Soldato israeliano condannato a una pena irrisoria per l’uccisione illegale di un pescatore palestinese

Al-Mezan Center for Human Rights. Comunicato stampa del Centro Al-Mezan per i diritti umani: Il 15 giugno 2020, un tribunale militare israeliano ha condannato un soldato israeliano per aver sparato e ucciso Nawwaf al-Attar, un pescatore palestinese di 23 anni al largo della costa di Beit Lahia nella Striscia di Gaza. Gli è stata inflitta un’irrisoria pena detentiva di 45 giorni da scontare svolgendo un lavoro militare.

La corte ha aggiunto una sospensione condizionale della pena da due mesi a due anni e una retrocessione di grado, condannando il soldato con l’accusa di “aver disobbedito a un ordine che comportava una minaccia per la vita o la salute”, ai sensi dell’art. 72 della legge marziale israeliana (1955) e di “negligenza e imprudenza”, ai sensi dell’articolo 341 della legge penale israeliana (1977).

Il procedimento rappresenta un mero tentativo di ritrarre un sistema che funziona secondo i principi della giustizia internazionale.

Il Centro Al Mezan per i diritti umani aveva presentato una denuncia penale all’Avvocato generale militare israeliano il 27 novembre 2018, reclamando un’indagine sull’uccisione di Nawaf al-Attar il 14 dello stesso mese; la polizia militare l’ha avviata solo sei mesi dopo, il 7 aprile 2019. Il 13 maggio 2020, con il supporto legale e tecnico di Al Mezan alla famiglia, gli investigatori hanno intervistato il fratello di Nawaf al Valico di Erez.

Le prove raccolte indicano che la fatale sparatoria di Nawaf è stata un atto di omicidio volontario, che ha generato varie accuse e una condanna commisurata alla gravità del crimine. Tuttavia, il tribunale militare israeliano ha emesso una sentenza con un’accusa disciplinare e un’accusa penale relativamente bassa di negligenza e imprudenza. Inoltre, il tribunale ha rilasciato al rappresentante legale della vittima e alla sua famiglia un documento pesantemente censurato che nascondeva la data effettiva di inizio della sentenza.

Questo è la seconda vicenda in due anni in cui i casi di Al Mezan sono stati condannati in modo inadeguato; il caso del 2019 fa riferimento all’uccisione del quattordicenne Othman Hillis, un manifestante disarmato che partecipava alla “Grande Marcia del Ritorno”, il cui omicidio ha ottenuto anche una breve condanna da scontare attraverso il lavoro militare per cattiva condotta. Si tratta di un’ulteriore prova dell’impunità dilagante in Israele e della mancanza di mezzi di ricorso efficaci per le vittime palestinesi e le loro famiglie.

I procedimenti testimoniano il modo in cui il sistema giudiziario israeliano, compresi i suoi tribunali militari, protegge gli attori statali da una reale responsabilità e allo stesso tempo cerca di rappresentare se stesso come un sistema che funziona in conformità con il diritto internazionale. Al Mezan considera questi procedimenti come un flagrante tentativo di dissuadere i meccanismi di giustizia internazionale dall’assumere la giurisdizione.

In tal senso, è importante ricordare che lo Statuto di Roma conferisce alla Corte penale internazionale il potere di celebrare processi secondari qualora i procedimenti nazionali “abbiano avuto lo scopo di proteggere la persona interessata dalla responsabilità penale”, o “non siano stati condotti in modo indipendente o imparziale in conformità alle norme di un equo processo riconosciuto dal diritto internazionale” (art. 20).

Il prolungato impegno di Al Mezan contro il sistema israeliano dimostra in maniera definitiva la necessità che gli Stati terzi e i meccanismi di giustizia internazionale perseguano realmente la responsabilità legale per la presunta commissione di gravi crimini internazionali in territorio palestinese.

La protezione dei civili e lo stato di diritto sono gravemente compromessi dalla perpetuazione di uno stato di impunità. Al Mezan chiede giustizia per queste e per tutte le altre vittime delle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e chiede alla comunità internazionale di esercitare la sua giurisdizione per impedire che la commissione compia ulteriori crimini in futuro.

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna