RT. Una regione libica separatista ha annunciato la creazione di una compagnia petrolifera indipendente dopo aver preso il controllo di diversi porti marittimi commerciali. Mentre Tripoli si batte per riprendere il controllo, il primo ministro ha avvertito che ci saranno interventi da parte di altri Stati a meno che non sia restaurato il governo centrale.
Lunedì i manifestanti hanno detto allo staff del porto di Mellitah, nel nord della Libia, di interrompere il flusso di gas verso l’Italia in quanto il parlamento e il governo non avevano ceduto alle richieste di diritti politici maggiori.
“Abbiamo provato a convincerli a non chiudere il gasdotto, ma ora è chiuso”, ha detto a Reuters Munir Abu Saud, capo del sindacato locale degli operai petroliferi.
Il primo ministro della Libia, Ali Zeidan, domenica ha dichiarato che le richieste erano intollerabili. “La comunità internazionale non può tollerare uno stato nel bel mezzo del Mediterraneo che sia fonte di violenza, terrorismo e omicidi”.
Portando a esempio l’esperienza in Iraq, ha avvertito i libici di un possibile “intervento da parte delle forze di occupazione straniere” per proteggere i civili in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Ha anche aggiunto che per evitare un tale scenario “la gente deve scendere in strada” e “supportare la costituzione dell’esercito e della polizia”, in quanto il governo ha bisogno di più tempo per creare delle forze di sicurezza addestrate professionalmente.
L’avvertimento del primo ministro giunge a seguito di una nuova serie di attacchi mortali avvenuti a Tripoli e nella zona orientale del Paese nell’arco della scorsa settimana.
Nella più recente esibizione di sregolatezza dall’omicidio del colonnello Gheddafi e dall’invasione straniera, un movimento per l’autonomia si è impadronito di diversi porti e pianifica di vendere il petrolio greggio, dato che Tripoli sta cercando di riprendere il controllo della struttura.
Nella regione orientale della Cirenaica, le milizie e i leader delle tribù locali stanno cercando di creare una federazione non vincolata, condividendo il potere con il Fezzan, la regione sud-occidentale della Libia.
Il primo ministro dell’autoproclamato governo della Cirenaica ha fatto un annuncio dal vivo alla televisione nazionale affermando che è stata fondata un’azienda petrolifera a Tobruk accanto al porto di Hariga, dove lo scorso venerdì i locali avevano negato il permesso a una petroliera noleggiata dal governo di caricare 600 mila barili di petrolio diretti in Italia.
“Abbiamo formato un’azienda che si chiama Libya Oil and Gas Corp”, ha detto per telefono Abd-Rabbo al-Barassi a Reuters.
“Aspetteremo una risposta da Tripoli e dal Fezzan e speriamo di giungere a un’intesa con loro. Poi l’azienda venderà il petrolio e terremo la quota regionale di Tripoli e del Fezzan senza usarla”, ha aggiunto Barassi.
L’azienda petrolifera separatista, che sarà responsabile delle esportazioni di petrolio, è stata creata con l’obiettivo di fondare anche una banca centrale orientale, poiché alcune milizie e tribù cercano maggiore autonomia.
In precedenza, Zeidan aveva dato ai ribelli un massimo di dieci giorni per lasciare gli impianti. “Altrimenti prenderemo dei provvedimenti”.
Parlando del caos in Libia, il primo ministro ha affermato che il Paese potrebbe incontrare difficoltà a coprire le proprie spese, in quanto la produzione di petrolio è precipitata a una frazione dell’originario milione e un quarto di barili al giorno.
“Il bilancio si basa sull’assunto che i ricavi del petrolio siano costanti tutto l’anno”, ha detto. “Dal prossimo mese o da quello successivo, potrebbe esserci un problema a coprire le spese. A causa dei ritardi di esportazione del petrolio, lo Stato […] sta affrontando un deficit”.
In precedenza il ministro delle Finanze aveva dichiarato che la preparazione del bilancio del 2014 sarebbe stata procrastinata, poiché il governo sta facendo degli sforzi per mettere insieme le informazioni da un numero crescente di autorità con bilanci separati.
Nel frattempo, i manifestanti a ovest di Tripoli hanno bloccato le esportazioni di petrolio dal terminal di Mellitah e ora minacciano di bloccare anche il flusso di gas, chiedendo maggiori diritti politici. Il blocco di Mellitah, che viene gestita in cooperazione dall’ENI italiana e dalla National Oil Corp (NOC) del governo libico, potrebbe costringere l’Italia a cercare altri mercati, ha fatto sapere Zeidan.
“L’Italia al momento è il maggiore partner della Libia. Sarebbe grave se i flussi di gas fossero bloccati perché l’Italia importa tra il 23 e il 25 percento del proprio fabbisogno di petrolio e importa anche il gas. Se ora venisse interrotto il gas, potrebbe cercare altre fonti e lasciarci”, ha aggiunto Zeidan.
Mamdouh G. Salameh, consulente petrolifero della Banca Mondiale, ha avvertito della gravità della situazione, dicendo a RT: “In questo momento non stanno ottenendo alcun ricavo dalle esportazioni di petrolio, perché non ci sono esportazioni di petrolio. Prima o poi la Libia smetterà anche di pagare i salari degli impiegati, rimanderà la pubblicazione del bilancio perché non sa quali ricavi riuscirà a ottenere e quando sarà in grado di riprendere le esportazioni di petrolio come prima”.
Giovedì scorso, il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha dichiarato a Repubblica TV che l’ENI stava “soppesando la possibilità di chiudere i pozzi”. L’ENI, contattata da Reuters, non ha commentato.
Il primo ministro della Libia ora ha dato alle milizie fino al 31 dicembre per unirsi alle forze del governo regolari, altrimenti minaccia di tagliare i pagamenti al loro governo regionale.
“La Libia fa parte del mondo, il quale desidera che sia un posto sicuro e non una fonte di disturbo”, ha detto. “Il mondo non ci lascerà diventare parte di quel Mediterraneo che è fonte di terrorismo, instabilità e violenza”.
Traduzione di Roberta Toppetta