondo Reporter senza Frontiere si tratta attacchi mirati delle forze di sicurezza israeliane a giornalisti palestinesi.

Fronte palestinese

I giornalisti palestinesi hanno la vita particolarmente difficile perché devono lottare su due fronti, quello israeliano e quello interno. L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) infatti è piuttosto sensibile alle informazioni riguardanti Hamas, pronta a vedere mancanza di obiettività al minimo dettaglio, e a punirla. Lo stesso fa Hamas a Gaza, riguardo ciò che viene scritto sull’Anp, ma non solo.

La giornalista di Al-Hayat Al-Jadida Noufouz Al-Bakri di Gaza City, ad esempio, si è vista perquisire l’appartamento il 7 marzo dopo aver scritto un articolo molto critico riguardo la condizione femminile sotto il governo islamista di Hamas. Il gruppo di agenti non è stato però identificato e esponenti del governo hanno garantito di non aver mandato nessuno a perquisire l’appartamento della Al-Bakri. 
Il giornalista del Filastine Mustafa Sabri, invece, era in carcere dal 4 gennaio in Cisgiordania, e non appena è stato rimesso in libertà, il 9 marzo, le forze di sicurezza hanno perquisito la sua casa di Qalqilya e confiscato le attrezzature video e telefoniche dei giornalisti venuti a intervistarlo.

Nel frattempo si trovano ancora in carcere in Cisgiordania, diversi giornalisti tra cui Tariq Abu Zaid, corrispondente di Al-Aqsa, canale televisivo di Hamas. Abu Zaid sta scontando una pena di 18 mesi a Nablus, stabilita da un tribunale militare nonostante il giornalista sia un civile, con l’accusa di minare l’Anp. Al-Aqsa Tv era stata bandita dalla Cisgiordania dal 2007.

Giornalisti stranieri

Neanche i corrispondenti stranieri sono esenti da “bruschi” trattamenti. 
Il giornalista britannico Paul Martin era stato arrestato il 14 febbraio a Gaza City con l’accusa di spionaggio (poco prima di testimoniare in difesa di un amico palestinese, ex militare, accusato di essere un collaborazionista) e 
rilasciato l’11 marzo. 

Secondo l’organizzazione Human Rights Watch, le autorità di Hamas non hanno presentato nessuna prova a favore di una tale accusa, che rende il mese di detenzione totalmente ingiustificato.

Il reporter olandese Andrei Kluwer, invece, è stato attaccato e trattenuto dai coloni israeliani dell’insediamento di Galgila, a nord di Gerico, il 28 marzo. Stava facendo un reportage sul lavoro dei palestinesi negli insediamenti, seguendo un ragazzino palestinese di 15 anni durante la sua giornata lavorativa, quando è stato fermato e trattenuto da coloni israeliani per due ore fino all’arrivo della polizia. Il consiglio regionale dell’insediamento di Gilgal nega ogni accusa, e sostiene che il ragazzino era stato pagato dal giornalista per raccontare quanto fossero dure le sue condizioni per screditare gli insediamenti in Cisgiordania.

L’elenco, a voler contare le brevi detenzioni, gli insulti, i gas lacrimogeni, le pallottole di gomma o le sassate più o meno accidentali, sarebbe molto più lungo. Quello di marzo è stato certamente un mese violento, ma non fuori dalla norma per un giornalista che opera in Medio Oriente.

 

 

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La memoria calpestata

 

