Rassegna stampa del 27 e 28 marzo.

Rassegna stampa del 27 e 28 marzo.

A cura di Chiara Purgato.

http://www.asca.it/home.php

27-03-10

M.O.: MUSSA, PROCESSO PACE RISCHIA TOTALE FALLIMENTO

 

 

 

(ASCA-AFP) – Sirte, 27 mar – Gli Stati arabi devono prendere in considerazione “la possibilita’ che i processi di pace tra Palestina e Israele falliscano a causa delle politiche israeliane”. Cosi’ il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, e’ intervenuto durante il vertice dell’organizzazione in corso a Sirte, in Libia.

”I negoziati di pace indiretti tra Israele e Palestina – ha spiegato Mussa – dipendono dal congelamento degli insedimenti israeliani nella zona est di Gerusalemme e in particolare, sulla cancellazione dei piani per la costruzione di oltre 1.600 nuovi alloggi “.

 

 

 

 

http://it.euronews.net/

Al confine Striscia di Gaza e Israele è tornata la violenza, con almeno tre palestinesi e almeno due soldati dello Stato Ebraico uccisi. Dal campo profughi di Jabalya, nel nord della Striscia, sostenitori di Hamas sono scesi in strada per celebrare quello che è stato il peggiore scontro a fuoco da oltre un anno. Un portavoce dei miliziani ha espresso soddisfazione per quella che ha definito una “reazione naturale all’aggressione del nemico sionista” e ha parlato di successo della resistenza e dell’operazione condotta dalle Brigate al Qassam.

Ed è stato il braccio armato di Hamas il primo a rivendicare gli attacchi avvenuti nei pressi di Khan Yunis, nel nord della Striscia di Gaza, controllata dai miliziani da quasi tre anni. Una battaglia durata ore. Iniziata, sembrerebbe, con un agguato contro Tsahal, con l’obiettivo, forse, di sequestrare soldati israeliani, come nel caso di Ghilad Shalit, il caporale catturato nel 2006.

Ne sarebbe seguito un prolungato scambio con armi pesanti e leggere, durante il quale si registrano anche alcuni feriti gravi. In serata, i carri armati israeliani hanno poi fatto irruzione a Gaza. Il degradarsi della situazione getta una nuova ombra sul processo di pace in Medio Oriente, dove l’avvio dei colloqui indiretti tra le parti resta bloccato sulla questione degli insediamenti israeliani. Preoccupazione per la situazione è stata espressa dal capo della diplomazia europea Catherine Ashton.

http://www.blitzquotidiano.it/

Minacce Israele: Hamas invoca una reazione internazionale

Hanno destato collera a Gaza le dichiarazioni odierne del ministro della finanze Yuval Steinitz(Likud) secondo cui «se non ci sarà altra scelta Israele dovrà occupare la Striscia ed abbattervi il regime di Hamas». In un commento all’Ansa un portavoce di Hamas, Fawzi Barhum, ha accusato il governo israeliano di aver così assunto toni «estremistici e terroristi» nei confronti del popolo palestinese.

«Di fronte a questa situazione – ha aggiunto Barhum – la comunità internazionale non può chiudere gli occhi: queste minacce vanno prese sul serio». Israele deve dunque, secondo Hamas, essere isolato e i suoi responsabili devono essere trascinati di fronte a una corte internazionale di giustizia.

La escalation verbale fra le due parti segue il continuo degradarsi della situazione sul terreno dove nelle ultime settimane si sono ripetuti da un lato i lanci di razzi e la deposizione di ordigni e dall’altro i raid militari di risposta. L’episodio più cruento è avvenuto venerdì 26 quando ai margini della striscia di Gaza, in un violento scontro a fuoco, sono rimasti uccisi due miliziani palestinesi e due militari israeliani. Una successiva incursione israeliana ha provocato altre vittime palestinesi

http://www.agi.it/home

M. O.: UCCISO PALESTINESE NELL’INCURSIONE ISRAELE A GAZA

(AGI) – Gaza City, 27 mar. – Un palestinese e’ morto nell’incursione notturna dei carri armati israeliani nella Striscia di Gaza. Cinque tank sono avanzati con l’appoggio degli elicotteri nella zona di Khan Yunis, teatro poco prima della piu’ dura battaglia svoltasi a Gaza negli ultimi 14 mesi, in cui sono morti due soldati israeliani e tre miliziani palestinesi.

