Come si comporterà ora l’Europa con la Palestina?

PIC e MEMO. Di Hossam Shaker. Il gioco che dura da un quarto di secolo è finito e le promesse internazionali vendute al popolo palestinese come ‘processo di pace’ in Medio Oriente sono svanite. Chi può sperare, oggi, nella nascita di uno stato palestinese indipendente, dai negoziati? Che ne diciamo di Gerusalemme, dopo le recente decisione di Washington?
Mentre l’esercito israeliano stava ammazzando a suon di proiettili i palestinesi sul confine di Gaza, un gruppo di funzionari e membri del Congresso Usa guidato dalla figlia e dal genero di Trump si è riunito a Gerusalemme. L’ampia delegazione statunitense si rallegrava di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti nella città occupata, ignorando consapevolmente le condizioni affrontate dai palestinesi. 
Essi sono sommersi dall’estasi di giudizi storici ingannevoli e false interpretazioni religiose che intendono glorificare un regime di occupazione militare. Hanno descritto Donald Trump come un devoto cristiano mandato dal signore per portare a termine ciò che i suoi predecessori alla Casa Bianca non sono riusciti a ultimare. L’allegra celebrazione ha ignorato le vite e il sangue del popolo palestinese, umiliandolo mentre stava contando le proprie vittime, la più giovane delle quali è la neonata Leila Al-Ghandour, soffocata dai gas lacrimogeni dell’esercito israeliano a Gaza est.
L’apertura dell’ambasciata è stata l’espressione del cambiamento americano che segna la fine di un quarto di secolo di promesse per la fondazione di uno stato palestinese attraverso i negoziati. Questo cambiamento costringe l’Europa a rispondere a una domanda fondamentale: quale sarà la prossima mossa? Ovviamente le promesse ai palestinesi possono continuare per altri 25 anni, ma loro non aspetteranno così a lungo, poiché già ora si stanno mobilitando davanti all’occupazione israeliana con metodi imprevisti. 
I gazawi stanno attuando una enorme dimostrazione pacifica per richiedere diritti legittimi per cui sono state emesse delle risoluzioni internazionali, che sono però rimaste inapplicate. I profughi non armati si sono spostati verso la loro patria ordinatamente, per riottenere le loro terre e le loro case, che furono loro prese dalle autorità israeliane. Tutta quella gente è stata delusa, nel secolo scorso, dalla comunità internazionale, che ha perso per sempre la sua credibilità.
I leader politici in Europa possono essere soddisfatti e starsene a guardare i massacri di Israele contro i manifestanti disarmati, esprimendo parole di raccomandazione, come hanno già fatto in passato. Questo però non li assolve dai loro obblighi morali o dalle loro responsabilità storiche, in quanto hanno avuto un ruolo nella creazione della Nakba. Il popolo palestinese ha pagato un prezzo molto alto per le politiche europee durante la prima metà del XX secolo, che ha condotto all’espulsione dalle loro terre e abitazioni e allo status di profughi senza un paese della maggior parte di loro. 
Quanto allo stato costruito sui resti della Palestina, esso ha potuto contare sull’esperienza coloniale europea. Esso si è contraddistinto per la negazione dell’esistenza di un popolo palestinese e per la negazione dei loro diritti fondamentali, tra cui il diritto all’autodeterminazione, il diritto dei profughi al ritorno al proprio paese e alle proprie case e il diritto di fondare uno stato indipendente con capitale Gerusalemme.
Secondo la logica israeliana prevalente, i palestinesi dovrebbero svanire o vivere per sempre sotto occupazione, senza protestare, senza resistere. L’occupazione, per continuare a esistere, deve continuare a opprimere questa nazione con tutti i mezzi possibili, compresi i progetti avanzati di saccheggio dei terreni, del furto delle risorse, del controllo completo e dell’apartheid.
