Rassegna stampa del 9 marzo.

Rassegna stampa del 9 marzo.

A Cura di Chiara Purgato

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09 Marzo 2010

ISRAELE NEL MIRINO

Campagna di boicottaggio commerciale e accademica

Il 30 marzo è stata scelta come giornata mondiale del boicottaggio contro Israele ed è stato anche diffuso il delirante appello del Pacbi (Palestinian Campaign for the Academic & Cultural Boycott of Israel) per una sorta di embargo accademico: “Noi, accademici e intellettuali palestinesi, invitiamo i nostri colleghi della comunità internazionale a boicottare globalmente e coerentemente tutte le istituzioni accademiche e culturali israeliane come contributo alla lotta per mettere fine alla occupazione israeliana, alla colonizzazione e al sistema di apartheid, applicando quanto segue: astenersi dalla partecipazione in ogni forma di cooperazione accademica e culturale, di collaborazione o di progetti congiunti con le istituzioni israeliane; sostenere un boicottaggio globale delle istituzioni israeliane a livello nazionale e internazionale, inclusa la sospensione di tutte le forme di finanziamento e di sussidi a queste istituzioni; promuovere il disinvestimento da Israele da parte delle istituzioni accademiche internazionali; lavorare per la condanna delle politiche israeliane premendo per risoluzioni da adottare da parte di associazioni e organizzazioni accademiche, professionali e culturali; sostenere direttamente le istituzioni accademiche e culturali palestinesi senza chiedere loro di essere partner con controparti israeliane come condizione esplicita o implicita per questo sostegno”. Insomma a metà tra un proclama del comitato centrale del vecchio Pcus e un manifesto dell’odio “senza sé e senza ma”, cui purtroppo in Italia alcune istituzioni universitarie hanno già iniziato a uniformarsi. Forse il Capo dello Stato dovrà ancora un volta intervenire su questa delicata materia perché i cittadini italiani non cedano alle lusinghe di questa ignobile propaganda.

Di certo, come notava qualche giorno fa la deputata del Pdl e giornalista Fiamma Nirenstein a Radio radicale palando con il direttore Massimo Bordin nel corso della sua rubrica settimanale che si chiama “Mediorientale”, la parola “apartheid” che una volta riguardava il Sud Africa è stata ormai sdoganata nei comunicati e negli appelli. E moltissimi docenti di tantissime Università italiane hanno già risposto al richiamo della foresta dell’antisionismo. Che poi tutti sanno essere una variante post moderna un bel po’ ipocrita dell’antisemitismo, come denunciato a suo tempo proprio dal Capo dello stato Giorgio Napolitano. Purtroppo, però, il 2010 sarà caratterizzato certamente in Italia dalla partenza della prima grandissima campagna di boicottaggio accademico e commerciale in grande stile di Israele, sulla falsariga di quelle che hanno disonorato la Gran Bretagna negli scorsi anni. Al centro dell’iniziativa il famigerato “Forum Palestina” che ormai da mesi bombarda il web con le proprie parole d’ordine e con le proprie intemerate contro lo stato ebraico. Le piazzate che si sono viste a Trieste dal 5 all’8 marzo scorsi dove è stata contestata la sponsorship di Israele alla fiera dell’olio d’oliva non sono che un antipasto. Infatti era da mesi che si organizzava il tutto. Ad esempio proprio suwww.forumpalestina.org da settimane si poteva trovare una specie di volantino che si intitolava così: “Le iniziative in Italia della Campagna di Boicottaggio – Disinvestimento – Sanzioni contro l’apartheid in Israele e a sostegno della resistenza del popolo palestinese”. E la cosa in questione veniva così spiegata: “La Fiera dell’Olio non può ignorare che la presenza di Tel Aviv passa attraverso la distruzione degli olivi palestinesi. Israele non solo sta sradicando gli olivi, la pianta simbolo della Palestina e della Terra Santa, ma, dopo averli sradicati sceglie quelli più antichi e li porta nelle proprie città, dove vengono esibiti come simbolo della terra di David.

