Ritorno a Haifa, di Ghassan Kanafani

Di Nadia El Mansouri.  Ritorno a Haifa Di Ghassan Kanafani. Ghassan Kanafani è stato un grande scrittore, giornalista e attivista palestinese, ucciso nel 1972 da un attentato israeliano. Era portavoce del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.

Kanafani studiò presso la scuola dei Missionari francesi che erano in Palestina. 

Aveva 12 anni quando fu creato lo Stato di Israele nel 1948, ossia durante la Nakba. Kanafani si rifugiò con la sua famiglia in un villaggio del Libano, successivamente a Damasco. Trascorse parte della sua vita in Kuwait e in Siria.

Nel 1969 pubblicò Ritorno a Haifa, un libro che racconta il ritorno di una coppia di palestinesi alla propria città natale, Haifa, dopo 20 anni. Said e Safiya, giovani palestinesi furono costretti ad abbandonare la loro città con la violenza, furono imbarcati con forza su delle navi a causa dell’invasione sionista. Pervasi dalla paura e dal terrore abbandonarono nella loro casa a Haifa, il loro figlio di 5 mesi . Lasciarono Khaldun, il loro bambino, nella culla non sapendo se era morto o vivo o cosa gli fosse successo.

Dopo 20  anni dal loro trasferimento a Ramallah, Said e Safya, decisero di andare a visitare la loro casa ad Haifa con la speranza di trovare buone notizie del figlio abbandonato. La loro casa a Haifa fu data in affitto ad una famiglia ebrea, di origini polacche.

Arrivati a Haifa furono accolti nella loro casa da Miriam, un’ebrea polacca che attendeva il loro ritorno da molto tempo e che disse loro che loro figlio era ancora vivo.

Miriam oltre a impossessarsi della casa si era impossessata anche del figlio della coppia palestinese, che non si chiamava più Khaldun, ma Dov ed era divenuto un soldato israeliano.

Per Khaldun, Said e Safya, erano due estranei, erano gli arabi, ossia il nemico da combattere.

L’incontro tra Said, Safya e Khaldun fu un momento terribile al contrario di come se lo aspettavano i due genitori. Il dialogo tra Said e Khaldun fu amaro, privo di sensibilità, non era un dialogo tra padre e figlio, ma tra due estranei; il ragazzo accusa i suoi veri genitori di vigliaccheria.

Safya non faceva altro che piangere, Said era sopraffatto dalla rabbia e dal dolore allo stesso tempo, non riusciva a comprendere come suo figlio, del suo stesso sangue, ad accusarlo di colpe non sue, di fatti accaduti contro la sua volontà, ma a casa della violenza che domina la società.

Questo libro ricalca l’umiliazione e la perdita d’identità di un popolo innocente invaso dalla violenza dello straniero.