La scomparsa di Rafah

10363388_893415507367537_3398642519864627752_nMemo. Di Amira Abo el-Fetouh. Il grado di follia e criminalità di cui si sta macchiando l’attuale regime ha raggiunto vette inimmaginabili. Gli abitanti di Rafah, che vivono nel Sinai egiziano, oggi sono sfollati, dopo che le loro case sono state bombardate e le piantagioni di ulivo distrutte per la creazione di una zona cuscinetto. Tale misura era stata già richiesta da Israele e dagli Stati Uniti durante il governo di Mubarak, per la precisione nel 2007, dopo l’attacco ai danni di Gaza, e la resistenza islamica l’aveva coraggiosamente osteggiata.

Il regime precedente non aveva osato realizzarla, sebbene non si fosse opposto al muro di separazione (vero e proprio muro della vergogna) tra il Sinai e Gaza. Al contempo, aveva continuato ad assediare Gaza e a distruggere i tunnel, unica ancora di salvezza per un coraggioso popolo che vive sotto un assedio costante.

Ma ora, Al-Sisi è stato messo al potere per eseguire tutti gli ordini di Israele e portare a compimento il suo progetto. Attualmente, l’obiettivo che si persegue nella regione è la completa eliminazione del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), che le guerre sioniste non sono riuscite a sradicare, e la cancellazione definitiva della parola “resistenza” dalla mente degli Arabi.

In questo modo, si offre a Israele l’opportunità di gestire la regione a suo piacimento, dopo averla frammentata in mini-stati a base etnica e settaria in continua lotta e contrapposizione tra loro, com’è avvenuto in Siria, Iraq e Libia.

Le guerre non sono riuscite nemmeno a minare la cultura della resistenza nella regione e a sradicarla del tutto, condizione indispensabile affinché Israele non si senta minacciato nella propria sicurezza.

Al-Sisi non fa che interpretare il ruolo che gli è stato assegnato: considera la popolazione del Sinai come nemica, la combatte e la caccia dalle terre che le appartengono da migliaia di anni. Ha creato un nemico dal nulla, generando però così un’autentica ostilità; perché oggi gli abitanti del Sinai hanno sete di vendetta contro il regime di Al-Sisi, colpevole di aver ucciso i loro figli senza una ragione e di averli cacciati dalle loro case.

Il solo fatto di dichiarare che non esiste altro dio all’infuori di Allah ha dato ad Al-Sisi il diritto di sterminarli, con il pretesto della lotta al terrorismo e della guerra globale contro l’Islam. In questo modo, il Presidente spinge le popolazioni del Sinai a nutrire risentimento contro un regime che li ha isolati dallo stato egiziano e li ha sostanzialmente esiliati.

È triste dover costatare che gli abitanti dell’area si sentivano più al sicuro durante l’occupazione sionista del 1967, e che all’epoca non erano vittime di simili, feroci, violazioni dei diritti umani. Tutto ciò è ancora più bizzarro, se si considera che, quando era ministro della Difesa, nel dicembre 2012, Al-Sisi dichiarò che l’evacuazione di Rafah avrebbe generato un sentimento di ostilità tra il governo e la popolazione del Sinai, costituendo una grave minaccia per la sicurezza nazionale dell’Egitto.

Cos’è cambiato, nel 2014? Come mai oggi, invece, si rende necessaria l’evacuazione di Rafah per preservare la sicurezza nazionale del Paese? Di quanti crimini si è macchiato Al-Sisi in nome della sicurezza nazionale, anche quando questa non era affatto compromessa? Al-Sisi non ha fatto cenno alla sicurezza nazionale egiziana parlando dei confini con Israele; quelli sono al sicuro finché lui si impegnerà ad assecondare le politiche israeliane sulla regione? Il punto è che, se davvero è questo il suo pensiero, lui non si discosterebbe poi molto da tutti i tiranni che si disinteressano al loro paese e al loro popolo e si concentrano soltanto sulle loro poltrone. I paesi e i popoli possono anche bruciare, purché il loro trono resti saldo.

Traduzione di Romana Rubeo