http://notizie.virgilio.it/

M.O./ Incursione israeliana a Gaza, ucciso membro brigate Al-Qods

Nei pressi del villaggio di Abbassan, nel settore di Khan Younès

Abbassan, 27 mar. (Apcom) – Un miliziano palestinese delle brigate Al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica, è stato ucciso questa mattina in uno scontro a fuoco con soldati israeliani che erano entrate nella Striscia di Gaza. Lo riferiscono fonti mediche palestinesi precisando che Hayssan Arafat, aveva 23 anni. L’episodio è avvenuto nei pressi del villaggio di Abbassan, nel settore di Khan Younès, dove ieri cinque carri armati e truppe dell’esercito israeliano hanno compiuto un’incursione per abbattere alcune infrastrutture usate dai terroristi palestinesi. Questa mattina soldati e mezzi israeliani sono rientrati oltreconfine. Ieri, nel corso di un violento scontro a fuoco nei pressi di Khan Younis, sono rimasti uccisi due soldati israeliani e un civile palestinese. Diversi palestinesi sono rimaste ferite dalle schegge.

http://www.newnotizie.it/

27/03/2010 – 16:50

Si sono ritirati ieri, dopo brevi sortite ai danni dei palestinesi, i tank della formazione israeliana nella Striscia di Gaza, dopo che due militari sono stati uccisi nello scontro.

Era da oltre un anno che dei militari non venivano uccisi a causa di scontri, anche grazie al tentativo di pace stipulato tra Israele e America, incrinatosi nell’ultimo mese a causa del rifiuto di Obamadi intercedere per gli alloggi a Gerusalemme est.

Lo Stato Maggiore ha lasciato trapelare la notizia dei due militari uccisi ieri pomeriggio dalle parti del confine est della nazione.

Oltre ai due israeliani, anche quattro palestinesi hanno perso la vita ieri a causa dei numerosi, ma brevi scontri. I primi due la mattina, a nord della Striscia di Gaza nel paesino di Khan Yunes, dopo uno scontro con truppe israeliane intervenute sul posto e lo scoppio di un ordigno. Il terzo ieri sera dopo la pattuglia dei tank e il conseguente alle armi. L’ultimo ieri pomeriggio durante lo scontro in cui hanno perso la vita i due soldati.

Eliraz Peretz, il sergente maggiore con la più alta carica in quelle zone, e Iliat Sviatkovski sono i nomi delle due vittime tra le truppe, uccisi da proiettili vaganti e da schegge di granate. Benjamin Nethanyau,premier israeliano, ha declinato ogni possibile errore derivante dalla mal organizzazione nella disposizione dei tank a protezione delle truppe di terra.

Questi piccoli scontri, e i razzi lanciati da Gaza contro il territorio israeliano, hanno fatto decidere di attuare una perlustrazione aerea che potrebbe portare ad un definitivo disastro tra i due popoli, tagliando completamente i rapporti con gli USA e cominciando nuovamente la guerra sanguinolenta degli ultimi anni.

Obama e Netanyahu, erano cooperatori da oltre un anno per la pace in quelle zone, ma ultimi disappunti sul metodo da utilizzare per procedere e arrivare al fine definitivo, hanno destabilizzato la situazione tra palestinesi e israeliani che sembrava si fosse relativamente calmata.

Secondo l’unità sanitaria, oltre ai due soldati e ai quattro palestinesi, pare che sia stata riscontrata anche il coinvolgimento di civili, un 23enne infatti è morto, mentre altre 6 persone sono state ferite.

http://iltempo.ilsole24ore.com/

M.O.: Erdogan, Gerusalemme capitale di Israele e’ una follia

Sirte, 27 mar. – (Adnkronos) – Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato che considerare Gerusalemme come la capitale indivisibile di Israele e’ una “follia”. Il premier turco e’ intervenuto alla cerimonia di apertura del summit della Lega Araba a Sirte, in Libia. “Gli israeliani hanno detto che Gerusalemme unificata e’ la capitale d’Israele. E’ una follia – ha dichiarato Erdogan – Gerusalemme e’ la pupilla degli occhi del mondo musulmano e noi non possiamo accettare alcuna pretesa israeliana a Gerusalemme e nei luoghi santi musulmani”. Gerusalemme Est e’ stata annessa da Israele dopo la guerra dei sei giorni del 1967, ed e’ al centro del conflitto israelo-palestinese. Gli israeliani considerano la citta’ nel suo insieme come la loro capitale “eterna e indivisibile”.