di: http://assculturalezenit.spaces.live.com/

Supponiamo di trovarci a passeggiare per una qualsiasi strada di una qualsiasi città italiana il prossimo 15 maggio (la data non è certo casuale). Supponiamo di vivere una di quelle giornate storte, di quelle caratterizzate magari da un evento sfavorevole – o da un triste ricordo – che possano inficiare la nostra serenità.
Supponiamo, dunque, di dover convivere con un broncio che ci accigli il viso in modo piuttosto evidente da lasciar trasparire il nostro stato d’animo agli altri.
Supponiamo, infine, di poter esercitare questo basilare, banalissimo ed innocuo diritto ad esprimere le nostre emozioni solo a costo di incappare in spiacevoli inconvenienti. Quale tipo di inconvenienti? Un fermo delle forze di polizia ed una salata multa (o, peggio, il carcere). Inconvenienti non accidentali ma pianificati dallo Stato per evitare che la malinconia possa disegnare sul nostro volto un broncio evidentemente scomodo. Perché scomodo? Perché rappresenta il simbolo di una pagina di storia che è interesse comune di chi governa stralciare. Una pagina su cui si fonda il “diritto” storico dello Stato ad esistere, macchiata dal sangue di centinaia di migliaia di innocenti usurpati della propria terra con metodi efferati: prima occupati, poi scacciati violentemente, uccisi o, nella migliore delle ipotesi, ridotti in stato di profughi e relegati in fatiscenti campi privi d’ogni servizio.
Supposizioni paradossali se a pensarle è un Italiano, disabituato a veder così concretamente calpestata la propria dignità individuale, ma piuttosto educato a riservare la massima cura a quei temi della memoria storica che siamo frequentemente sollecitati ad osservare con laica religiosità da scuola e media di massa. Eppure, quelle che abbiamo descritto come supposizioni, sono l’ennesima, cruda realtà con la quale dovranno confrontarsi i Palestinesi che vivono nei territori occupati dall’esercito israeliano. Sì, perché una nuova legge in Israele rende crimine la commemorazione di ciò che i Palestinesi chiamano “Nakba”, la catastrofe del loro sradicamento e pulizia etnica dalla Palestina, con la creazione dello Stato sionista nel 1948 e le conseguenti sofferenze patite dai Palestinesi sino ad oggi, accresciute dalla ferma volontà sionista – drammatica e pericolosa cronaca d’attualità – di incrementare gli insediamenti dei coloni ebrei. Il parlamento israeliano (proprio quella Knesset tanto incensata dai nostri politici quale unico propulsore democratico del Medio Oriente) ha ratificato alla prima lettura la cosiddetta “legge Nakba”. Essa consiste nel punire, anche fino a tre anni di carcere, chiunque in quella data mostri segni di lutto. Quale scopo si prefigge questa legge così inequivocabilmente liberticida adoperata dal democratico Israele? Presto detto! Essa si prefigge di impedire che atti commemorativi possano “negare il carattere ebraico di Israele”.
Ovviamente nessun organo di stampa occidentale darà risalto a questo provvedimento, sebbene esso dimostri in modo lampante come la discriminazione razziale istituzionalizzata sia un argomento d’attualità, almeno in Israele; nell’unica democrazia mediorientale. In compenso, con cadenza forse quotidiana ci viene recitata da stampa e TV la ramanzina sull’importanza della memoria finalizzata a non commettere gli errori del passato. Con la stessa frequenza assistiamo inoltre ad accorati dibattiti in cui dotti rappresentanti della società civile, delle istituzioni e di associazioni di stampo moralista o ideologizzate si interrogano preoccupati circa le pericolose derive razzistiche in cui staremmo noi tutti precipitando, e propongono misure per arginare il fenomeno.
Eppure, tutti costoro tacciono o quasi circa “il carattere ebraico di Israele”, la condizione etnicamente discriminatoria su cui si fonda il sionismo. E tacciono, conseguentemente, su ogni tipo di misura presa dagli stessi sionisti nei confronti dei non ebrei che si trovano a vivere nei territori occupati da Israele; compresa questa assurda legge. E’ evidente, a questo punto, che la memoria che veniamo chiamati ad osservare è una lurida ipocrisia, una mera propaganda politica svuotata d’ogni significato profondo.
In occidente vengono istituzionalizzate le giornate della memoria che si propongono di ricordare la disumanità dei regimi totalitari, al fine di legittimare l’attuale status quo e di frugare ogni possibile dubbio sulla bontà dei regimi liberali. Giustificando, soprattutto, l’arroganza sionista con le vicissitudini subite dagli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Non verranno mai istituite giornate dedicate altresì al ricordo delle sofferenze patite da tantissime popolazioni che hanno conosciuto sulla propria pelle la reale identità guerrafondaia di questi presunti dispensatori del concetto di bene universale e non ci sarà mai una corretta informazione su quanto attualmente continuano a commettere costoro. Israele e Nato in primis. Noi rifuggiamo l’ipocrisia, caratteristica tipica della democrazia, e queste sue sgradevoli manifestazioni, tentando invece di perseguire, nel nostro piccolo, un onesto percorso informativo, basato su fatti oggettivi e scevro da connotati retorici. In conclusione, sarà quindi poco conveniente per un Palestinese in quella data circolare per le strade presidiate dalle forze sioniste, onde non rischiare di finire dietro le sbarre con la ridicola accusa, potenzialmente arbitraria, di essersi mostrato triste. Eppure i Palestinesi vivranno quest’ennesimo abuso con l’impavida attitudine che li contraddistingue e che li cristallizza nel nostro immaginario coi volti coperti da una kefiah, pronti a sfidare i supertecnologici carri armati israeliani coi più rudimentali mezzi, i soli che la arida e amata terra di Palestina può offrire ai suoi figli: i sassi.
 