La vedova di Martin Luther King, quando ha saputo che a Gerusalemme avevano intestato al marito un parco creato con gli olivi rubati ai palestinesi, ha fatto togliere il nome dal parco. Il ramoscello d’olivo è il simbolo della pace. Il ramoscello d’olivo spezzato è il simbolo dell’oppressione”. Ora, va bene tutta la propaganda dell’odio che si desidera che tanto l’Italia è un paese libero, e Israele pure, ma c’è una cosa che cozza contro la logica: forse che gli olivi crescono solo nei Territori sottoposti all’Autorità Nazionale Palestinese e in Israele no? Questo è difficile farlo credere persino a degli ottusi estremisti che odiano gli ebrei. Ma tant’è. Oltre a occuparsi di olivi e di boicottaggi accademici, come quelli sottoscritti da decine di professori e studenti nelle Università di Firenze, Pisa e Milano, con Angelo Baracca, Giorgio Gallo, Martina Pignatti e Giorgio Forti che ne sono stati i principali promotori, coordinati a livello internazionale dal famigerato Pacbi succitato, lo scorso 6 marzo quelli di Forum Palestina hanno molestato persino gli ignari clienti del Carrefour di corso Lodi a Milano cercando di impedire alla gente di comprare prodotti “israeliani” o di ditte con partecipazioni azionarie israeliane. È dovuta intervenire la polizia. E meno male che lo ha fatto.

 

 

http://temi.repubblica.it/limes/

Israele-Palestina: il piano di Ginevra

Il piano di Ginevra fu messo a punto nel 2003 da un gruppo di intellettuali israeliani e palestinesi come ipotesi di accordo definitivo per consentire in Palestina la presenza di due stati, uno ebraico e l'altro palestinese.

Secondo questa ipotesi Israele tornerebbe ai confini pre1967. La maggior parte degli insediamenti israeliani resterebbe nello Stato palestinese e solo quelli lungo il confine sarebbero inglobati in Israele. In cambio lo Stato palestinese otterrebbe territori del Negev.

Gerusalemme sarebbe divisa secondo il principio ciò che è ebraico agli israeliani e ciò che arabo ai palestinesi, quindi con la spianata delle moschee alla Palestina e il muro del pianto a Israele. 

Un corridoio collegherebbe la Striscia di Gaza alla Cisgiordania. Un forza internazionale controllerebbe i passaggi di frontiera tra Palestina, Giordania ed Egitto.

Infine i palestinesi rinuncerebbero al diritto al ritorno. I rifugiati rimarrebbero nei paesi che li ospitano e solo un parte potrebbe tornare in Palestina, mentre altri sarebbero risarciti.

 

Atlante storico arabo israeliano

Dopo il periodo coloniale e la fine del mandato britannico in Palestina nasce lo Stato israeliano nel 1948.

Il piano delle Nazioni Unite del 1947 che divideva la Palestina in tre – stato israeliano, stato arabo e Gerusalemme sotto controllo Onu – rimane lettera morta.

I paesi arabi attaccano Israele che vince la guerra e riesce ad allargare i suoi confini. La Cisgiordania passa sotto il controllo della Giordania, mentre la Striscia di Gaza sotto quello dell'Egitto.

Con la vittoria della guerra dei Sei giorni Israele raggiunge la massima espansione e conquista le alture del Golan, la Cisgiordania e il Sinai. Annette però solo Gerusalemme Est e il Golan.

Con il piano del generale Allon – che non ha successo – comincia la politica della restituzione dei territori occupati in cambio della pace che caratterizzerà tutti i negoziati successivi.

Tale politica ha successo nel 1978 solo con l'Egitto che dopo gli accordi di Camp David con la mediazione dell'allora presidente Jimmy Carter conclude la pace con Israele in cambio della restituzione del Sinai e cospicui aiuti americani.

La Cisgiordania e la Striscia di Gaza rimangono sotto controllo israeliano fino al processo di pace degli anni Novanta, con la pace con Giordania e la creazione di un'Autorità nazionale palestinese su parte dei territori occupati, in attesa della realizzazione di uno stato palestinese al fianco di quello israeliano che però non si è mai concretizzata.

 

Israele: oltre il muro

Il muro israeliano in Cisgiordania modifica di fatto il confine di Israele spostandolo oltre la linea verde, la linea del dell'armistizio del 1949. Sulla carta è possibile osservare la differenza tra il percorso del muro tracciato con la linea rossa e quello tratteggiato della linea verde.

Il muro ingloba di fatto molte colonie ebraiche costruite nei territori occupati e disegnate in nero sulla carta. Nel 1991 i coloni in Cisgiordania erano solo 112mila, quando l'allora ministro dell'Edilizia Sharon diede il via alla costruzione di nuovi alloggi. Nel 2008 erano diventati 285mila, grazie agli incentivi offerti da tutti i governi successivi e soprattutto da quelli guidati da Netanyahu, tornato ancora una volta al potere lo scorso anno.

Se si considera anche la popolazione di Gerusalemme Est, annessa da Israele a differenza del resto della Cisgiordania, sono 480mila gli israeliani che vivono nei territori occupati.

I 790 chilometri di barriera, di cui 406 già costruiti, non solo inglobano circa l'8% della Cisgiordania, ma circondano completamente alcune comunità palestinesi. Sono quindi circa mezzo milione i palestinesi che vivono nella parte israeliana del muro.

Sulla carta è poi possibile osservare le altre colonie ebraiche al di fuori del muro, identificate con i triangoli gialli, i principali checkpoint e le strade sotto controllo israeliano. Se si sommano le tradizionali zone di sicurezza israeliana lungo il Giordano, in rosso e arancione sulla carta, ai palestinesi rimane ben poco.

Per il premier israeliano Netanyahu le colonie sono irrinunciabili, tanto da voler continuare a sostenere la crescita naturale degli insediamenti nonostante la richiesta dello stesso presidente Obama di bloccarne lo sviluppo. Uno schiaffo cui la presidenza americana non ha replicato, concentrata su altri fronti.

 

http://www.wallstreetitalia.com/

Israele/ Stato ebraico valuta costruzione centrale nucleare

di Apcom

Lo ha annunciato ministro Infrastrutture, Landau

Gerusalemme, 9 mar. (Ap) – Israele sta valutando l'ipotesi di costruire una centrale nucleare per la produzione di energia elettrica, con la cooperazione “dei vicini arabi”: lo ha annunciato il ministro per le Infrastrutture dello Stato ebraico, Uzi Landau, che interverrà oggi alla conferenza internazionale sull'energia atomica in corso a Parigi. Landau si era incontrato alcuni mesi fa con il ministro dell'Energia francese, Jean-Louis Borloo, con l'idea di una cooperazione tra Francia, Israele e Giordania per la costruzione di una nuova centrale, proposta che era stata accolta con favore da Parigi; proprio la Francia negli anni Cinquanta aiutò lo Stato ebraico a costruire l'impianto di Dimona. L'ufficio di Landau ha assicurato che nel caso il progetto venisse effettivamente realizzato lo Stato ebraico “seguirebbe tutte le procedure e regolamenti rilevanti”, senza però chiarire quale sarebbe il ruolo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea). Israele non è infatti firmatario del Trattato di non Proliferazione nucleare e gli esperti – compresa la stessa Aiea – lo accreditano di un arsenale di circa un centinaio di testate nucleari, circostanza che lo Stato ebraico non ha mai né confermato né smentito. http://aspstats.wallstreetitalia.com/aspstats/index.asp?articolo=884106&titolo=Israele%2F+Stato+ebraico+valuta+costruzione+centrale+nucleare

 

 

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