MEMO. Di Motasem Al Dalloul. Dietro la divisione interna palestinese ci sono le due maggiori fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, che il 12 ottobre dello scorso anno hanno firmato un accordo comune di riconciliazione mediato dall’Egitto. I palestinesi di Gaza hanno accolto con gioia l’accordo che ha messo fine all’assedio, durato 10 anni, da parte di Israele, Autorità Palestinese ed Egitto.
Come gesto di buona volontà, Hamas ha sciolto il proprio comitato amministrativo che controllava il governo palestinese nella Striscia di Gaza, retta dal movimento. L’Autorità Palestinese (ANP) a Ramallah, dominata da Fatah, ha annunciato che avrebbe immediatamente riconosciuto le proprie responsabilità a Gaza e avrebbe rimosso le misure punitive imposte all’enclave dal leader Mahmoud Abbas, tra cui tagli all’elettricità, congelamento dei salari nel settore pubblico, stop alla fornitura di medicinali e alle approvazioni dei trasferimenti di pazienti per cure mediche altrove.
Gli osservatori non credevano che l’accordo avrebbe messo fine alla divisione palestinese e all’assedio di Gaza; inoltre, non si fidavano dell’Egitto come mediatore onesto, poiché la leadership del Cairo considerava Hamas un nemico di lunga data. Tuttavia, molti analisti politici si sono astenuti dal dubitare delle intenzioni dell’Autorità Palestinese e dell’Egitto. Col tempo, però, è apparso chiaro a quasi tutti gli esperti in affari palestinesi che ciò che era successo era parte di un piano più grande. Alcuni sostenevano addirittura che fosse parte di quello che è stato definito “Accordo del Secolo” da Trump.
Osservando la situazione nella Striscia di Gaza tre mesi dopo, l’unica cosa che appare certa è che l’accordo è stato alquanto effimero. Senza esagerare si può affermare che il territorio è sull’orlo del collasso; anzi, ha già iniziato a collassare. La sanità, il benessere sociale, l’economia, l’istruzione e altri settori del sistema governativo sono pronti a dichiarare di non essere in grado di fornire servizi giornalieri per il popolo di Gaza, mentre le proteste iniziano già ad affiorare.
Migliaia di dipendenti pubblici e le loro famiglie a Gaza non hanno reddito da mesi; migliaia di famiglie povere non hanno alcun bonus sociale su cui fare affidamento, e migliaia di famiglie dei lavoratori non hanno soldi perché più dell’80% delle imprese e il 90% delle fabbriche a Gaza ha già fermato la produzione. Secondo l’economista Mohamed Abu Jayyab, uno dei motivi di questo declino economico è che l’Autorità Palestinese riscuote ancora tasse per poi trasferire il denaro al di fuori di Gaza.
Martedì scorso, il portavoce del ministero della Salute palestinese a Gaza, Ashraf al-Qiddra, ha annunciato il rinvio di migliaia di operazioni chirurgiche, precisando che esse potranno essere cancellate se Israele non rimuoverà le sanzioni su farmaci, attrezzature mediche e pezzi di ricambio per macchinari vitali. L’Autorità Palestinese, ha aggiunto il portavoce, deve inoltre fornire urgentemente strumenti medici usa e getta e farmaci agli ospedali e ai centri sanitari di Gaza. “I livelli di scorta di molti farmaci essenziali sono a zero nel Magazzino Centrale”, ha affermato.
Nel frattempo, rinviando i pagamenti dei salari dei dipendenti pubblici assunti da Hamas dopo la vittoria delle elezioni nel 2006, i quali secondo l’accordo di riconciliazione avrebbero dovuto essere pagati entro novembre, e tergiversando sulla rimozione delle sanzioni su Gaza, l’Autorità Palestinese ha fatto capire che le intenzioni di Ramallah nel porre fine alle sofferenze dei palestinesi residenti nell’enclave sono tutt’altro che serie. “Anche gli impiegati dell’Autorità Palestinese a Gaza, indebitati pesantemente con le banche e con 1/3 del proprio salario perso, sono ormai considerati poveri”, ha spiegato Abu Jayyab.
L’Autorità Palestinese ha deciso di aumentare il prezzo del petrolio in entrata nella Striscia di Gaza dall’Egitto per poter riscuotere più tasse per le proprie casse in Cisgiordania. Nel frattempo, il primo ministro Rami Hamdallah sostiene che l’Autorità avrebbe dato 16 miliardi di dollari a Gaza. In realtà, ne ha dati solo la metà, e ha raccolto 9,6 miliardi di dollari in tasse durante il periodo dell’assedio. Pertanto, sembra tutt’altro che un governo desideroso di tener fede alle proprie responsabilità e doveri nei confronti dei residenti di Gaza.
Ramallah potrà anche fare promesse davanti alle telecamere – specialmente sulla fornitura di elettricità a Gaza – ma non le mantiene, ritenendo Gaza soltanto una potenziale fonte di reddito e raccogliendo milioni di shekel ai posti di blocco di confine, sui quali ha il controllo.
Il mediatore dell’accordo di riconciliazione, l’Egitto, aveva promesso di denunciare qualsiasi parte non riuscisse a rispettare i propri doveri sanciti dall’accordo. Si potrebbe dunque supporre che non abbia tenuto fede a tale impegno poiché il suo alleato, l’Autorità Palestinese controllata da Fatah, si è tirato indietro.
“Prima di andare a dormire i palestinesi della Striscia di Gaza sentono un ufficiale israeliano che minaccia di scatenare una guerra contro di loro, e la mattina appena svegli ne sentono un altro dire che non è prevista alcuna guerra contro Gaza in un futuro prevedibile”, ha spiegato il sociologo Adel N’ima. “Ciò ha un effetto disastroso sulla psiche, è fonte di grande stress per gli anziani e traumatizza i giovani”.
Questo terrorismo psicologico è, ovviamente, ciò che gli attacchi aerei, i bombardamenti e la propaganda intendevano innescare. Allora cos’è, se non terrorismo di stato?
“L’Autorità Palestinese è interessata solo a fare soldi a Gaza e non a rendere più facile la vita dei palestinesi”, insiste Abu Jayyab. Secondo lui, l’autorità di Ramallah guidata da Mahmoud Abbas sta portando Gaza verso un tunnel buio e profondo. Con i continui rinvii dell’Autorità e le minacce di Israele, l’enclave sta evidentemente sprofondando verso l’ignoto, perciò è davvero difficile non essere d’accordo con lui.
Traduzione di Giovanna Niro