 

 

 

 

http://www.ansa.it/

Mo:Netanyahu stretto tra Obama e Hamas

Ministro, occupare Gaza per abbattere regime Hamas

28 marzo, 21:06

(ANSA) – TEL AVIV, 28 MAR – Impegno oggi per il governo Netanyahu a definire una linea per affrontare due crisi apertesi simultaneamente per Israele. Ossia quella politica con il presidente Obama, che esige concessioni per rilanciare negoziati fra Stato ebraico e Anp (Autorita’ palestinese) e quella militare con Hamas che ha ripreso ad attaccare. Il ministro della finanze Steinitz (Likud) ha avvertito che Israele potrebbe tornare ad occupare la Striscia di Gaza per abbattere il regime di Hamas.

Gaza: Steinitz,liquidare regime di Hamas

Il ministro delle Finanze israeliano lo ha detto alla radio

28 marzo, 11:21

(ANSA) – GERUSALEMME, 28 MAR – Il ministro delle Finanze israeliano Youval Steinitz si augura di arrivare a ‘liquidare’ il regime di Hamas che controlla Gaza. ‘Non fisso calendari -ha detto alla radio l’esponente del Likud vicino alle posizioni del premier Netayiahu- ma non potremo tollerare che questo regime continui a rafforzarsi militarmente e si doti di un arsenale missilistico che minaccia il nostro territorio’. Venerdi’ e sabato il confine tra la striscia di Gaza e Israele e’ stato teatro di violenze.

 

 

http://www.lastampa.it/

28/3/2010

Chiusi i valichi Israele-Cisgiordania

 

La mossa del ministro Barak in vista
della Pasqua ebraica: stop di 7 giorni

TEL AVIV
La chiusura dei valichi di transito fra Israele e la Cisgiordania è stata ordinata dal ministro della difesa Ehud Barak nella ricorrenza della Pasqua ebraica. La chiusura avrà inizio stanotte e durerà oltre una settimana, fino al 6 aprile. 

Il portavoce ha precisato che accorgimenti speciali sono stati messi a punto a favore della comunità cristiana palestinese e per quanti sono impegnati in attività di carattere umanitario, nel tentativo di non intralciare i loro spostamenti. Minacciato dalla ventata di violenza tornata a soffiare dalla Striscia di Gaza e circondato da una pressione internazionale riproposta ieri al summit della Lega Araba di Sirte (Libia) anche da un leader europeo amico come Silvio Berlusconi, Israele si prepara a trascorrere in un clima di tensione e inquietudine la settimana della Pasqua ebraica (Pesach) che comincia domani. 

L’eco degli scontri divampati ieri a cavallo con l’enclave palestinese controllata dagli islamico-radicali di Hamas – costati la vita anche a due militari israeliani – stenta a spegnersi. Per lo Stato ebraico si è trattato dell’episodio più sanguinoso dalla fine dell’offensiva Piombo Fuso, 14 mesi fa, e la reazione non si è fatta attendere. Un’incursione limitata di carri armati si è protratta per tutta la notte all’interno del territorio della Striscia, nella stessa zona (quella di Khan Yunes, a sud-est di Gaza City) in cui ieri l’esplosione di una bomba collocata da miliziani islamici al confine aveva innescato una battaglia durata diverse ore. Alla fine i tank si sono ritirati nelle prime ore di stamane, ma la vicenda non pare chiusa e a Gaza si attende ancora la più vasta rappresaglia aerea israeliana preannunciata dal premier Benyamin Netanyahu nei termini di «una risposta appropriata» all’uccisione dei due militari. 

