Si scrive Siria, si legge Iran

Nigrizia. Di Mostafa El Ayoubi. La guerra che su vari fronti è stata imposta alla Siria da quasi due anni, sta logorando il popolo siriano. A causa del violento scontro armato tra gruppi sovversivi (siriani e non) e l’esercito regolare, degli attentati, delle sanzioni economiche e dell’isolamento diplomatico, il paese sta drammaticamente assomigliando sempre di più all’Iraq del dopo Saddam Hussein.

I mezzi d’informazione dominanti ci hanno raccontato sin dall’inizio che in Siria è in atto una rivoluzione contro un regime totalitario. Certo, non c’è democrazia. Tuttavia chi osa osservare che dietro la grave crisi vi sono altri motivi che poco hanno a che fare con la democrazia, viene tacciato di essere simpatizzante di Bashar Al Assad, se non addirittura complice. Accuse, però, mai supportate da argomenti validi per confutare dubbi e interrogativi profondi sulla genuinità e veridicità della tesi ufficiale propagandata secondo la quale le potenze occidentali vogliono solo che in Siria si instauri la democrazia. Elenchiamo alcuni interrogativi.

Come viene giustificato il sostegno economico e politico che Washington, a partire dalla metà del decennio scorso, ha fornito all’opposizione siriana insediata a Londra, composta in gran parte dai Fratelli Musulmani?

Come interpretare le dichiarazioni di qualche anno fa del generale americano Wesley Clark, ex comandante Nato, secondo il quale gli Usa stavano preparando un pian di guerra contro alcuni paesi arabi e islamici, tra cui Libia, Siria e Iran?

Perché mai è stato nominato Roberto Ford a capo della diplomazia a Damasco a pochi mesi dell’inizio della crisi in Siria? Forse per la sua esperienza in Iraq, sotto occupazione Usa, accanto all’ambasciatore John Negroponte che ha favorito la creazione di gruppi terroristi islamici con il marchio Al-Qaida, come fece con i contras quando era ambasciatore in Honduras all’inizio degli anni Ottanta?

Al-Qaida è un’organizzazione jihadista ideata a suo tempo dal principe saudita Bandar ben Sultan. Come mai gli Usa, amici del regime saudita, combattono i qaidisti in Pakistan ma si alleano tacitamente contro il regime di Damasco, come fecero in passato contro quello di Kabul sostenuto dai russi?

Tra i gruppi jihadisti che hanno combattuto a fianco di Usa e Nato contro Gheddafi e operativi in Siria vi è il Gruppo islamico combattente libico, che ancora figura come organizzazione terroristica nella lista nera del Dipartimento di Stato americano. Come spiegare questa contraddizione?

Perché mai la realizzazione del nobile obiettivo della democrazia in Siria è affidato a paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita – quest’ultima occupa la penultima posizione di una classifica sulla democrazia stilata nel 2010 dal The Economist – governati da regimi totalitari?

Nel Bahrein è in atto una rivoluzione – non armata – che dura da quasi due anni. Perché si tace sulla repressione del regime di Al Khalifa contro i suoi cittadini con il sostegno militare dell’Arabia Saudita e di altri paesi arabi del Golfo?

Se agli americani e ai loro alleati sta a cuore la sorte dei siriani, perché hanno fatto di tutto per far fallire la mediazione Onu di Kofi Annan e Lakhdar Al Ibrahimi, e ostacolato ogni tentativo di dialogo tra il regime e l’opposizione, quella vera, non quella creata a tavolino a Doha, lo scorso novembre, guidata da un esponente dei Fratelli Musulmani?

Molti di questi combattenti sono stranieri assoldati dal Qatar. Di quale rivoluzione siriana si parla quindi? Chi farà parte del futuro parlamento e governo della Siria del dopo Al Assad? I libici? I sauditi? I ceceni? Gli usbeki?

Tutti questi interrogativi i media mainstream, al servizio delle grandi potenze neocoloniali, non solo si guardano bene dallo sciorinarli dinanzi all’opinione pubblica internazionale, anzi vi sovrappongono informazioni architettate per condizionare l’immaginario collettivo. Una delle ultime è quella delle armi chimiche che Al Assad potrebbe utilizzare  contro il suo popolo. Al riguardo, il giornalista Robert Fisk in un suo articolo apparso su The Indipendent del 6 dicembre scorso scrive: “Più sono grosse le menzogne e meglio è”. PEr Fisk la trovata delle armi chimiche è un’altra frottola. Ha inoltre confessato: “Noi giornalisti abbiamo contribuito a far circolare questa fesseria”, in passato, riferendosi alla guerra contro l’Iraq.

La realtà è che la crociata contro la Siria serve per togliere di mezzo, a costo di distruggere l’intere paese, un regime che ostacola il progetto americano per un “nuovo Medio Oriente” composto da piccoli staterelli gestiti dalla Internazionale della fratellanza musulmana – fomentando all’occorrenza anche lo scontro interreligioso – per arginare le ambizioni geopolitiche regionali dell’Iran sciita, prossimo bersaglio della macchina da guerra occidentale.