Sfruttati ed abbandonati, i palestinesi sono stati veramente traditi

MEMO. Di Bill Law. L’editore politico del Jewish Journal, Shmuel Rosner, in un suo articolo scritto per il New York Times meno di una settimana fa (l’articolo è del 24/5), dopo che 61 palestinesi erano stati colpiti dai proiettili dei soldati israeliani e circa 3.000 feriti, ha avuto qualcosa da dire in un articolo d’opinione intitolato “Israele ha bisogno di proteggere i suoi confini: con qualunque mezzo necessario”: “Naturalmente, la morte di persone non è mai un felice evento. Ma non sento di dovermi impegnare in un lutto ingenuo. Salvaguardare il confine era di gran lunga più importante che evitare uccisioni e la salvaguardia del confine è ciò che Israele ha fatto con successo”.

Si tratta di una linea di difesa dura e fredda, presentata più e più volte dal governo israeliano e dai suoi sostenitori. Le uccisioni sono state giustificate dal bisogno di mettere in sicurezza il confine e proteggere gli israeliani le cui vite erano state minacciate. Quella risposta accuratamente orchestrata, insieme a due dati evidenti, suggerisce con enfasi che Israele desiderava lo spargimento di sangue come un messaggio aperto e brutale nei confronti dei palestinesi.

La realtà è molto semplice: l’IDF aveva avuto alternative all’utilizzo di proiettili veri, ad esempio lacrimogeni, granate, cannoni ad acqua e cartucce. La maggior parte di essi sono stati utilizzati per tenere sotto controllo le proteste in paesi come il Bahrein, un fatto che ho potuto attestare, avendo coperto la triste storia dei paesi del Golfo per più di un decennio.

Inoltre, gli israeliani conoscevano già da settimane l’intenzione di Hamas di marciare verso il confine, utilizzando i civili come carne da cannone eppure hanno scelto di comportarsi nel modo che abbiamo visto, abbattendo uomini, donne e bambini, giornalisti e operatori medici con continui giri di colpi di cecchini. Israeliani ed americani hanno espresso qualche giudizio sulle immagini divise in due, dove da una parte appare una luccicante ambasciata americana a Gerusalemme contrapposta al massacro che si consumava a meno di 100 km di distanza? Probabilmente no. Ma a loro non interessava più di tanto. Benjamin Netanyahu, incoraggiato da Donald Trump, ha visto l’opportunità e colto l’occasione. Lui aveva già calcolato le conseguenze: i palestinesi sarebbero stati condannati per le loro azioni.

Qual era il messaggio che Netanyahu  voleva indirizzare al popolo palestinese? “Non avete nessuna speranza, nessun futuro, avete solo disperazione a meno che non accettiate il nostro piano per la pace. Altrimenti noi, con l’aiuto dell’Egitto, continueremo a dissanguarvi e a schiacciarvi. Non abbiamo bisogno di negoziare con voi. Le negoziazioni sono finite. Prendete il piano che vi offriamo. Ascoltate i vostri fratelli arabi come Mohammad Bin Salman. Il principe ereditario saudita conviene insieme a noi che questo è tempo di accettare quanto proponiamo. Non c’è altra via d’uscita”.

E il patto? Quello, secondo quanto riportato, è qualcosa che il genero di Trump e inviato speciale in Medio Oriente, Jared Kushner, ha perseguito con Bin Salman. Sembra sorprendentemente una transazione immobiliare. Ciò non sorprende, probabilmente, considerato che il 36enne Kushner non abbia alcuna esperienza pregressa in diplomazia, ma ha molto a che fare con il settore ad alto rischio delle imprese immobiliari di New York.