 

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M.O.: UN INCONTRO PER RACCONTARE LA VITA NELLA STRISCIA DI GAZA

(AGI) – Roma, 8 apr. – Raccontare attraverso testimonianze dirette le reali condizioni di vita degli abitanti della Striscia di Gaza. Questo lo scopo dell’incontro 'Come si vive sotto assedio?' organizzato dalla ong Terre des Hommes e CGIL Lombardia a Milano martedì prossimo. Secondo l’organizzazione non governativa, Gaza si può definire la più grande prigione del mondo: sottoposta da anni a privazioni di ogni tipo e fortissime limitazioni nella libertà di movimento, la popolazione subisce anche le conseguenze dell’operazione Piombo Fuso e del perdurare del blocco, che mettono a repentaglio la salute delle fasce più vulnerabili. Interverranno Fabio Ghelfi, responsabile politiche internazionali di CGIL Lombardia e Aed Yaghi,
direttore dei programmi della Palestinian Medical Relief Society a Gaza, che con molte difficoltà è riuscito ad avere il permesso per venire in Italia per testimoniare la grave crisi umanitaria in cui versa la popolazione civile della Striscia. Introdurrà l’incontro Piera Redaelli, responsabile dei progetti di Terre des Hommes in Palestina. Durante la serata sarà proiettato il video “Sotto Tregua Gaza” di Maria Nadotti e Giuseppe Baresi, realizzato subito dopo l'Operazione Piombo Fuso, che raccoglie le toccanti testimonianze di scrittori e intellettuali palestinesi, israeliani ed europei, come Mahmud Darwish, John Berger, Gideon Levy e Ghassan Kanafani, interpretate da 9 attrici e attori italiani, tra cui Marco Baliani, Giuseppe Cederna e Licia Maglietta. Le loro parole cercano di ristabilire la verità dei fatti e le pesanti responsabilità di Israele e della comunità  internazionale nei confronti delle mille e trecento vittime e degli oltre 5.000 feriti registrati nei 23 giorni di attacco alla Striscia.

 

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Genova – Una mostra fotografica e un incontro con Moni Ovadia e Alì Rashid per riflettere sul conflitto israelo-palestinese a poco più di un anno dall’operazione militare israeliana ‘Piombo fuso’.
Venerdì 9 aprile 2010, alle ore 17.30 verrà inaugurata a Genova, presso la libreria Assolibro (via S.Luca 58r) la mostra della fotografa Bruna Orlandi, con l’accompagnamento musicale di Andrea Facco.
L’appuntamento è all’interno di un percorso rivolto alla cittadinanza sulla questione israelo-palestinese, che proseguirà sabato 10 aprile alle ore 11.00, sempre a Genova, presso l’auditorium di Palazzo Rosso (via Garibaldi 18), con un incontro tra l’attore e musicista israeliano Moni Ovadia e il diplomatico palestinese Alì Rashid.
Una barriera di oltre 700 Km edificata dal governo israeliano imprigiona il popolo palestinese impedendogli lo svolgimento di una vita normale. Il muro tuttavia preclude anche alla popolazione israeliana la possibilità di guardare oltre, scorgendo nel volto dell’altro i tratti di una comune dignità umana e con essa la prospettiva stessa della pace.
Esistono ancora, da una parte e dall’altra, spazi di resistenza in grado di aprire brecce e generare possibilità di futuro?
A questo interrogativo proveremo a rispondere attraverso le parole di due testimoni che cercano di immaginare un’alternativa alla gestione violenta del conflitto a un anno circa dall’operazione militare israeliana ‘Piombo fuso’, che secondo la Croce Rossa ha ridotto Gaza ‘a sembrare l’epicentro di un terremoto’, dove hanno trovato la morte 1.400 palestinesi.
La cornice sarà offerta dalle fotografie di Bruna Orlandi che, attraverso realtà e poesia, sviluppano il tema della divisione e del dolore, mettendo al centro il muro di separazione tra i due popoli; la mostra sarà visitabile fino al 30 aprile nell’orario di apertura della libreria.
‘Palestina, la vita oltre il muro’ fa parte di un più ampio programma di educazione alla mondialità e alla gestione cooperativa del conflitto, realizzato sul territorio ligure dall’associazione di cooperazione internazionale allo sviluppo umano Progetto Sviluppo Liguria con il contributo della Regione Liguria, con il patrocinio del Comune di Genova e della Fondazione Fabrizio De André e con la partecipazione dei Musei di Genova e della Fondazione Angelo Frammartino.

