

Ramallah. Il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha riferito domenica che, nel 2024, 193 giornalisti sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane nella Striscia di Gaza.
Nasser Abu Bakr, capo del Sindacato, ha rilasciato la dichiarazione in occasione della Conferenza annuale sulla libertà tenutasi domenica presso la sede del Sindacato a Ramallah. L’evento, intitolato A Wounded Voice and a Clearer Image (Una voce ferita ed un’immagine più chiara), si è concentrato sulle sfide affrontate dai giornalisti che lavorano in Palestina.
Abu Bakr ha sottolineato la resilienza dei giornalisti palestinesi, osservando che, nonostante le violenze, tra cui uccisioni, bombardamenti e distruzioni, essi sono rimasti fedeli al loro impegno professionale e hanno continuato a riportare la verità al mondo. Ha confermato che il Sindacato presenterà la sua terza denuncia alla Corte penale internazionale in merito agli attacchi contro i giornalisti palestinesi.
Mohammad al-Laham, capo del Comitato per la libertà del Sindacato, ha presentato il rapporto annuale del Comitato, chiedendo di concentrarsi sull’impatto umano degli attacchi ai giornalisti. Il rapporto ha rivelato che 86 giornalisti sono stati feriti da munizioni letali e schegge di razzi, indicando che tutti i giornalisti feriti erano potenziali bersagli.
Il rapporto ha anche evidenziato 64 casi di detenzione di giornalisti da parte delle forze di occupazione israeliane a Gaza e in Cisgiordania, nonché la distruzione di 54 istituzioni mediatiche, in tutto o in parte, o il loro sequestro e danneggiamento. Inoltre, le forze israeliane hanno tentato di investire i giornalisti con veicoli militari.
Al-Laham ha rilevato un aumento significativo nell’uso di munizioni letali dirette contro i giornalisti per intimidirli e impedire la copertura mediatica. Nel 2024, 148 incidenti di questo tipo hanno provocato feriti, mentre 85 casi sono dovuti all’inalazione di gas tossici e lacrimogeni.
Il rapporto ha anche evidenziato le continue restrizioni al lavoro giornalistico, tra cui la detenzione, le minacce, i rapimenti e l’interruzione delle attività di stampa attraverso il controllo delle reti di comunicazione e l’hackeraggio dei contenuti palestinesi sui social media.
(Fonti: Quds Press, Wafa, PIC).
Traduzione per InfoPal di F.L.