Sotto le bombe, quei piccoli figli d’un Allah minore

Da Il Manifesto del 14 gennaio

REPORTAGE DA GAZA

Sotto le bombe, quei piccoli figli d’un Allah minore

Vittorio Arrigoni

GAZA CITY

I figli di un Allah minore, che il rifugio nell’abbraccio delle madri
e dei padri una folgore dal cielo ha per sempre spezzato, continuano a
espiare l’eredità di un odio tramandato di generazione in generazione
per una colpa che non hanno mai commesso. I soldati con la Stella di
David si calano nel ruolo di tanti Erode contemporanei, già 253 i
bimbi palestinesi massacrati. Un orrore senza fine, per il quale
nessun soldato, nessun ufficiale dell’esercito israeliano, nessun
governo israeliano è mai stato messo dinnanzi alle sue responsabilità
di criminale di guerra. Se per qualche ora queste vittime innocenti
vengono graziate, non è così per i luoghi che ospitano i loro giochi,
i sogni e le ambizioni di diventare adulti, quei padri e quelle madri
che a loro sono stati strappati. Gli orfanotrofi sono diventati il
nido preferito per gli uccelli meccanici israeliani, negli
orfanotrofi i caccia vanno a deporre le loro bombe. I compagni
dell’Ism da Rafah mi scrivono: «Domenica 11 gennaio,
approssimativamente alle 03:00 am, caccia F16 hanno bombardato il
centro per orfani dell’associazione Dar al-Fadila, che includeva una
scuola, un college, un centro informatico e una moschea in Taha
Hussein Street, nel quartiere Kherbat al-‘Adas a nord est di Rafah.
Parte degli edifici sono andati completamente distrutti e quelli
ancora in piedi sono seriamente danneggiati. La scuola assisteva
circa 500 bambini senza più genitori».

La personalissima Jihad israeliana contro i luoghi sacri dell’Islam
lungo la Striscia continua, contando la moschea di Kherbat al-‘Adas,
sono 20 le moschee rase al suolo. Fortunamente nessu razzo Qassam ha
ancora sfiorato le pareti di una sinagoga. Siamo certi che altrimenti
avremmo giustamente avvertito levarsi al cielo grida di sdegno da ogni
angolo del mondo, mentre non ci meravigliamo più se nessuno protesta
contro questa massiccia campagna anti-slamica. Dio deve pagare il
prezzo di ricevere preghiere dai palestinesi. Quasi 950 vittime,
l’85% sono civili.

L’infernale macchina di distruzione israeliana continua lentamente ad
avanzare ed avvolgere tutta Gaza, abbattendo case, scuole, università,
ospedali, senza nessun tangibile segnale né volontà di sabotaggio da
parte della comunità internazionale. Sabotare l’avanzata della morte
travestita da tank e caccia per savaguardare la vita. E’ giunto
allora il nostro turno, noi, semplici cittadini senza cittadinanza se
non quella di ritenerci appartenenti ad una sola unica famiglia, la
famiglia umana, è ora che infiliamo un bastone in questo ingranaggio
infernale.

Ho incontrato il dottor Haidar Eid, professore dell’univesità Al Quds
di Gaza city. Un intellettuale di sinistra, coriaceo e insieme ilare,
passionale, generoso, come in Italia non se ne vedono più, estinti o
deposti in qualche scantinato della memoria perchè non riciclabili
con la linea bipartisan che fa sfilare a braccetto post-fascisti e
post-comunisti, uniti in comune litania a giustificare Israele per
ogni suo massacro. Haider dinnanzi a me si fa portavoce del Pacbi
(The Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of
Israel: http://www.pacbi.org/) e del Bnc (The Boycott, Divestment &
Sanctions Campaign National Committee: http://bdsmovement.net/ ) e
con lui ho discusso di boicottaggio.La storia insegna ma non ha
alunni. E Mandela e il Mahatma Gandhi sono al momento impossibilitati
a concedere ripetizioni. Ma c’è la storia specifica del Sudafrica a
indicarci la strada per costringere Israele razzista e colonialista e
giungere ad un compromesso.