Tanto più dopo l’ulteriore lancio dalla Striscia di un razzo Qassam, caduto ieri senza fare vittime nel deserto del Neghev. Israele lamenta anche il ferimento di altri due soldati, uno tuttora in gravi condizioni, quale conseguenza dello scontro di ieri. Mentre sul lato palestinese lo stato maggiore israeliano conta in totale quattro uccisi, malgrado fonti locali confermino per ora solo la morte di un elemento delle Brigate Ezzedin Al-Qassam – il braccio armato di Hamas – avvenuta ieri e quella d’una seconda persona deceduta all’alba per le ferite riportate durante l’incursione dei tank. La dinamica dell’accaduto resta ancora avvolta da ombre. E persino la rivendicazione risulta contesa. Le Brigate Qassam insistono nell’affermare d’essere state loro a ingaggiare ieri battaglia, seppure solo «dopo lo sconfinamento» della prima unità israeliana. Ma anche la Jihad Islamica – scesa oggi in piazza a Gaza in forze per scandire slogan contro Israele – e gli ultraintegralisti di Taleban-Palestina (uno dei gruppuscoli dell’emergente galassia salafita ispirata da al Qaida) continuano ad attribuirsi un ruolo nella vicenda: che secondo alcune ricostruzioni potrebbe essere stata innescata da un’esplosione trappola e concepita da qualcuno come un’imboscata ai militari o un tentativo di sequestro. 

Il contesto, in ogni caso, appare preoccupante. «Negli ultimi tempi – ha commentato il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak – abbiamo visto fazioni (palestinesi) scissioniste impegnate a riattizzare il fuoco e tentativi di Hamas di calmare le acque. Ma è possibile che adesso Hamas stia mollando il freno e se questo fosse il caso vi saranno conseguenze anche per Hamas». Il ministro delle Finanze israeliano Youval Steinitz si è augurato oggi di arrivare a «liquidare» il regime di Hamas che controlla la striscia di Gaza. «Presto o tardi, dovremo liquidare il regime militare filo iraniano di Hamas» a Gaza, ha detto alla radio pubblica Steinitz, esponente del Likud vicino alle posizioni del premier Benyamin Netayiahu. «Non fisso calendari, ma non potremo tollerare che questo regime continui a rafforzarsi militarmente e si doti di un arsenale missilistico che minaccia il nostro territorio» ha spiegato il ministro. Parole che sembrano dare corpo ai timori di una nuova escalation, fatti propri alla riunione della Lega Araba di Sirte dal segretario generale dell’Onu, Ban ki-Moon.

 

http://www.legnostorto.com/index.php

Le condizioni di pace dei Palestinesi

 

 

 

Un giornale ha riassunto in un riquadro le richieste palestinesi per siglare un accordo di pace: 1) Gerusalemme capitale dello Stato palestinese; 2) problema – eliminazione? – degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati; 3) ritorno ai confini del 1967; 4) ritorno dei rifugiati; 5) redistribuzione delle risorse idriche; 6) liberazione dei prigionieri palestinesi nelle prigioni israeliane.

