'Sporchi dentro, brutti fuori'. Di F.Grimaldi.

Da Mondocane
fuorilinea

Omini
di burro capipartito, boia mediatori di pace, narcotrafficanti
internazionalsocialisti, contras palestinesi al servizio di Sion, Al Qaida dappertutto: le manovre estive della “Guerra globale al
terrorismo”
.

SPORCHI DENTRO, BRUTTI FUORI

4/7/07 FULVIO GRIMALDI

“Puliti dentro belli fuori” è la panzana di un’industria
delle acque rubate. Sporchi dentro brutti fuori ne è la nemesi da cui si può
vedere colpita la classe dirigente

 nostrana e
mondiale. Metteteli un po’ in fila, come per una foto scolastica, e voglio
vedere se non vi scappa qualche osservazione lombrosiana. Che non sarebbe poi
proprio da Lombroso, il quale traeva convinzioni piuttosto
razziste

 sui caratteri
dei soggetti dalle fisionomie di partenza: ladro, assassino, prostituta, idiota,
galantuomo, artista e via classificando. Qui guardiamo alle fisionomie d’arrivo,
quelle che vita, comportamenti, pensieri, sentimenti, vizi e bagordi, porcate e
ruberie hanno inesorabilmente scolpito sull’innocente materia prima.

La pulizia dentro e la bellezza fuori
dell’omino di burro

E quelle sono davvero una documentazione che nessun
discorso del Lingotto (Walter Veltroni, all’incoronamento da sovrano del Partito
Democratico), o nessuna benedizione urbi et orbi possono smentire. Ricordate
“l’omino di burro” che, tra scampanellii, ghirlande e festoni, trascinava i
farlocchi nel Paese dei Balocchi da dove, dopo qualche fugace pippa, sarebbero
poi usciti somari da macello? “Omino di burro”, il gigantesco Collodi aveva
definito così il conducente di quella spedizione di morte travestita da perenne
festa, facendoci immaginare un sorridente e untuoso figlio di puttana dalle
flaccide gote in via di prolasso. Beh, (tirate il fiato, il periodo è lungo),
non corrisponde forse, in perfetto combacio, al sindaco fuffa dai canini di
caimano, quello della piazzetta dedicata al compagno Dino Frisullo, combattente
della causa della minoranza turco-curda in via di cancellazione e anche quello
della simultanea cacciata dei quattro rom di Roma nel deserto oltre il Raccordo
anulare, via da scuole e ospedali? Contributo a quell’idea della sicurezza che, sotto Veltroni, tanta
strada ha fatto da far cacciare a sassate due signore berbere che, alla
Magliana, avevano voluto dar vita a un progetto di conoscenza con l’erezione in
piazza di un autentico villaggio berbero, con relativa cultura, arte e
gastronomia. Ma Veltroni non è quello delle pere vippiste cinematografiche e
quello del degrado delle periferie e di tutti i servizi urbani; quello dell’
I care (mi prendo cura) e quello
dell’inno alla sicurezza – leggi
repressione – per reprimere gli effetti della macelleria sociale? Quello che,
concepito, nato e allattato nel CC del PCI, ha fatto per 17 (diciassette) anni
il leader della gioventù bolscevica italiana e ora – mai stato comunista! –  fa il leader di un partito-fuffa che fa il verso ai Kennedy degli assalti a Cuba e al
Vietnam e delle commistioni mafiose, al Clinton dei massacri balcanici e
iracheni, a Sharon, uomo di pace –
e a Olmert Viva la Sinistra per Israele. Una genìa
di serialkiller da far
impallidire Re Leopoldo I (ne fece fuori 20 milioni in Congo, a proposito di
“unicità dell’Olocausto”)?

Diamo un’occhiata dall’alto della storia. Cosa va
facendo questo omino di burro, cocchiere
di carri funebri? Non sta forse portando a termine, con il Partito del Vuoto
Pneumatico, il Grande Disegno della via
italiana al socialismo
, col quale hanno intrappolato per tre
generazioni l’autonomia, la forza, la creatività, la rabbia e il destino delle
masse di questo paese? Quel disegno che l’onesto Be-Be-Be-Berlinguer iniziò a
realizzare accucciandosi nella Nato e lavorando, col Compromesso Storico,
all’inciucio di classe totale, alla fine del conflitto. Fine del conflitto
operato ovviamente da chi abita al pianoterra o nel sottoscala, non certo quello
di coloro che sgavazzano ai piani alti che, infatti, hanno continuato a menare
come matti quelli di sotto. Da allora c’è voluto un quarto di secolo, una ricca
stagione di opposti estremismi con occasionali spruzzate di brigate rosse, ma
alla fusione completa tra ex-PCI ed eterni democristiani ci è arrivato, appunto,
il primatista assoluto del trasformismo all’italiana, l’omino di burro. Chi è
dotato di zanne più luccicanti e al tempo più taglienti da affondare nel corpo
inerme e inerte del proletariato italiano? Chi si è abbeverato quanto lui ai
poteri forti (è una bella gara, tra Bertinotti, D’Alema, Rutelli, ma con
Veltroni non c’è partita) azzerando ogni sfumatura di laicità e promettendo una
gabbia della sicurezza che
neanche il nerboruto Sarkozy. Tanto da essersi meritato il logico plauso del
portabelinate di Forza Italia, Bonaiuti, che è andato profetizzando una non
innaturale combine tra il PD e la
cosca di Berlusconi. Tanto da essere convolato a nozze con l’ex-picchiatore
fascista Alemanno, giurando i due eterna fedeltà a quel coronamento del
neoprotocapitalismo che si chiama sussidarietà, ossia morte del pubblico e
briglia sciolte all’idrovora del profitto privato. Come i burattini Lanzillotta
e Bersani, appesi ai burattinai FMI, Ocse, BCE, UE e l’uomo Goldman Sachs di
Bankitalia, insegnano. Tanto da essere il cocco di una comunità ebraica che
quanto a identificazione con la destra e, dunque, con i macellai di Tel Aviv, dà
punti perfino ad Adriano Sofri e Magdi Allam Ce lo presentano, soffuso di aureole buoniste, il Veltrusconi, questo
eroe della più sublime doppiezza nazionale e ci intimano: badate, se non vi sta
bene Veltroni, poi arriva il bau-bau vero, quello di Arcore (null’altro che
un alter ego con in bocca guano anziché
melassa). E il ricatto, vedrete, funzionerà di nuovo. Non è così che le sinistre
di complemento ci hanno fatto trangugiare gli assalti al Libano,
all’Afghanistan, il massacro del territorio, la demolizione di ogni residua
garanzia di sopravvivenza alle vampiresche liberalizzazioni-privatizzazioni, il
vaiolo delle basi Usa sulla pelle della Nazione, la dittatura di una cosca di
banchieri e bankitaliani? E non abbiamo subito, a sinistra, quel capolavoro
dell’inversione della verità con cui la mafia mediatico-politica
sion-colonialista, bulimica di territori e stragi, ha trasferito ai musulmani in
corso di decimazione l’ intenzione di eliminarci e schiavizzarci tutti e poi
dominare il mondo? Con il che ancora una volta il bue ha dato del cornuto
all’asino.Rimane da esigere una risposta al quesito che ha sconvolto l’intera,
vera sinistra: perché un gruppuscolo romano, collocato nella sinistra
antimperialista e pro-palestinese, ha dato del suo (per la verità poco, lo 0,6%)
alla glorificazione elettorale del
“rabbino” Veltroni? Cosa ha fatto
credere ai vernacolari della retina dei comunisti, quelli della compagnia di
giro guidata dallo scaltro Vasapollo, che, allestendo alle amministrative del
2005 una lista “di movimento” a favore del più insidioso nemico di classe della
nostra scena politica, potessero continuare a esibirsi come cantuccio romano
dello schieramento antagonista nazionale? L’esperienza insegna che non si
procede tanto bene tenendo il piede in due staffe. Prima o poi ci si fa
male.

 

 Occhio, sennò arriva
Berlusconi!