È stato soprannominato il “piano del santuario”. Coinvolge i palestinesi che hanno ceduto circa il 50% dei Territori Palestinesi occupati a Israele. Le città palestinesi e i villaggi in Cisgiordania, circondati dai progetti d’insediamento, finirebbero sotto il controllo amministrativo della Giordania. Da parte loro, gli egiziani accorderebbero la cessione del nord del Sinai ad una nuova entità palestinese contigua a Gaza. La capitale di questo strano agglomerato diventerebbe una città palestinese nei sobborghi di Gerusalemme, Abu Dis. Gerusalemme, intera e senza divisioni, diventerebbe poi la capitale di Israele. Per assistere alla realizzazione del piano, gli israeliani stanno procurando supporto militare all’Egitto nella sua lotta contro Ansar Beit al-Maqdis (ABM). Nel 2014, ABM aveva dichiarato lealtà al sedicente califfo dell’ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi. La penisola era stata dichiarata Wilayat Sinai, la provincia del Sinai annessa al califfato di Al-Baghdadi, oggi in macerie.

Secondo il New York Times, la cosiddetta “segreta alleanza” ha permesso a Israele di compiere più di 100 raid in Egitto contro ABM nel corso degli ultimi due anni. Gli egiziani hanno negato questa affermazione ma gli israeliani non l’hanno né confermata né negata. Utilizzando droni non marcati e jet da combattimento con i loro segni nascosti, gli israeliani hanno ridotto la capacità militare dei terroristi, cosa che l’esercito egiziano ha fallito di fare. Per tornare all’analogia di un patto simile ad una transazione immobiliare, se voi foste Jared Kushner e vorreste sfrattare proprietari problematici da un terreno altamente desiderato con il minore disagio possibile, dovreste offrire loro qualcosa in cambio e quel qualcosa non può essere una proprietà invasa da bande pesantemente armate. In conclusione, gli israeliani stanno facendo del loro meglio per aiutare a rendere sicura la zona.

Da parte sua, il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha disperatamente bisogno di mantenere sia l’Arabia Saudita che Israele dalla sua parte, dal momento che deve vedersela con la lenta economia del suo Paese e con il disincanto della sua politica oppressiva. Il sostegno economico dell’Arabia Saudita con centinaia di milioni di dollari aiuterà a mantenere in vita l’economia dell’Egitto e a far restare al-Sisi a galla. Per il presidente egiziano dover rinunciare al problematico nord Sinai appare come un piccolo prezzo da pagare.

Per Mohammad Bin Salman una soluzione al “problema” palestinese da appoggiare, che sembra essere davvero a sostegno di Israele, sarebbe quella che gli permetterebbe di avere quest’ultimo – con tutto il suo arsenale nucleare – dalla sua parte contro l’Iran, nella battaglia per ottenere l’egemonia nella regione. Donald Trump può gloriarsi di aver portato a termine il “migliore accordo di tutti i tempi” e Jared Kushner avrà salvato qualcosa della sua dubbia reputazione. E cosa ne sarà degli egiziani che adesso vivono nel nord del Sinai? Questa è una domanda che presumibilmente troverà risposta lungo la strada. In realtà, il “piano del santuario” è una follia, al pari di annotazioni sconsiderate sul retro di un tovagliolo. Per quanto ridicolo, tuttavia, deve essere comunque piaciuto a Netanyahu. Con uno sforzo irrisorio o quasi inesistente da parte sua, Netanyahu ha avuto i sauditi dalla sua parte nel sostenere un piano che anche la destra più estremista troverebbe attraente. La ciliegina sulla torta è stata la decisione di Trump di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme senza chiedere nulla in cambio.

Molte domande permangono. Perché il presidente egiziano vorrebbe cedere altre parti del suo territorio, quando è già stato attaccato esplicitamente per aver concesso due piccole isole del Mar Rosso all’Arabia Saudita? Cosa potrebbe far sì che i palestinesi rinuncino ai loro diritti in Cisgiordania e a Gerusalemme in cambio di un pezzo di Egitto, crivellato dal terrorismo?

Nell’euforia evangelica che circonda l’apertura dell’ambasciata a Gerusalemme, queste domande non hanno alcun valore. Inoltre, nel modo in cui l’Arabia Saudita e gran parte del mondo arabo si sono espressi con piccoli rumori piuttosto che con manifestazioni di rabbia contro il massacro di Gaza, i palestinesi possono vedere in che direzioni il vento sta soffiando. Sfruttati dai loro leader, abbandonati su tutti i fronti, sono loro ad essere stati veramente traditi.

Traduzione per InfoPal di M.D.F.