1) Gerusalemme è almeno dal 1980 la capitale di Israele e poco importa il mancato riconoscimento internazionale. Si può biasimare l’invasione cinese del Tibet, cionondimeno non si può contestare che la Cina eserciti la propria sovranità su quella regione. E non si può nemmeno dire che Gerusalemme sia stata la capitale palestinese prima del 1967: infatti in quel momento tutta la regione faceva parte della Giordania. Ma soprattutto non è facile concepire che, senza esservi costretto, un Paese accetti la capitale di uno altro Stato all’interno del perimetro della propria capitale. Il caso del Vaticano è particolare: qui era il Papa ad essere a casa sua, non i Savoia: e questi che si sono imposti con la forza. 
2) Gli insediamenti israeliani nei Territori Occupati sono certamente un problema ma nulla impedirebbe che essi rimangano, anche se il territorio passa sotto amministrazione palestinese. Forse che nei confini di Israele non c’è più di un milione di palestinesi, per giunta con diritto di voto alle elezioni politiche? Comunque è un problema secondario, anche se richiedere la loro eliminazione sarebbe una dimostrazione di razzismo.
3) Il ritorno ai confini del 1967 è una richiesta stupefacente. I palestinesi dimenticano che sono stati loro e i loro alleati, Nasser in particolare, a violarli, con l’intenzione di appropriarsi l’intero territorio di Israele. Ora, avendo fallito, pretendono che tutto torni come prima. È come se qualcuno obbligasse un altro a giocare una partita di poker, perdesse l’intera posta e alla fine ne chiedesse la restituzione. Gli israeliani chiedono solo piccoli aggiustamenti dei confini, mentre per diritto di guerra si sarebbero potuto annettere tutto il territorio. Questo non andrebbe dimenticato: la Russia non si è forse annessa Königsberg, su cui non vantava nessuna rivendicazione storica?
4)    Il ritorno dei rifugiati è un’assurdità. Costoro hanno abbandonato l’attuale territorio di Israele volontariamente: lo prova il fatto che centinaia di migliaia di altri palestinesi sono invece rimasti e sono ancora lì, vivi e vegeti. Inoltre i rifugiati non si sono integrati nei posti in cui sono andati a vivere (il Libano per esempio) e sarebbe strano che si integrassero in Israele. E tutto questo mentre i palestinesi non li accolgono, loro, sul proprio territorio. Infine, se è vero che si tratta di quattro milioni di persone, sarebbe come se proponessero a noi di accogliere quaranta milioni di cittadini islamici, di origine e lingua diversa, allevati per giunta ad odiare mortalmente l’Italia.
5)    La redistribuzione delle risorse idriche è un problema poco noto ma gli israeliani non hanno certo deviato il corso del Giordano. Se esso passa nel loro territorio, non è merito loro e non è neppure colpa loro. Ogni regione si ritrova con vantaggi e svantaggi geografici. L’Iraq condivide forse le proprie risorse petrolifere con la Giordania, sprovvista di petrolio? Lo stesso concetto di “redistribuzione” è falso: non c’è mai stata una distribuzione ingiusta cui ora dovrebbe seguire una distribuzione giusta.
6)  La liberazione dei prigionieri palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane è una richiesta inammissibile perché queste persone non sono incarcerate per motivi politici ma per reati comuni. Se poi i palestinesi li reputano eroi perché hanno ammazzato dei civili israeliani, non possono pretendere che gli israeliani condividano questo punto di vista.
Una nota finale  riguarda il fatto che i palestinesi non parlino affatto delle condizioni militari di un eventuale accordo. Gli israeliani infatti non potranno mai e in nessun caso permettere una totale indipendenza bellica del nuovo Stato. Non concederanno mai ai palestinesi la possibilità di detenere armi pesanti o di accettare eserciti stranieri sul loro territorio: sono stati attaccati troppe volte. Dunque è strano che i palestinesi – che pure non dimostrano buon senso negli altri campi – non si lamentino del fatto che si discute solo di una larga autonomia, non di una vera indipendenza. La Palestina non sarebbe un vero Stato sovrano.
I palestinesi e la comunità internazionale si ostinano a chiudere gli occhi su una semplice realtà: contro Israele gli arabi hanno perso tutte le guerre che essi stessi hanno voluto.

 

 

 

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“QUESTA COSA SI STA FACENDO PERICOLOSA”

 

 

 

 

 

 


La scorsa settimana il vicepresidente americano Joe Biden è stato schiaffeggiato pubblicamente dal Governo di Netanyahu durante il suo viaggio a Gerusalemme. Il Governo israeliano ha sfruttato l’occasione per dare l’annuncio dello stanziamento di 1.600 israeliani nella parte orientale di Gerusalemme, a maggioranza araba, contravvenendo all’appello dell’America per una sosta negli insediamenti. Secondo quanto dice una relazione pubblicata nel quotidiano
 Yedioth Ahronoth, Biden avrebbe risposto: “Questa cosa si sta facendo pericolosa per noi. Quello che state facendo qui sta mettendo a repentaglio la sicurezza delle nostre truppe che combattono in Iraq, Afghanistan e Pakistan. E questo mette in pericolo noi e la pace regionale”.

Ora, in un affascinante briefing pubblicato su Foreign Policy, Mark Perry ci dà un senso più chiaro di quello che Biden aveva in testa:

‘Il 16 gennaio…un gruppo di ufficiali militari senior del Comando Centrale Americano (responsabile della supervisione degli interessi di sicurezza americani nel Medio Oriente) è arrivato al Pentagono per istruire l’Ammiraglio Michael Mullen, capo del Joint Chiefs of Staff[1], in merito al conflitto israelo-palestinese. La squadra era stata inviata dal comandante di CENTCOM[2], il Generale David Petraeus, per sottolineare le sue crescenti preoccupazioni di fronte alla mancanza di progressi nella risoluzione della questione. 

