Sami al-Amour e la sua instancabile resistenza fino alla fine

Di Francesco Pio Pierro. Sami al-Amour, prigioniero palestinese di 39 anni, è morto nelle carceri israeliane a causa di una deliberata negligenza medica. Soffriva di una malattia cardiaca congenita e l’assenza di cure l’ha portato a un progressivo peggioramento. Precedentemente, lo avevano trasferito dalla prigione di Nafha a quella di Ashkelon e solo poco giorni prima di morire era stato trasportato d’urgenza all’ospedale di Soroka per essere operato.

Al-Amour era della città di Deir al-Balah (Striscia di Gaza) e fu arrestato nel 2008 e condannato a 19 anni di carcere. Dal 2008 fino ad al momento della morte, il governo israeliano non aveva permesso visite e contatti con la sua famiglia e suo padre riuscì a vederlo solo tre volte in 14 anni.

La fidanzata di Sami, in un’intervista su Quds News Network, racconta: “È difficile accettare di averlo perso. È difficile per me perderlo. Stavo aspettando la sua telefonata. Era stanchissimo da due mesi. Non ci posso credere. Ci hanno detto che stava bene. Sono rimasta scioccata dal fatto che sia morto. Se n’è andato. I miei sogni sono scomparsi. Non ho più sogni”. Sono queste le parole della fidanzata di Sami, che, pochi giorni prima, lui aveva chiamato per rassicurala che, nonostante tutto, andava tutto bene.

Sami era un essere umano e aveva bisogno di cure, a prescindere dal fatto di di essere un prigioniero, e questa storia denuncia quanto Israele violi i diritti umani: dal togliere la vita ad un bambino, distruggendo i suoi sogni, ad annientare la vita di un adulto eliminando qualsiasi dignità. Sami ha lottato fino all’ultimo respiro contro questa ingiustizia e, come tanti prigionieri a cui è tolto il diritto di essere curati, rimarrà come un guerriero e non come uno sconfitto. Coloro che hanno perso, oggi, sono coloro che si sono dimostrati forti con i deboli anziché andare incontro alle loro fragilità.

Noi tutti, per ricordare Sami, possiamo gridare a Israele quanto è ignobile la sua politica razzista e quanto è ingiusto il suo comportamento verso i fratelli palestinesi. Non possiamo fermarci in silenzio davanti a queste ingiustizie, dobbiamo unirci in un’unica voce contro i tanti abusi che infiammano questo mondo. E nel caos attuale, non ci resta che ricucire le distanze che ci separano dalla Solidarietà. Sami resta e resterà nel ricordo di chi cerca la giustizia, in una realtà sempre più sbagliata.

(Questo articolo è già stato pubblicato su Pressenza).