 

 

 

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Intervista a Vincenzo Stefano Luisi

Immaginate per un attimo di dovere operare a cuore aperto un bambino venuto alla luce non più di un mese fa. A noi abituati ad avere timore già solo a prendere in braccio un neonato, l’idea di incidere un petto così minuto e fragile mette i brividi. Eppure lui da più di vent’anni si prende cura di ciò che a pieno titolo rappresenta l’emblema della purezza non ancora corrotta. Un cardiochirugo infantile è per definizione uomo coraggioso: se poi consideriamo che quattro-cinque volte l’anno si reca a Gerusalemme per operare i bambini di Gaza, la nostra ammirazione si fa ancor più franca e massiccia. E come diceva un noto presentatore: “Non finisce qui”; all’arte chirurgica si accompagna quella della scrittura, il bisturi si trasforma in penna, il dramma della sofferenza viene sopraffatto dal dramma teatrale, dalla poesia e dal mito.

Nell’introduzione a La capilla pequeña racconti che spesso ti è stato chiesto il perché tanti medici amano scrivere; quanto il tuo lavoro influisce su ciò che scrivi e quanto ciò che scrivi influisce sul tuo lavoro?
Credo che l'influenza del mio lavoro sullo scrivere sia grandissima, a tal punto da affermare che se facessi altro probabilmente non scriverei. Anzi probabilmente non mi sarebbe mai passato per la testa. Vivo con molta preoccupazione il mio lavoro e condivido, non volendo sottrarmi a questo, l'angoscia dei genitori dei bimbi da operare. Mi piace pensare di me che sono più un padre che un chirurgo. Un vostro collega ha scritto di recente centrando bene certe sensazioni: su quel tavolo si gioca una posta molto alta… Certamente anche le emozioni per i successi, talora difficili da cogliere interamente, sono grandissime e rendono il mio lavoro affascinante quanto invece gli insuccessi sono vere deflagrazioni all'interno del mio spirito. Scrivere non è propriamente uno staccare la spina e tuttavia dà un sollievo enorme. Anticipando un po' un'altra domanda, non so quali residui neuroni della testa si mettano al lavoro per farlo; la scienza però lascia il posto ad un altro genere di ricerca o più semplicemente ad una creatività fantastica. Accade per lo più la sera spesso di ritorno a casa. La stanchezza,in questo caso, è di aiuto. L'influenza dello scrivere sul mio lavoro è soprattutto importante nei rapporti con i genitori dei pazienti, con tante persone che lavorano con me e favorisce molto quella parte del mia attività che riguarda la cooperazione internazionale. Credo che proprio attraverso i libri e forse ancor più con il teatro sia stato possibile divenire, da medico di fiducia, vero amico di tante persone. Sono responsabile di un progetto regionale di cooperazione per creare una valida cardiochirurgia pediatrica in Palestina. Questo progetto è tanto difficile da svolgere quanto povero nelle risorse disponibili. Il consenso di molti compagni di lavoro e delle famiglie dei bambini operati è sostanziale alla sopravvivenza del progetto. Tutto questo a sua volta  configura un ruolo più complesso e sicuramente diverso da quello di altri medici.
 