A seguito, “Sansone e la seconda Nabka – Un breve studio sull’Ercole ebraico” (Gilad Atzmon, gilad.co.uk); 

Le 33 slides della presentazione di 45 minuti in PowerPoint hanno lasciato Mullen a bocca aperta. Gli incaricati del training hanno detto che c’era una crescente percezione tra i leader arabi del fatto che l’America non fosse capace di far fronte a Israele, che la composizione principalmente araba di CENTCOM stava perdendo fiducia nelle promesse americane, che l’intransigenza israeliana relativamente al conflitto israelo-palestinese stava mettendo in pericolo la presenza americana nella regione e che lo stesso Mitchell era (come un ufficiale anziano del Pentagono l’ha successivamente descritto in modo diretto) “troppo vecchio, troppo lento…e troppo in ritardo”’.

Il briefing di gennaio di Mullen era senza precedenti. Nessun comandante di CENTCOM si era mai espresso in precedenza su una questione che aveva un carattere essenzialmente politico: e questo è il motivo per cui gli incaricati del briefing sono stati attenti nel dire a Mullen che le conclusioni a cui erano arrivati facevano seguito a un tour della regione compiuto a dicembre 2009 quando, su indicazione di Petraeus, si erano confrontati con i leader arabi più anziani. “Dovunque essi andassero il messaggio era piuttosto umiliante”, ha detto un ufficiale del Pentagono a conoscenza del briefing. “L’America non era vista solo come uno stato debole, ma la sua presenza militare nella regione si stava disgregando lentamente”. Ma Petraeus non aveva finito: due giorni dopo il briefing di Mullen, egli ha inviato un documento alla Casa Bianca con il quale chiedeva che la West Bank [Cisgiordania N.d.r.] e Gaza (che, assieme a Israele, è parte del Comando Europeo, o EUCOM) diventassero parte della sua area di competenza operativa. La motivazione di Petraeus era molto diretta: vista la presenza di truppe americane in Iraq e Afghanistan, i leader arabi dovevano avere l’impressione che l’esercito americano fosse coinvolto nei conflitti più problematici della regione.

Perry continua dicendo che il briefing “ha colpito la Casa Bianca come una bomba”. E’ fuori dubbio che è questo è il motivo ispiratore dei commenti di Biden. Ciò traspare in modo chiaro dal rapporto del Yedioth Ahronoth che, dopo aver citato Biden, prosegue dicendo: “Il Vicepresidente ha detto ai suoi ospiti israeliani che, considerato il fatto che molti musulmani percepiscono l’esistenza di un legame tra le azioni di Israele e la politica americana, qualsiasi decisione in merito alla costruzione di stanziamenti che metta in pericolo i diritti dei palestinesi nella parte orientale di Gerusalemme potrebbe avere un impatto sulla sicurezza personale delle truppe americane che combattono contro il terrorismo islamico”. 

Il governo di Netanyahu e i suoi sostenitori negli U.S.A. vogliono che le controversie riguardanti Gerusalemme, la West Bank e la Striscia di Gaza vengano risolte in modo autonomo, lontano da qualsiasi potenziale impatto che esse potrebbero avere nella regione intesa in senso più ampio e dagli interessi che l’America sta perseguendo in quelle zone attraverso il dispiegamento di truppe su due campi di battaglia differenti. Questo schema rispecchia infatti il modo con cui la maggior parte dei media americani racconta tali sviluppi. Ma questo approccio è sciocco, per le ragioni che sono esposte nel briefing di Petraeus. Perry vede questa cosa come una battaglia fra due lobbies: Israele e l’esercito americano.

La lobby israeliana è molto potente, dice, ma come potrebbe competere con l’esercito americano sulla base di un interesse imperativo delle truppe americane nella sicurezza? I recenti compromessi del governo Netanyahu riflettono disapprovazione per l’amministrazione Obama e massima indifferenza per le sue posizioni sull’estremo Oriente. 

Queste situazioni sembrano rispecchiare perfettamente l’orientamento dei neo-con americani, come dimostrato nell’‘apologia’ a loro favore ad opera dell’editorialista del Washington Post Jackson Diehl (“Biden è stato bocciato,” conclude, applicando un ragionamento tipicamente ottuso). La domanda è se uno stretto alleato possa comportarsi con irritabilità adolescenziale e servirsi dei suoi sostenitori indefinitamente senza conseguenze. Per il momento la risposta sembra essere sì.

L’articolo di Perry è una lettura fondamentale. Ho letto metà del suo nuovo libro, Talking with Terrorists, e mi aspetto di discuterlo in un’intervista con lo stesso Perry prima della fine del mese.

 

 

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