Di Lorenzo Poli per InfoPal. Dicevano che bisognava andare per difendere le donne, mentre prima del 2001 l’Afghanistan non interessava a nessuno, tantomeno le donne afghane e i loro diritti. E poi, come sosteneva Gino Strada, perché agli Americani hanno iniziato a stare a cuore le donne afghane? Gli USA non potevano starsene nella loro indifferenza, ipocrisia ed omertà di sempre? Le donne afghane non hanno mai avuto bisogno di salvatori, hanno da sempre cercato di liberarsi da sole oltre qualsiasi paternalismo patetico. Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA): un nome un programma. Così si chiama il movimento femminile di resistenza afghano che non ha mai visto di buon occhio le interferenze dell’Occidente e di qualsiasi altra potenza straniera.
Venne infatti fondata nel 1977 come movimento femminile di resistenza all’invasione sovietica e la loro leader e fondatrice, la femminista Meena Keshwar Kamal, venne assassinata dagli agenti afghani del Khad, all’epoca molto vicino al KGB. Rawa divenne obiettivo di molti gruppi integralisti salafiti afghani e dei talebani prima del 1996, anni in cui vennero uccise molte attiviste. Un lavoro, quello delle donne di RAWA, fatto in clandestinità per garantire la sicurezza del gruppo. Rawa ha aperto molti orfanotrofi, corsi di alfabetizzazione, assistenza medica, progetti di aiuto per le vedove di guerra che imboccavano la strada della prostituzione per sopravvivere, circoli femministi di dibattito su istruzione, resistenza, partecipazione e diritti. Dal 1981 per diffondere il loro lavoro politico, le loro opinioni e i loro obiettivi hanno fondato Payam-e-Zan, cioè “messaggio delle donne”, una rivista bilingue in persiano e pashtu che le donne distribuivano a piedi tra Pakistan Afghanistan.
Le attiviste della Revolutionary Association of Women of Afghanistan hanno sempre denunciato pubblicamente i “signori della guerra”, le alte cariche governative e le responsabilità imperialiste dell’Occidente e degli USA, dopo aver costruito, finanziato e LEGITTIMATO organizzazioni e regimi fondati sulla violazione dei diritti delle donne, ignorando e sopprimendo i movimenti democratici.
Quando le coraggiose donne di Rawa venivano in Italia, erano IGNORATE, con scarso pubblico in sala. Gli integralisti distribuivano volantini dicendo che quanto le donne avrebbero detto era falso e che, in realtà, le donne afghane erano rispettate e libere. Tra il 1996 e il 2001, filmandoli con piccole telecamere nascoste sotto il burqa, le afghane denunciarono le decapitazioni di donne nello stadio per mano del regime talebano. Nel 1999 ci fu il famoso video che riprendeva la decapitazione di Zarmina, madre di sette figli accusata di aver ucciso il marito: il video fece il giro del mondo e fu uno scandalo mediatico che denunciò pubblicamente la barbarie talebana in Afghanistan (gli stessi che vennero finanziati dagli USA in funzione anti-sovietica).
Poi cambiò tutto, anche in Occidente e, invece di informare sulle lotte delle donne afghane, si preferì inaugurare una guerra mediatica contro il burqa. Significative, in Italia, furono le puntate di Porta a Porta in cui Bruno Vespa invitava le donne in nero ed esponeva il burqa come simbolo di oppressione. Poi l’Italia iniziò a partecipare con la NATO all’intervento armato.
Le donne afghane, nonostante ciò, hanno continuato a venire, raccontandoci gli orrori e concludendo che se gli americani se ne fossero andati via, esse avrebbero avuto per lo meno un solo nemico da combattere.
Oggi le donne afghane vengono vergognosamente dipinte dai media mainstream occidentali come soggetti “da salvare” , come a cancellare ulteriormente la loro soggettività politica attiva.
In tutto ciò, le donne del Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus, in tutti questi anni hanno sempre sostenuto e collaborato con le afghane, mai sostituendosi o suggerendo cosa fare a chi lì vive con fare “coloniale”, ma rispettando le loro esigenze, poiché sono donne straordinarie dalle quali abbiamo solo da imparare.