Dai tuoi scritti emerge una chiara volontà di evasione dalla realtà contingente (prendendo come vie preferenziali di fuga quelle del mito, della poesia, dell’evocazione storico-antropologica), tuttavia si percepisce forte la necessità di un controllo “scientifico” su quelli che sono gli aspetti più irrazionali dell’animo umano; deformazione professionale?
Come ho detto, evasione sì, controllo scientifico no, sempre che non si fraintenda l'espressione. Di fatto l'evasione si dirige sempre verso cose a me poco note. I contesti storici, culturali e persino geografici sono per mia scelta a me sconosciuti almeno inizialmente, quando l'idea prende vita. La curiosità è di stimolo. Non sono uno scrittore d'avventure o di viaggi e non sopporto l'idea di scrivere diari o cronache. Se per caso il racconto mi porta in luoghi che ho visitato, li descrivo diversamente dalla loro realtà, ma secondo le sensazioni che mi hanno dato. Così per Santiago di Cuba, così per il primo romanzo I pupi di Stoccolma scritto senza aver mai visto uno spettacolo di Pupi o quella città.Ero affascinato dall'enigma Pupi e dalla gloriosa storia dell'ospedale Karolinska, un tempo vero tempio della cardiochirurgia mondiale. Tuttavia di controllo scientifico si può parlare nel senso di voler visitare aspetti dell'esistenza e cultura generale o specifica che non ho potuto coltivare per gli impegni legati al mio lavoro. Però si tratta sempre di indagare e tentare di  conoscere più che di metodologia o controllo scientifico.
 

Spesso nelle tue pagine si viene a contatto con una dimensione “sacrale” ; quanto la fede influenza i tuoi libri e il tuo essere medico?
Ciò è vero anche per il sacrale. Ho scritto un libro su questo argomento, un vero romanzo del Logos con il Logos protagonista. Il titolo è Il privilegio dell'essere. Roberta Capanni, editrice estrosa e talora un po' folle, ha intenzione di pubblicarlo. Tutto ciò per dire che ho già cercato di darmi delle risposte. Ho una fede “leggera” e affettiva. Di Dio talora ne ho bisogno, non ci credo tantissimo, sicuramente gli voglio un bene sincero. A scrivere quel libro mi sono fatto del male. Mi sono incarnato in un personaggio scomodo facendo emergere cose talora pesanti, certamente non dalla memoria, quanto dalla percezione dell'essere stesso. Quanto al sacrale ha aspetti estetici trascendentali unici nella loro grandiosità e bellezza e nel contempo possibilità terrene molto particolari, come radicarsi nella cultura dei popoli e nella ignoranza della gente. La fede ovviamente è una cosa molto diversa, se non altro per l'intimità di questa.
 

I tuoi drammi hanno ispirato diversi spettacoli teatrali (i cui proventi – ricordiamolo – sono stati interamente devoluti all’associazione Palestine Children’s Relief, per la quale tu collabori attivamente (operando – più volte l’anno – presso l’ospedale caritatevole islamico Makassed di Gerusalemme), sono in previsione rappresentazioni al di fuori del contesto toscano?
Mi piacerebbe, ma non ho tempo e possibilità per farlo. Uno spettacolo ha esigenze organizzative e finanziare non indifferenti. Il teatro è davvero la grande fuga, anche perchè conosci persone, registi ed attori, davvero altra gente rispetto a me e a quella degli ospedali. Loro, gli attori più di tutti, per dirla con Shakespeare “sanno come uscire e come entrare in scena; e nella vita un uomo interpreta molti ruoli”. Una rinuncia quindi, ma solo per il momento, una di quelle cose, il teatro appunto, che riprenderò a fare da grande, quando avrò tempo.
 