Una riflessione s’impone: le più grandi vittorie dei
subalterni storici le si sono conseguite quando s’aveva di fronte un governo di
destra (chiamatelo pure “di centro”, che è la definizione chic della destra).
Pensate alla quasi insurrezione nazionale – regolarmente tradita – dopo
l’attentato a Togliatti, ultima chance di portare a compimento la lotta di
liberazione. Pensate alla rivolta delle “magliette a righe” quando Tambroni
volle fare una mussolinata; al grandioso arco eversivo dal ’68 al ’77 che ha guadagnato a classe
operaia e società tutta le migliori promozioni sul campo della storia. E invece
le peggiori sconfitte – dalla scala mobile rubata, alle scuole sfasciate, alle
libertà coartate, all’impoverimento generale, alle guerre inflitte – le si sono
subite quando al potere stava, nelle sue varie edizioni, il centrosinistra, cioè
quando la sinistra, nenniana, berlingueriana, craxista, occhettiana, dalemiana
che fosse, si offriva da castigamatti al padronato interno e internazionale. E’ sotto Berlusconi che si
sono messi in piazza tre milioni contro la guerra all’Iraq – e se a capo non ci
fosse stato un ciarlatano, quei tre milioni avrebbero avuto vita più lunga – e
mezzo milione a Genova ha affrontato Bush e i suoi sanguinolenti ascari locali.
Dal che si dovrebbe dedurre che la fine del mondo sono i compromessi storici
perché sono disarmi unilaterali, perché, come diceva Gramsci, peggio di un
governo di destra c’è solo un governo di sinistra che fa la politica della
destra. E sotto i centrosinistri di Prodalema e Prodinotti che si sono promossi
al valore un capo della polizia, responsabile istituzionale e sul terreno della
“macelleria cilena” di Genova (il termine è di un suo sottoposto), e tutti i
suoi centurioni sul campo. E che si è fatto nuovo capo della polizia uno che,
nel raccapriccio della Procura di Palermo, ha esaltato il noto picciotto,Totò
Cuffaro, per grazia di Casini re di Sicilia, come “massimo collaboratore nella
lotta alla mafia”. Del resto, l’uomo è coerente: ha subito dichiarato che, con
un Sud dove non si percepiscono eccessive minacce alla sicurezza (sic!), è della
sicurezza al Nord, minacciata dagli immigrati, che bisogna fare una priorità. La
Moratti, podestà di Milano, ha trovato il suo partner di tango
argentino…

Il boia di Londra, mediatore
portatore di patiboli

Quella di Tony Blair è la faccia di un tappo di
bottiglia tirolese. Sotto due occhi da iguana si apre un sorriso da coccodrillo,
talmente fisso da far sospettare la perenne attesa di una gazzella da sventrare.
Questo parvenu tirato su a sangue operaio, ha poi allargato la sua voracità al
sangue ed ai nervi di interi popoli. Vocato al vampiraggio di complemento, dato
il decadimento del suo castello ex-imperiale, ha agevolato con vera libidine di
servilismo lo stragismo del bamboccio teleguidato dalla criminalità organizzata
statunitense. Accreditatosi presso qualche milione di utili idioti con
l’avvertimento che Saddam Hussein avrebbe potuto incenerirci tutti in 45 minuti,
ha aiutato a stringere il nodo scorsoio atlantico-sionista intorno al collo di
mezza umanità, compresa la propria classe lavoratrice. Ha anche contribuito alla
costruzione di quella forca caudina chiamata “scontro di civiltà”, sotto la
quale si vorrebbero si vorrebbero far passare quei quattro quinti dell’umanità
che hanno l‘impertinenza di non essere bianchi, cristiani, ricchi o, comunque,
di abitare dove sono importuni: sulle risorse che fanno gli orgasmi dell’élite.
E quello che questa spalla di Bush riusciva a fare in Iraq, o Afghanistan,
perché mai non avrebbe dovuto praticarlo anche nella metropolitana e per le vie
a di casa, così zeppe di plebaglia superflua e, a volte, anche irriverente? Non sia mai che il maggiordomo non sappia ripetere in
sedicesimo il capolavoro che il signore ha realizzato l’11
settembre!

