Rsf: libertà di stampa. L’Italia 57ª, dietro il Niger

OSSIGENO – Roma, 2 Febbraio 2013 – Nella classifica mondiale 2013 di RSF Roma recupera quattro posizioni, ma sulla libera informazione  ‘pesano’ l’uso di leggi bavaglio e la diffamazione come reato penale.

In Italia la libertà di informazione è a rischio a causa di una cattiva legislazione sulla stampa. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di Reporters Sans Frontieres sulla ‘Libertà di stampa’ nel mondo, pubblicato il 30 gennaio scorso. Secondo la ricerca annuale, il nostro Paese, pur rimontando di 4 punti la classifica, si attesta solo al 57° posto su 179 Paesi dietro, tra gli altri, a  Niger, Botswana e Moldavia.

L’organizzazione non governativa, che si pone come obiettivo quello di garantire il diritto ad una informazione libera in ogni angolo del pianeta, come ogni anno, ha passato al setaccio 179 Paesi prendendo in esame parametri come la forma di governo, il pluralismo, l’indipendenza dei mezzi di comunicazione, la trasparenza.

“Dopo la primavera araba del 2011 che aveva provocato impennate e cadute, la classifica mondiale della libertà di stampa torna ad una configurazione più tradizionale”: significa soprattutto ‘speranze deluse’, come RSF anticipa nel titolo del suo rapporto 2013.

Nel processo di valutazione di RSF ogni Paese riceve un punteggio da zero a 100, dove zero rappresenta la “situazione ideale”. E così nella classifica restano sul podio, per il terzo anno consecutivo, la Finlandia (paese ormai consacrato come il più rispettoso della libertà di stampa), seguita da Olanda e Norvegia.  All’opposto, quello che RSF definisce “il trio infernale”: Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, dove viene calpestata ogni libertà compresa quella di informazione e di stampa. Queste tre ultime nazioni sono  precedute dalla Siria, dove e’ in atto una violenta guerra civile.

Per i paesi dell’Unione Europea la situazione è generalmente stazionaria, con 16 di essi che rientrano nei primi 40 posti della classifica, come la Germania (17ma)e la Gran Bretagna (29ma), la Spagna (36°)e la Francia (37°). Nonostante ciò, RSF nota che “il modello europeo si sta erodendo, l’emorragia legislativa cominciata nel 2011 non ha rallentato nel 2012, specialmente in Italia, dove la diffamazione deve essere ancora depenalizzata” e si fa un “pericoloso uso delle leggi bavaglio”. Ad aggravare la situazione italiana – sottolinea l’Ong – è “il marasma pubblicitario e i tagli ai bilanci, che comportano una costante fragilizzazione del modello economico nel settore mediatico, e cominciano a far sentire i loro effetti”.

Nell’UE è in caduta libera la Grecia – segnala il rapporto – slittata all’84° posto perché “i giornalisti operano in un contesto sociale e professionale disastroso e sono esposti alla vendetta popolare a alla violenza delle fazioni estremiste e della polizia”.

Il primo in classifica fra i Paesi extraeuropei è la Nuova Zelanda , all’8° posto della classifica di RSF. La Namibia invece è la prima tra le Nazioni africane, con la 19ma posizione, mentre RSF registra la caduta a picco del Mali per la situazione generale in cui e’ sprofondato il paese (-74 posti, 99°). L’est del continente continua ad essere il ”cimitero per giornalisti”, con il record di 18 uccisi in Somalia (175°) e il più grande numero di lavoratori dell’informazione detenuti  in Eritrea, almeno 30. Salto in avanti invece per il Malawi, che sale, guadagna 71 posti e si posiziona come 75°, e per la Costa d’Avorio, che guadagna 63 posti e si piazza 96ma.

In Nordamerica, gli Stati Uniti salgono al 32° posto dopo la fine della repressione contro ‘Occupy Wall Street’, in Sudamerica il Brasile finisce al 108° e l’Argentina si posiziona al 54°.

In Asia il Giappone scivola al 53° posto per la censura del nucleare e l’istituzione dei ‘kisha club’, associazioni di giornalisti di media tradizionali che non ammettono fra loro freelance o operatori del web, mentre RSF celebra la “rivoluzione della carta” in Birmania, paese a lungo imbavagliato e ora risalito di 18 punti, al 151° posto, poiché nessun giornalista risulta più detenuto e qualche timida riforma comincia a vedersi.