Ci puoi aggiornare sulla situazione dei bambini di Gaza? (il dato che citi ne La capilla pequeña è allarmante: 700 operazioni cardiache l’anno su una popolazione di un milione e mezzo di abitanti, quasi sette volte di più di quelle che vengono normalmente effettuate in Toscana, dove la popolazione è di quattro milioni di abitanti). Ci sono dei miglioramenti? La comunità internazionale fa abbastanza da questo punto di vista?
Gaza è un allevamento di bambini malati. La percentuale di neonati con cardiopatie e altre malattie congenite è elevatissima. Ci sono parecchie cause che contribuiscono a tutto ciò. I famosi muri, i checkpoints, l'isolamento dei villaggi, l'impossibilità di trovare casa e permesso di residenza in altre città e quindi crearsi una famiglia altrove, i coprifuoco e quant'altro favoriscono i matrimoni fra consanguinei. Ma soprattutto è importante lo sviluppo di malattie acquisite in utero. Mi spiego meglio: spesso il prodotto del concepimento è perfetto dal punto di vista genetico, poi però interviene qualcosa che fa ammalare l'embrione. La fame con carenza di fattori nutrizionali essenziali nelle madri gravide è veramente esiziale, con frammenti di DNA che si perdono o si alterano ad ogni divisione cellulare, perchè l'organismo materno non ha queste sostanze da apportare al bambino che nascerà. Non avviene solo a Gaza, ma lì è più evidente e grave che altrove. Mura su terraferma e embargo navale di fronte alla costa producono un lento sterminio di quel popolo che a sua volta cerca di difendersi incrementando la natalità. Un modo tutto palestinese di fare resistenza. Ci sono altri fattori: recenti osservazioni, ben note anche agli uffici della cooperazione italiana a Gerusalemme, mostrano livelli elevati di metalli pesanti nei capelli dei bambini di Gaza. Insomma l'inquinamento da rifiuti tossici e il grande ammassamento di gente fa sì che agenti microbici, virali e altri fattori teratogeni uccidano il bimbo prima della nascita o comunque ne determino deformità o malattie gravi. Per motivazioni politiche la comunità internazionale fa veramente poco a livello politico. I bombardamenti della gabbia di Gaza, intendo dire un territorio da cui non si scappa per via dei muri, ha prodotto 1600 morti quasi tutti giovani e bambini. Ricordo che l'età media della popolazione di Gaza è di 16 anni. Nello stesso tempo non è arrivato nessun aiuto di quelli tantissimi inviati e tutti bloccati senza nessuna reazione da parte dei paesi occidentali. La stessa cooperazione sanitaria internazionale è modesta e spesso sbagliata .Per operare 106 bambini palestinesi ho ricevuto fino ad ora 34 mila euro dalla Regione Toscana. Quest'anno il budget che ho ottenuto è stato ridotto a 30 mila euro. Per dare una idea, il costo per effettuare un singolo intervento di cardiochirurgia pediatrica nel mio ospedale a Massa è di 22.500 euro. In teoria avrei potuto operare poco più di un paziente. A fronte di questa penuria la Regione Toscana, Emilia, Marche e Veneto assieme al Ministero degli Esteri Italiano inviano annualmente parecchi milioni di Euro al centro Israeliano Simon Peres per operare bambini palestinesi. Questo denaro consente alle autorità Israeliane di tenere aperti 5 ospedali di cardiochirurgia che altrimenti sarebbero inutilizzati (l'utenza israeliana non arriva a 200 casi all'anno, numero sufficiente a malapena per un singolo centro). Sono proprio i bambini dell'allevamento di Gaza le vittime di questa storia tremenda, assieme ad una cooperazione internazionale ipocrita e consenziente a mantenere in vita questo business e aperti parecchi ospedali israeliani. L'autorità palestinese vera, ovvero il ministero della salute, è ovviamente tenuto lontano da questa storia, sostituito da associazioni fasulle sotto il controllo israeliano. Assieme ad un chirurgo del Royal Brompton di Londra, ad uno del Green Lane di Aukland ed altri dal Texas Heart Institute di S.Antonio USA etc. abbiamo creato e sosteniamo un reparto di cardiochirurgia palestinese a Gerusalemme. Abbiamo dato un ottimo training chirurgico a Vivian Bader, trentatreenne di Hebron, unica cardiochirurga pediatrica palestinese. Vivian non vede la madre da anni per paura di non poter avere il permesso di rientrare a Gerusalemme e quindi in ospedale. Siamo quindi nell'ambito dei principi di una cooperazione corretta. Credo che aver creato una valida cardiochirurgia palestinese abbia una valenza non solo sanitaria, ma anche politica enorme. Un valido sistema sanitario, come del resto l'istruzione, il sistema giuridico ed altro ancora è infatti un mattone essenziale perchè si possa arrivare alla creazione di uno stato vero pur nella latitanza della comunità internazionale.

 

 

 

http://www.fides.org/index.php?lan=ita

ASIA/TERRASANTA – Tutte le Chiese di Gerusalemme in preghiera per la pace e la riconciliazione

Gerusalemme (Agenzia Fides) – Sabato 10 aprile alle ore 18 (ora locale), presso la chiesa dell’
Annunciazione del Patriarcato Greco melkita cattolico, a Gerusalemme, si svolgerà una grande preghiera di intercessione che vedrà riunite le Chiese ortodosse, riformate e cattoliche, per chiedere la grazia della riconciliazione, dell’unità e della pace. Tutti i cristiani del mondo sono invitati ad unirsi spiritualmente alla Chiesa di Gerusalemme per questa grande preghiera di intercessione per il nostro tempo.
Come sottolinea la nota inviata all’Agenzia Fides comunicando l’iniziativa, Gerusalemme è il luogo storico dove si è compiuta la Salvezza per mezzo di Cristo e il luogo di nascita della Chiesa sotto l’ispirazione dello Spirito. La vocazione di Gerusalemme è quindi quella di essere un punto di partenza, ma è anche luogo di grandi tensioni e contrasti: la Città Santa e la Chiesa Madre 
hanno un urgente bisogno del sostegno spirituale e della costante preghiera di tutta la Chiesa, al fine di rimanere fedeli alla propria vocazione. Questa iniziativa di preghiera, nata durante una vigilia di preghiera notturna al Santo Sepolcro nel 2005, si è ormai fatta strada. La preghiera verrà infatti diffusa in diretta televisiva nel Medioriente ed in Europa, ed in differita in Sud e nel Nord America, e seguita da un documentario sulla Chiesa ospitante. Le due precedenti edizioni si sono svolte rispettivamente presso la Chiesa Siro Ortodossa e presso la Chiesa Evangelica Luterana. La prossima edizione verrà ospitata dalla Chiesa Armena Ortodossa. 

 

 

http://www.fidal.it/showfaq.php?fldAuto=63

Presentata a Roma la XXVII edizione di Vivicittà. Nata sui temi del rispetto dell'ambiente, quest'anno la manifestazione vedrà; in primo piano la multiculturalità; e l'impegno antirazzista: appuntamento a domenica 11 aprile in 37 città  italiane e 18 nel mondo che scatteranno alle 10.30 con il “via” dato in diretta dal Gr1 Rai. Due i percorsi previsti in ogni città: quello di 12 km per la competitiva che darà vita alla classifica unica compensata e quello della non competitiva su distanze variabili dai 2 ai 4 km. Un'edizione speciale di Vivicittà verrà infatti organizzata domenica 18 aprile: i bambini dei campi profughi saranno protagonisti di sette corse, con percorsi da 1 a 3 Km, che si terranno in Libano, in Siria e a a Gerusalemme est, nel campo profughi di Shu' Fat, dove opera Peace Games Uisp con progetti che al centro hanno lo sport. Queste iniziative si svolgono in collaborazione con Cooperazione italiana allo sviluppo – ministero Affari Esteri e UNRWA-Agenzia delle Nazioni Unite. Vivicittà sarà occasione di iniziative per l'inclusione e contro il razzismo anche nelle 37 città italiane, dove sono state organizzate iniziative specifiche per agevolare la partecipazione alla corsa delle comunità straniere. L'atleta simbolo di questa edizione è Rachid Berradi, fondista azzurro di origini marocchine, primatista italiano di mezza maratona, che si allena e vive a Palermo, dove ha avviato una scuola di atletica per tutti i bambini. Tra le donne, segnaliamo la presenza della marocchinaLabani Soumiya, in gara a Matera. Presenze di prestigio al momento quelle di Ottavio Andriani che correrà a Bari e Yuri Floriani a Palermo.

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Vivicittà 2010 nel mondo si corre in 18 città: 4 Aprile: Zavidovici (Bosnia-Herzigovina); 11 Aprile:Budapest (Ungheria), Fouchères (Francia), Gomel (Bielorussia), Kinshasa (Congo), Makeni (Sierra Leone), Nova Gorica – Gorizia (Slovenia), Pola (Croazia), Prijedor (Bosnia-Herzegovina), Saint Ouen (Francia), Sarajevo (Bosnia-Herzegovina), Tuzla (Bosnia-Herzegovina), Vieux Condè (Francia), Yokohama (Giappone); 18 Aprile: Bron (Francia);

Nei campi profughi palestinesi di MAR ELIAS, BURJ EL BARAJNEH, DBAYEH, SHATILA, EIN EL-HILWEH, MIEH MIEH, EL-BUSS, RASHIDIEH, BURJ EL-SHEMALI, NAHR EL-BARED, BEDDAWI, WAVEL (Libano). Nel campo profughi palestinese di Shu'fat, a Gerusalemme Est. Nel quartiere a maggioranza di popolazione palestinese di Yarmouk, a Damasco (Siria)

25 Aprile: Dakar (Senegal), St Etienne Du Rouvray (Francia). Data da definire: Belem (Brasile).

 

 

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