Lombrosianamente a Sharm el
Sheik

Altre tre facce di irrimediabile segno lombrosiano (nel
senso indicato sopra) sono quelle che ci hanno provocato la solita nausea a
Sharm el Sheik, località che il tiranno egiziano suole prestare al compare
israeliano, o a fiduciari dinamitardi beduini, quando occorra tagliare qualche
altro membro al corpo mutilato del popolo palestinese. Lì, giorni fa, il sovrano
giordano Abdallah, il faraone egizio Mubarak e il capo dei contras palestinesi,
Abu Mazen, si sono incontrati, abbracciati e baciati nel nome della loro
ribadita unità, trina e armoniosamente al servizio di USraele. Mubarak, lo
spappolamento fisionomico da corruzione psicofisica a 360 gradi; Abdallah, una
specie di ratto in cravatta, di quella specie che mogli da gossip e ufficiali
pagatori d’oltreoceano elevano al rango di comparsa di corte; Abu Mazen, sotto
lo sguardo del suo sodomizzatore Olmert, con un sorriso da paresi per la
consapevolezza di averlo fatto mettere in quel posto anche al suo popolo, ora
anche vietandone ogni resistenza agli assassini e invocando, d’accordo con i
padrini, una forza di mercenari internazionali che, come in Libano, riesca a
Gaza là dove i suoi sbirri hanno fallito. Sorridente banda di gangster
abbracciati, in lieta navigazione su mari di sangue: erano appena usciti i
documenti, scoperti da Hamas a Gaza nelle stanze della tortura dei gerarchi
Fatah, che rivelavano l’intesa Rice-Olmert-Mubarak-Abu Mazen per la liquidazione
del governo del legittimo primo ministro Haniyeh, da attuare con un bagno di
sangue sotto la guida del fidato sicario Mohammed Dahlan. Il quale,
appropriatamente, aveva anche confezionato, come suole quando il principale
prepara qualche carneficina di arabi, cellulette di Al Qaida da inserire tra i
“terroristi” di Hamas (lo hanno rivelato le autorità egiziane sulla base di
questi documenti scoperti di Fatah). Come sappiamo, le cose andarono poi
diversamente: le forze democraticamente elette dai palestinesi prevennero il
golpe e nel giro di tre giorni cacciarono i contras dal territorio e Dahlan dal
suo palazzo di marmi di Carrara, tempestato di opere d’arte e casseforti,
collocato nella miseria di Gaza come un rolex sul moncherino di un
lebbroso.

 

 Narcotrafficanti,
ma nostri
narcotrafficanti

A quei tre, come sequenza horror, andrebbe aggiunta
un’altra, di pochi giorni appresso, a Ginevra, dove si è riunita quella bella
accolita, per la quale tanto spasima il sinistrocratico Mussi , la quale,
nonostante che ospiti un trucidatori di elevatissima professionalità come Simon
Peres, insiste a chiamarsi Internazionale Socialista. Come chiamare aquila un
papataccio. C’erano, graditi ospiti e soci onorati, i due narcotrafficanti a
cui, fin dagli anni ’70, Israele, l’Iran e gli Usa hanno dato in appalto lo
squartamento dell’Iraq: Talabani, presidente della macelleria nazionale e Barzani, presidente del Curdistan iracheno elevato a
colonia di Israele. Personaggi che a furia di vendersi a qualunque sterminatore
di passaggio, da Khomeni ai Bush, dalla Cia al Mossad, dalla Exxon alla Total,
dai coltivatori di papaveri afgani sotto egida Nato al miglior offerente mafioso
occidentale, all’Internazionale dalemian-peresiana non avevano da offrire che le
proprie affinità elettive.

Alì, perentoriamente “il
chimico”

 Si chiamava Ali
Hassan al Majid, era un generale di Saddam, ma lo chiamavano “Alì il chimico”.
Militare ma colto, lo intervistai nel 1989, quando i mercenari curdi di Khomeini
e di Reagan, del tutto simili ai briganti dell’UCK kosovaro, avevano, per il
momento, terminato di mettere a rischio l’unità del paese e potevano dedicarsi
ai massacri dei loro fratelli del PKK in fuga dai turchi. Mi spiegò come
l’esercito stava intervenendo in difesa dei curdi perbene, appunto quelli nel mirino degli ascari Talabani e
Barzani Oggi alzi la mano chi non ha chiamato così, Alì il chimico, quell’uomo,
o non si è sciacquato le orecchie dopo averlo udito chiamare così. Un
meschinello del tutto inconsapevole del 90% di quello che dice, e che quindi fa
il conduttore del TG3, ha ripetuto il nomignolo infamante tre volte in ventidue
secondi e, nel successivo servizio, il velinaro all’uopo adibito l’ha detta
sette volte. Non si sono astenuti neppure quelli del “manifesto”, figurarsi poi
“Liberazione”. Come se alla sua morte Andreotti venisse onorato da un coccodrillo che ripetesse a
giaculatoria “Giulio il mafioso”, senza
mai citarne nome e cognome. Sarebbe come
minimo scorretto. Se sarebbe disinformazione, non so. Nel caso di Ali al Majid
sicuramente lo fu. Ma andare oltre lo stereotipo confezionato nelle centrali Usa
della demonizzazione del nemico, funzionale alle guerre quanto l’invenzione di
Osama e del terrorismo islamico, questo no, questo non compete al comunicatore
nostrano. Né a nessun altro, che almeno io abbia ascoltato o letto. E invece Ali
non era “il chimico”. Perché “chimici” erano gli iraniani. Basterebbe che questi
professionisti, coccolati dal sindacato esclusivamente per le loro prebende,
avessero l’elementare sensibilità deontologica di andare a leggere la
documentazione ufficiale, non mediatizzata. Che so, i rapporti dei servizi
segreti di tutto il mondo, dei testimoni oculari, dei giornalisti sul posto,
dell’analista capo della Cia per la guerra Iraq-Iran, Stephen Pellettiere
(New York Times, 31/1/2003).
Nella campagna del 1988, detta Anfal, delle truppe regolari irachene
contro i secessionisti curdi di Talabani e Barzani, quinta colonna Usa-Iran che
per conto dell’Occidente avrebbe dovuto completare l’opera che a Khomeini non
era riuscita, ci sarebbero stati dai 200.000 ai 400.000 morti (secondo
l’iniziatore della bufala, il noto Human
Rights Watch
, a direzione sionista). Non se ne sono trovati più di
qualche centinaio, miliziani curdi caduti nello scontro con le truppe
governative che, a loro volta, ebbero un numero analogo di caduti. Ma l’episodio
per il quale Al Majid è stato condannato a morte dal solito tribunale burletta
supervisionato dagli Usa e poi giustiziato (non impiccato, ma dagli sgherri
iraniani di Moqtada al Sadr preso a calci e decapitato lentamente), si riferiva
ai fatti di Halabja. Il villaggio curdo nel marzo ’88, durante una battaglia tra
truppe irachene e iraniane, fu investito da una nuvola di gas nervino, al
cianuro, che fece alcune decine di vittime, poi cresciute a seimila, ottomila,
diecimila (si chiama “sindrome di Sebrenica”, il villaggio bosniaco dove, a
carico dei difensori della Jugoslavia unita, si sono inventate
sei-otto-diecimila vittime dei serbi). Le fonti sopra citate, ampiamente
consultabili in internet (vedere l’inestimabile uruknet.info), confermano tutte la
versione dell’epoca, quando non si era arrivati ancora a criminalizzare l’Iraq a
scopo di aggressione: quel gas fu sparato dagli iraniani, unici a disporne (gli
iracheni avevano il più primitivo gas iprite) e fu indirizzato contro gli
avamposti del nemico. Fu un vento infausto a sviarlo verso il villaggio curdo.
Chi restituirà ad Ali Al Majid, neanche la vita ma il suo nome vero e la verità?

La “Dottoressa
Antrace”

Non è dissimile l’altro caso della propaganda,
complicemente o vilmente spappagallata da politici e mediatici di sinistra:
quello della “Dottoressa Veleno”. Si chiama Ouda Hammash, è una biologa, era uno
dei sei membri del Consiglio della Rivoluzione, massimo organo dello Stato
iracheno. Fu catturata e sbattuta nell’inferno di Camp Bucca. E’ malata di
cancro. Non se ne conosce la sorte. La intervistai pochi giorni prima dell’invasione del 2003. La conoscevo fin
dagli anni ’90, quando, avendo studiato gli effetti spaventosi dell’uranio 238,
lanciato a tonnellate sugli iracheni presenti e futuri, teneva conferenze in cui
illustrava gli agghiaccianti risultati dei suoi studi. Fu promotrice
dell’incontro tra vittime irachene e militari statunitensi colpiti dalla
cosiddetta “sindrome del Golfo” (400.000 nella spedizione di 600.000, 50.000
deceduti), rivelò l’identità degli effetti sui vivi e sui neonati, denunciò al
mondo il crimine dell’uso di un’arma proibita e che uccide nei millenni. Questa,
la sua colpa. Questo le meritò il titolo di “Dottoressa Veleno”, o “Dottoressa
Antrace”, basato sulla menzogna che Ouda avrebbe sparso quell’antrace che,
invece, si dimostrò uscito dai laboratori militari Usa e da lì spedito agli
oppositori di Bush, subito dopo l’altro crimine di Stato, le Torri
Gemelle.

Autobomba Al Qaida con conducenti
ignari

E veniamo alle bombe, autobombe, agli aerei da
abbattere, ai kamikaze. Tutta roba senza spiragli di dubbio accreditata, nelle
versioni Scotland Yard o Pentagono, dal “manifesto”, a maggiore avallo dello
“scontro di civiltà”. Al Qaida invincibile più di Alessandro Magno, onnipresente
più del padreterno, universalmente terrorizzante più della peste (che era vera)
o dell’Aids (che è fasulla), le cui operazioni, tuttavia, paradossalmente sono
condotte da degli sprovveduti che non li prenderebbe per garzoni neanche il più
sfigato mortarettaro napoletano. E sì che Al Qaida di mezzi ne dovrebbe avere
per addestrare alla perfezione brigate di fanaticoni, visto che ha saputo
spandersi, inarrestabile perfino nel concorso di ogni potenza repressiva, per
tutto il globo terracqueo e far sfracelli a un ritmo tale che ormai, se ti
mettono sotto il gatto, sei portato a intravedere alla guida Osama bin Laden. Da
Londra a Glasgow, da Algeri a Casablanca, dallo Yemen a in capo al mondo, tra
pasticcioni della porta accanto e professionisti delle caverne afgane saggiamente assortiti, l’inizio estate 2007
ha visto un arroventarsi tale della tensione terroristica da rendere il
riscaldamento globale un fresco ponentino romano. Hanno ridotto l’Iraq peggio della Cartagine di Catone, da sei anni
stanno polverizzando l’Afghanistan. Al Libano hanno messo la museruola e alla
Palestina sparano da cinquant’anni al cuore. Le società occidentali sono ridotte
come microbi sotto il vetrino di un controllo sociale che Hitler e Mussolini si
sarebbero sognati. Scudi spaziali, satelliti, servizi segreti che reclutano metà
della popolazione terrestre, ci mettono in condizione di afferrare per la coda
le lucertole tra i muretti a secco di Alberobello… Eppure Al Qaida, eppure il “terrorismo
islamico”, eppure le autobomba e i kamikaze da sei anni imperversano peggio del
virus dell’aviaria l’altr’anno. Fasullo l’uno, fasulli gli altri?