Non boicottare allora quel regime di apartheid fu considerato un po’
come esserne complici, cosa cambia oggi? Come me, la stragrande
maggioranza dei palestinesi, non crede che la miglior risposta
all’occupazione israeliana e a questo massacro in corso siano gli
attentati, i kamikaze e i razzi su Sderot. Il boicottaggio è
pacifista, non violento, la migliore risposta umanamente accettabile,
all’imbarbarimento di un conflitto che rende disumano ogni gesto. La
migliora arma nell’arsenale della non violenza, come ci ha ricordato
Naomi Klein in un recente editoriale su il Guardian. Heidan riesce a
trarre qualcosa di positivo dalla pozza di sangue in cui stiamo
affondando. Come fu dopo il massacro di Sharpeville, 21 marzo 1960,
quando 78 neri furono fatti a pezzi per volontà di un regime barbaro
in Sudafrica, e il mondo si sentì in dovere di dire basta,
l’incomparabile massacro di mille civili palestinesi potrebbe dare il
via ad una altrettanta forte campagna di mobilitazione per punire i
crimini israeliani. Heiden è anche uno dei fautori di Israele e
Palestina uniti in un unico stato, secolare, democratico e
interreligioso, per lui unica e pragamatica via di uscita da un
conflitto che non vede altre risoluzioni. Più intimamente mi parla
della Nakba, che lui ha scampato per pochi anni, ma intensamente
rivissuto nei racconti tramandati per via orale dai suoifamiliari. Mi
parla a chiare lettere, lui figlio del post-catastrofe, di come la
Nakba è stata la tramandazione di un incubo, che ha alimentato
l’inconscio collettivo di migliaia di palestinesi. L’incubo si è
rifatto vivo, ha bussato sui tetti delle case il 27 dicembre, e da
allora non smette di mietere notti insonni.

Haiden mi invita a divulgare, e io registro sul mio taccuino, il suo
appello per tutti gli italiani a non comprare più alcun prodotto Made
in Israel. I prodotti israeliani si riconosco sugli scaffali,
imbrattati di sangue, hanno un codice a barre che li contraddistinue:
729 le cifre iniziali. Per ricavare la lista completa dei prodotti è
possibile accedere al sito
http://www.boycottisraeligoods.org/modules11748.php . Stampatevi la
lista, appicciatela sulla porta del frigo o infilatelo nella borsa di
vostra madre o vostra moglie quando si recano al mercato con la lista
della spesa. «Se compri anche un solo bicchiere d’acqua proveniente
da Israele, di fatto compri un anche un proiettile che prima o poi
andrà a conficcarsi nel cuore di uno dei nostri figli».

Il movimento di boicottaggio che ha visto la luce nel 2005 in
Palestina, sta facendo passi da gigante e si diffonde fra milioni di
consumatori nel mondo. Il presidente venezuelano Chavez che ha
espluso l’ambasciatore israliano e cessato ogni rapporto con lo Stato
che ci sta strangolando è un esempio da incarnare per tutti i politici
nostrani.

I leaders sudafricani dell’allora lotta contro il regime d’apartheid
, Mandela, Ronnie Kasrils e Desmond Tutu affermano che l’oppressione
israeliana contro i palestinesi è di gran lunga peggiore di quella
del Sudafrica, voci un tantino più autorevoli di Frattini e Fassino.
Diversi ebrei isrealiani si sono uniti alla campagna di boicottaggio,
circa 500 finora, fra i quali Ilan Pappe e Neta Golan, sopravvisuti
all’Olocausto che gridano «mai più». Il poeta israeliano Aharon
Shabtai ci istiga ad agire : «Io spero nell’aiuto degli europei, che
i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele
non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà “basta”.
Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può
cambiare la situazione e riportarci la felicità. La situazione
attuale – in cui a dettar legge è l’esercito – non può essere
cambiata dall’interno. Per i valori di cui è portatrice, l’Europa non
può continuare a collaborare con Israele».

729 deve diventare il nostro numero.

Restiamo umani.

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