Ildialogo.org. Di Giovanni Sarubbi.
Resoconto e riflessioni sulla XVI Conferenza dei Palestinesi D’Europa.
Assago (MI), 29 aprile 2018. XVI Conferenza dei Palestinesi D’Europa.
È stata innanzitutto una grande festa collettiva, un momento di gioia segnato da canti, balli, incontri tra persone che non si vedevano da tempo. Poi c’è stato il momento di riflessione, gli interventi di una ventina di oratori ufficiali, esponenti del mondo arabo, di membri di varie associazioni islamiche, di un prete cristiano Palestinese, di varie associazioni di solidarietà fra cui alcune italiane. Non c’è stato alcun parlamentare attualmente eletto in parlamento. Avrebbe dovuto parlare l’on.le Fassina di Sinistra Italiana ma non è venuto, mandando al suo posto un rappresentante locale del suo partito. Come politico ha parlato Michele Piras, deputato sardo della passata legislatura di SEL che ha seguito costantemente la vicenda palestinese.
Il momento più toccante è stato l’intervento di una delle madri che hanno i propri figli in tenera età prigionieri dello stato sionista, condannati a lunghi anni di reclusioni per reati inesistenti. Storie drammatiche che indignano. Dobbiamo tutti fare qualcosa contro la violazione dei diritti umani che in Palestina è quotidiana da parte di uno stato che viene definita in occidente come “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Mai definizione è stata più blasfema e falsa, come hanno documentato i giuristi democratici in una apposita sezione della Conferenza (vedi link).
Gli inni
La Conferenza è iniziata con gli inni nazionali, prima quello italiano, poi quello Palestinese. L’inno italiano è l’unico inno nazionale al mondo che quando viene suonato invece di far mettere sugli attenti fa scatenare gli italiani presenti in sculettamenti vari e grida inconsulte quando la musica termina. I nostri fratelli e sorelle palestinesi ci hanno insegnato come si sta quando si ascolta un inno nazionale. Si sta in silenzio, non ci si agita in modo inconsulto, non si fischia, non si urla, si partecipa al canto se uno ne è capace e se l’inno viene anche cantato. E i palestinesi così si sono comportati, sia con l’inno italiano sia con l’inno palestinese cantati con la mano destra sul cuore. É stato un segno di profondo rispetto per la nazione che li ha accolti e dove tantissimi di loro vivono da oltre trent’anni, ricevendo anche benemerenze per la loro attività sociale o economica.
I contenuti degli interventi
“70 anni e ritorneremo”, questo lo slogan che ha caratterizzato la gran parte degli interventi. Ritorneranno in Palestina, da cui sono stati scacciati esattamente 70 anni fa (1948), perché è un loro diritto, perché lì sono nati e da lì li hanno cacciati con la forza. E l’anniversario della Nakba è fra pochi giorni. Il 12 maggio proprio a Milano si terrà una manifestazione per ricordare, “la catastrofe”, questo significa nakba, cioè la cacciata di circa 700mila palestinesi dai territori occupati da Israele nel corso della prima guerra arabo-israeliana del 1948 e della guerra civile che la precedette. Da allora lo stato sionista ha impedito ai palestinesi il diritto di rientrare che è stato sancito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite. Ed è dal 1948 che la rivendicazione del diritto al ritorno è un punto fermo delle rivendicazioni politiche palestinesi nei colloqui di pace con Israele.
E altro momento toccante della Conferenza è stato proprio quando una delle giovani annunciatrici della Conferenza ha mostrato pubblicamente alcuni documenti del nonno che attestano il loro diritto al ritorno.
E Gerusalemme sarà e continuerà ad essere una capitale araba, checché ne dicano i sionisti israeliani ed il Presidente Trump che li sostiene. E Gerusalemme continuerà ad essere libera per tutte le religioni. E la Palestina non sarà mai un paese usurpatore come è lo stato sionista. Questi i concetti più volte ripetuti da vari oratori.