Essa deve anche esercitare l’intimidazione, l’arresto, l’esilio e l’assassinio. Tutte queste pratiche sistematiche non hanno impedito a qualcuno di complimentarsi con questo governo canaglia: i soci internazionali lo hanno descritto una democrazia splendente che appartiene al mondo civilizzato. Questa è una propaganda perfetta per coprire i fatti, nascondendo i continui crimini di guerra e gli omicidi brutali del popolo palestinese.
Ma quando la leadership israeliana ha deciso di festeggiare il 70 esimo anniversario della Nakba – la pulizia etnica della Palestina – con l’aiuto del suo alleato – l’amministrazione Trump – essa ha perso l’estasi del momento e non è più riuscita a nascondere la realtà. 
I palestinesi sono ancora al centro della questione, guidano gli eventi e rivelano realtà indesiderabili, con in tasca le chiavi delle case loro confiscate. Il mondo ha potuto vedere le ferite della Nakba palestinese, che non è mai guarita e che continua a sanguinare.
Nemmeno le celebrazioni per l’ambasciata americana sarebbero riuscite se non per gli ostacoli del movimento palestinese a Gerusalemme, con gli scontri violenti con le Forze di occupazione nelle strade e nei campi della città, piena di fumo e gas delle esplosioni.
La cerimonia dei sorrisi all’ambasciata americana è terminata e i portavoce israeliani hanno chiesto ai palestinesi di riconoscere lo status quo, ovvero di arrendersi all’occupazione. Questo scherzo poco divertente sembra equivalere alla richiesta, fatta al mondo intero, del riconoscimento della povertà, dell’ignoranza e delle malattie come status quo che non va contenuto né confrontato. Ma la situazione alla quale il mondo assiste oggi è la determinazione del popolo palestinese a riottenere i suoi diritti, senza badare a quanto tempo e quanti sacrifici siano necessari. 
Le generazioni di palestinesi marciano in cortei popolari, privati di qualsiasi arma, per raggiungere le loro terre e le loro case, dietro la grande prigione che si chiama Striscia di Gaza. David Ben Gurion si immaginava tutto questo quando gestì il programma di pulizia etnica in Palestina? Si immaginava che la popolazione di profughi avrebbe continuato a organizzare eventi, ad alzare la voce e a pretendere case e terreni anche 70 anni più tardi?
I governi israeliani che si sono succeduti e i loro alleati su entrambe le coste dell’Atlantico hanno scommesso, perdendo, sul fattore tempo, ritenendo che esso avrebbe eroso la causa palestinese, abbandonato l’identità della sua gente e che le generazioni successive avrebbero smesso di chiedere i loro diritti. Il 70 esimo anniversario della Nakba ha dimostrato che il tempo ha l’effetto contrario, e che tutti trucchi e i programmi usati per esaurire questa nazione sono falliti. Il risultato è l’emergere di una nuova generazione palestinese che non ha paura delle pallottole ed è disposta al sacrificio, nonostante il dito facile sul grilletto dei militari israeliani.
L’Europa deve capire i messaggi che questi sviluppi straordinari portano con sé. È la fine di un’era piena di false promesse e vuoti slogan, durata un quarto di secolo. L’Europa deve decidere da che parte stare nella politica dello strangolamento collettivo imposto, con la complicità internazionale, su 2 milioni di palestinesi in una grande prigione isolata dal resto del mondo; una prigione chiamata Striscia di Gaza.
Queste persone sono state costrette a un assedio immorale per obiettivi politici, forse con la speranza di un’esplosione interna di massa entro gli stessi confini di Gaza. Ma alla fine questa politica di punizione collettiva ha portato a un’esplosione di massa in faccia all’occupazione; non per il pane o per i medicinali, ma per i diritti e per la giustizia. Infine, c’è una raccomandazione che l’Europa possa proporre ai palestinesi, che vada oltre la proposta di aspettare un altro quarto di secolo di promesse e slogan senza valore?
– Hossam Shaker is an expert on Arab-European affairs and a journalist and an author. His article was published in MEMO.
Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice