Repressione in Cisgiordania.

di Martina Pignatti Morano*
1 agosto 2008

Da questa settimana la resistenza popolare non armata del villaggio palestinese di Ni’lin ha due giovani martiri: Ahmed e Yousif, rispettivamente 10 e 17 anni, entrambi colpiti alla testa con proiettili sparati a distanza ravvicinata da militari israeliani.

Il Comitato popolare di Ni’lin, in Cisgiordania, organizza da oltre due mesi manifestazioni nonviolente di protesta contro il muro dell’apartheid, la “barriera di sicurezza” israeliana che sta sottraendo circa 270 ettari di terra a 140 famiglie.

Nel vicino villaggio di Bi’lin, in 3 anni e mezzo di proteste nonviolente, nessuno è morto durante le manifestazioni, ma ora questo modello di resistenza si sta diffondendo a macchia d’olio e la repressione cresce di conseguenza. Secondo quanto riportato a marzo 2008 dal giornale israeliano Maariv, le autorità israeliane hanno dato un nuovo ordine alle forze militari di frontiera: ora possono aprire il fuoco direttamente sui palestinesi che protestano vicino alla barriera, eccetto quando vi siano cittadini israeliani o stranieri tra i manifestanti. 

Il villaggio di Ni’lin era apparso sulla stampa internazionale il 20 luglio per la pubblicazione di un video in cui si vedeva un soldato israeliano sparare alle gambe di Ashraf Abu Rahma, un ragazzo palestinese di 27 anni, mentre questo era bendato e con le mani legate dietro la schiena. Il video era stato realizzato da una ragazza palestinese di 14 anni che osservava i fatti dalla finestra di casa sua. Il proiettile, rivestito di gomma, non aveva prodotto una ferita profonda, ma la dinamica del fatto era tanto grave che l’immagine ha fatto il giro del mondo. L’esercito israeliano si è visto costretto ad aprire un indagine sul caso, ma nel frattempo ha arrestato il padre della ragazza che ha girato il video, accusandolo di aggressione a un soldato israeliano, e lo ha condannato a cento giorni di carcere. Invece il comandante israeliano del battaglione che ha ordinato ad un suo soldato di sparare ad Ashraf Abu Rahma, è stato semplicemente sospeso per dieci giorni dal suo incarico, nell’attesa che inizi l’indagine.

Ma il peggio doveva ancora venire. Il 27 luglio Ahmed Mousa, 10 anni, si è allontanato con i suoi amici dal sito dove si stava concludendo la manifestazione del giorno, dispersa con lacrimogeni e proiettili di gomma. Alcuni ragazzi hanno tentato di rimuovere una linea di filo spinato sistemata dall’esercito israeliano a proteggere un’area di lavoro, e sembra siano volate alcune pietre, ma Ahmed stava fermo vicino ad un albero d’olivo e osservava la scena. Ad un certo punto una jeep dell’esercito israeliano è comparsa da dietro una barriera, e i ragazzi sono fuggiti ma Ahmed era troppo piccolo per correre veloce. Un soldato si è sporto dalla jeep e gli ha sparato deliberatamente con munizioni normali, di piombo, colpendolo alla testa con un proiettile da M16. Il bambino è morto durante il trasporto all’ospedale.
In queste giorni molti giornali stranieri, come lo spagnolo El Pais, riportano tali fatti giustificando gli spari come atto di autodifesa dell’esercito israeliano dal lancio di pietre, ma i soldati che sparavano occupavano un territorio di un altro popolo, si trovavano in un mezzo blindato contro bambini dotati di fionde e mani nude, e hanno iniziato a sparare mentre i bambini già stavano scappando.

Il 29 luglio, dopo il funerale di Ahmed, c’era rabbia e angoscia nel villaggio di Ni’lin. Un gruppo di circa 200 ragazzi ha innalzato una barricata all’entrata del villaggio per impedire l’entrata all’esercito israeliano, e quando un bulldozer ha cercato di rimuoverla è iniziata una sassaiola. Yousif Amira, secondo suo cugino intervistato dall’Imemc, non stava partecipando al lancio di pietre e manifestava pacificamente, ma un soldato israeliano gli ha sparato due proiettili in testa alla distanza di soli sette metri. Questa volta il proiettile era costituito di metallo al 95 per cento del volume, con un involucro di gomma del 5 per cento, ma a una distanza così ravvicinata produce gli effetti di un proiettile normale. Yousif, 17 anni, è in stato di morte cerebrale, anche se è ancora attaccato ai macchinari. Ora il Comitato popolare di Ni’lin è riunito per decidere il da farsi. Ha annullato ogni altra manifestazione finché non si potrà adottare una risposta collettiva strategica, mentre l’esercito israeliano ha nuovamente assediato il villaggio. In Israele solo gli Anarchici contro il Muro hanno convocato un’iniziativa di protesta, radunando circa 150 persone a Tel Aviv.

Chi promuove la protesta popolare non armata e nonviolenta oggi in Palestina cerca di affermare la possibilità della resistenza come cultura di vita, e di non cedere alle pesanti provocazioni dell’esercito israeliano. Mutafa Barghouti, segretario generale della Palestinian National Initiative, unica forza politica palestinese ad aver esplicitato la scelta univoca della resistenza nonviolenta e priva di un braccio armato, ha dichiarato ieri in un comunicato stampa: “Quest’ultimo incidente dimostra ancora una volta che Israele continua la sua politica di repressione sulla nostra gente con totale impunità, a causa del silenzio della comunità internazionale. È chiaro che l’esercito israeliano sta tentando di colpire la resistenza non-violenta palestinese, di spingere e provocare i Palestinesi a usare violenza. Ma non ci riusciranno”.

Bekah Wolf, attivista del Palestine Solidarity Project, ha ricordato in un’intervista che altri ragazzi sono morti in passato nelle proteste contro il muro (11 in meno di un anno, tra il 2003 e il 2004) ma ora Ni’lin ha davvero il potenziale di lanciare un ampio movimento di protesta in Cisgiordania, ed è per questo che l’esercito israeliano reagisce in modo più forte di quanto abbia fatto negli ultimi anni: “Queste manifestazioni hanno avuto un enorme successo – alcune delle meglio riuscite che ho visto nei miei cinque anni di lavoro in Cisgiordania. I manifestanti hanno bloccato ripetutamente in modo nonviolento i bulldozer; hanno sostenuto un assedio e coprifuoco ininterrotto di quattro giorni; hanno sopportato l’arresto di metà delle propria popolazione in diversi momenti, dozzine e dozzine di feriti – quindi, quello che penso stia avvenendo è che Nilin è diventato non solo un simbolo della resistenza palestinese, ma una rinascita di quella resistenza popolare che ha avuto tanto successo nel passato. Per questo è diventato molto pericolo per l’esercito e il governo israeliano”.

* Un ponte per 


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