Altro elemento discusso è quello della politica nota come “due popoli due stati”. Oramai i palestinesi non credono più a tale slogan che di fatto è servito solo a far espandere sempre più lo stato sionista ai danni dello stato Palestinese. Occorre invece un solo stato, veramente democratico che faccia convivere tutti in pace e libertà. E gli esempi di pacifica convivenza tra palestinesi ed ebrei ci sono, come ad esempio la comunità di “Wahat as-Salam – Nevé Shalom (“Oasi di Pace” in Ebraico e Arabo) ”. E tanti palestinesi, con cui ho potuto parlare, mi hanno confermato come lo scopo della entità sionista è sempre stato quello di dividere i due popoli ed impedire che essi potessero fraternizzare. E l’ultimo intervento è stato quello di un inglese che ha chiesto perdono ai palestinesi per ciò che ha provocato la famigerata dichiarazione di Balfour che negli anni 20 diede il via alla invasione della Palestina da parte dei sionisti di tutto il mondo.
Il sionismo
E il sionismo è stato attaccato in tutti i modi possibili da tutti gli oratori. Tutti hanno negato l’equazione che i sionisti sostengono a livello internazionale per difendere la loro politica e cioè che l’antisionismo è uguale all’antisemitismo. Affermazione falsa sia storicamente sia per ciò che riguarda la situazione attuale.
L’antisemitismo è, infatti, una “malattia tutta cristiana”, che ha coinvolto tutte le confessioni cristiane da quella cattolica a quella protestante, a quella ortodossa. Una malattia che risale agli albori del cristianesimo a partire dal terzo secolo con uno dei primi documenti antisemiti scritti proprio a Milano da sant’Ambrogio, quello che è poi diventato il patrono della città.
Ma oltre a questo, i musulmani hanno accolto gli ebrei quando questi sono stati scacciati da vari paesi d’Europa, tant’è che esistono numerose comunità ebraiche in molti paesi musulmani, a cominciare proprio dall’Iran che lo stato sionista tanto odia. Quella del sionismo è una questione che va dunque affrontata per sconfiggere le bugie che su tale questione vengono dette dai sionisti.
E “Free free Palestine” (Palestina libera) è lo slogan più e più volte scandito da una platea attentissima a ciò che dicevano gli oratori. Ed è con questo grido e sventolando la bandiera della Palestina che ad un certo punto della mattina sono entrati nella sala del convegno alcune centinaia di palestinesi giunti in quel momento. Tantissime le donne e tantissimi i bambini.
Le donne
E sono state proprio le donne la presenza più numerosa e significativa del convegno. E non c’è donna palestinese che non abbia per lo meno tre figli. Una presenza viva quella delle donne e dei loro bambini. Donne magari sofferenti, come quelle che hanno i propri figli di 10 o 12 anni prigionieri dell’entità sionista, ma vive, fiere di essere palestinesi e musulmane, pronte a dare la vita per la loro libertà. Donne capaci di intervenire davanti ad un pubblico numeroso come era quello della Conferenza stimato in 4-5mila persone senza emozionarsi neppure un po’.
Ed è guardando le donne palestinesi che ho riscoperto cosa significa “bellezza dell’anima”. Bellezza priva di qualsiasi ostentazione o di nudità che rendono le donne non libere, come vogliono far intendere chi attacca le donne musulmane per il loro modo di vestire, ma schiave. Schiave delle voglie del maschio, del loro maschilismo e della loro violenza. Chi da italiano, attacca le donne musulmane per il loro modo di vestire, oltre ad avere seri problemi psichiatrici nei confronti delle donne, vuole in realtà opprimerle, le vuole schiave di un modello culturale contro cui si sono scagliate nel secolo scorso le femministe. Le vuole tutte prostitute e oppresse, come sono oppresse le donne italiane che seguono i modelli culturali delle TV fognature, dove lo donne sono oggetti sessuali atte a soddisfare i capricci del maschio. Altro che donne libere, donne schiave come dimostrano i continui femminicidi e le molestie sessuali a cui sono sottoposte milioni di donne italiane. E finalmente ho capito il perché degli attacchi alle donne musulmane che con la loro fierezza, la loro “bellezza dell’anima”, costituiscono un serio pericolo per il maschio oppressore ed una alternativa possibile per le donne italiane attraverso un ritorno alla moralità e al rifiuto di modelli oppressivi che si nascondono dietro l’apparente “libertà sessuale”, che è libertà solo per il maschio mentre è oppressione per le donne. Ed infatti sono tantissime le donne italiana divenute musulmane. Sono le donne musulmane le nuove femministe, quelle che riusciranno a sconfiggere il maschilismo di chi le vuole solo prostitute e sottomesse.
E sono state infatti numerose le donne intervenute nel dibattito. E avevano un ruolo importante nel loro paese come ad esempio la Vicepresidente del parlamento Giordano che è intervenuta alla Conferenza.
Le tavole rotonde
La parte politica della Conferenza si è conclusa con due tavole rotonde, una sui diritti umani violati in Palestina, l’altra sulla solidarietà che ho avuto l’onore di moderare. Purtroppo i tempi sono stati stretti perché per la grande partecipazione del popolo palestinese e per i tanti oratori della prima parte della Conferenza, non si è riuscito a rispettare i tempi previsti. Ma ciò che è stato detto nelle due tavole rotonde merita di essere ascoltato attentamente e per questo noi abbiamo pubblicato le registrazioni di questi due momenti di dibattito a cui vi rimandiamo (Link e anche il seguente link ). Importantissima e sia la questione della violazioni dei diritti umani, soprattutto verso i bambini, sia la questione della solidarietà.
Da quello che si è detto durante tutta la giornata è del tutto evidente che senza lo sviluppo di un forte movimento di solidarietà con il popolo palestinese, la guerra che dura da 70 anni non terminerà e non verranno riconosciuti ai palestinesi i loro diritti.
Ma c’è la cappa delle informazioni distorte sulla causa palestinese che va distrutta. E c’è la questione del boicottaggio dei prodotti sionisti che va rilanciato.
La festa
E poi dopo il dibattito la festa. Canti, balli tradizionali, eseguiti da giovani e bambini di cui abbiamo riportato sul nostro sito alcuni momenti. Una festa andata avanti fino a oltre le dieci di sera
Molti si stupiscono del fatto che i palestinesi possano trovare la forza per festeggiare il loro stare insieme nonostante la loro situazione drammatica. Chi si stupisce non ha il senso della comunità che invece hanno i palestinesi e i popoli arabi e musulmani in genere. E una comunità, per quanto oppressa essa possa essere, troverà sempre il modo e il momento per festeggiare perché questo è un modo per rifiutare l’oppressione e per costruire un futuro fatto di pace e solidarietà.
Nessuna oppressione, per quanto feroce essa possa essere, e quella sionista è veramente feroce, potrà mai spegnere la voglia di vivere e di festeggiare dei popoli oppressi.
E il senso di comunità e di rispetto per le persone anziane, cosa che la nostra società italiana ha completamente perso, l’ho potuto toccare con mano con un episodio personale che vi voglio raccontare. Il fratello palestinese che mi ha accolto e che mi ha seguito per tutto il periodo della mia permanenza ad Assago continuava a chiamarmi “professore”. “Chiamami Giovanni”, gli ho detto. Lui giovane, ha una trentina d’anni, chiamandomi “professore” voleva manifestarmi il rispetto che impedisce ai giovani palestinesi di chiamare per nome persone anziane. “Ma no chiamami pure Giovanni, non sono professore”, gli ho ripetuto. Poi mi ha spiegato che in Palestina le persone anziane vengono chiamate “abu”, che significa “padre di”, seguito dal nome del primo figlio della persona anziana. Così io in Palestina sarei stato chiamato “Abu Sara”, con il nome della mia prima figlia. Gli ho sorriso e gli ho detto: “Mi sta benissimo, allora chiamami Abu Sara”.
Quella di Assago per me è stata una esperienza emozionante sia perché ho incontrato tanti fratelli e sorelle amici e amiche di lunga data, sia perché ho avuto la possibilità di ascoltare direttamente dai fratelli e sorelle palestinesi la loro storia e le loro sofferenze. Si perché noi e i palestinesi siamo fratelli e sorelle, tante sono le cose che ci uniscono.
E quella di Assago è stata una giornata che mi ha ancora di più convinto a sostenere con decisione la causa palestinese. E vi invito a fare altrettanto.