Autobombe di reclute Cia e MI5, tanto inconsapevoli
quanto squinternate (l’idea, in effetti inquietante, è di convincerci che
qualsiasi vicino può far saltare in aria il quartiere), a Londra e a Glasgow,
città natale del nuovo premier Gordon Brown. Avvertimento, o pagamento di
cambiale all’internazionale terrorista che lo ha messo in quella poltrona? Autobombe in Yemen e, prima, in Algeria,
Marocco e Sharm el Sheik, per distogliere i viaggiatori della civiltà superiore
dall’inoltrarsi tra le tenebre barbariche e letali del medioevo islamico.
Assalti agli spagnoli dell’Unifil e agli spagnoli turisti (segnali a uno
Zapatero troppo fuorilinea?). Stronzate securitarie fino al grottesco del bando
dello shampoo dalle borse dei viaggiatori, presuntamente per evitarci di saltare
per aria in volo, ma in effetti per confermarci in una paura cosmica, come gli
eserciti di robocop a ogni angolo (e nelle scuole, propone la previdente Livia
Turco: acchiapparli da piccoli!), i pedofili che incombono sui nostri bimbi
(mentre nessuno fa caso agli stupratori pubblicitari di bambini-tv) e le telecamere che registrano ogni nostro
smoccolamento e lo archiviano a futura memoria inquisitoria. Ed ecco che su Al
Qaida e terrorismo islamico, diventati in tempi recenti oggetto di sghignazzi
universali per abuso d’uso e smascheramenti ricorrenti, possono tornare ad
esercitarsi i difensori ad alto reddito mercenario di una superiore civiltà a
rischio di finire rinchiusa nel burka, se non dai “mori” divorata viva. E se non
c’è più Oriana Fallaci, ci sono Magdi Allam e Renzo Guolo, Giuliano Ferrara e
Mario Pirani, ci sono, nel “manifesto”, le Sgrene e le Forti che in Afghanistan
intervistano solo le brave persone che si augurano la permanenza degli
occupanti, “a fini di sicurezza”. C’è un’intera, affollatissima madrassa dell’integralismo
giudaico-cristiano, frequentata anche da una sinistra che sguazza compiaciuta
nella fanghiglia del suo inveterato “né-né” , ribadito dall’equivoco
collaborazionista della “spirale guerra-terrorismo”. Insomma, la situazione, al volger dell’estate
2007, era segnata da troppi buchi nella cortina a copertura della criminalità
militare occidentale da rischiare di sfuggire di mano. Anche in Italia ci voleva
un colpo d’ala, dopo la nemesi Hanefi, il dirigente afgano di Emergency catturato e carcerato dagli
sbirri del narcopresidente nostro alleato, per aver fatto liberare un
giornalista italiano dal sequestro taliban. Allo sputtanamento di quest’altro
regime di Vichy, narcotrafficante ma filoccidentale, addizionato alle quotidiane
stragi di donne e bambini da parte di
“liberatori” agevolati dai “nostri ragazzi” nelle retrovie, il geniale D’Alema,
praticissimo di queste cose fin da Belgrado, rispose con la “Conferenze di Roma
su diritto e giustizia in Afghanistan”. Bel colpo, i criminali di guerra c’erano
tutti: il caporione Nato De Hoop Scheffer, il terminator Usa, già ambasciatore
in Iraq, Khalilzad, il fantaccino Onu Ban Ki-Moon, lo stesso pusher, già omino
di Cheney in Halliburton, Karzai. Si è anche udito qualche farfuglio di Prodi e
una serie di squittii del falsetto dalemiano. Pensate, “diritto e giustizia”
come tema di coloro che stanno sfracellando il paese! Davvero un virtuoso, quello che invece sembra
solo un barbiere di Gallipoli. Nessuno, quanto il baffino, si diverte a prendere
per il culo la gente. Vantandosi, perfino, di aver speso 50mila euro per
infiliggere agli afgani un sistema giudiziario tipo Mastella o Gonzales (
ministro della tortura Usa), consistente essenzialmente nella costruzione di
Guantanamo locali, con personale addestrato dai guardiani di quel centro Usa dei
diritti umani.

Al Qaida tra i palestinesi. E dove
sennò?

Ero stato a Nahr el Bared, il campo dei 40.000 profughi
del ’48, all’inizio della guerra civile. Allora erano ancora ventimila. Il
colera da denutrizione e acqua inquinata faceva in quel campo quel che poi
avrebbero fatto le soldataglie di Beirut. Litigai con il mio compagno Tano
D’Amico, famoso fotografo, quando alcune donne palestinesi ci presentarono,
piene d’orgoglio, i loro cinque, sette, dieci figli. Era il 1975, pieno fervore
femminista contro le filiazioni multiple e Tano non gradì il mio plauso a queste
madri che, consapevolmente, generavano combattenti contro chi voleva estinguerne
la comunità. E ancora lo fanno, ultima risorsa contro infiltrati, rinnegati e
sterminatori. Se da noi numeri così significavano arcaico sfiancamento della
donna nel nome della funzione riproduttrice patriarcalmente assegnatale, quaggiù
era la sua autonoma e cosciente partecipazione alla lotta per la sopravvivenza,
lotta per la specie e per la giustizia. Questo,Tano non lo condivideva. Sono
passati oltre trent’anni da allora. Quelle madri oggi sono nonne e, quando non
uccise dalle bombe, da Nahr el Bared sono state cacciate a ferro e fuoco. Che i
400.000 palestinesi del Libano aprano gli occhi: basta infiltrare un qualche Al
Qaidino ben lobotomizzato o pagato. E pagheranno una volta per tutte
quell’insistenza a vivere. Donne sterminate o disperse da un mese di cannonate
contro qualche decina di utili idioti della provocazione antipalestinese,
prodromo a quella conclusiva contro Hezbollah e, quindi, al ripulisti coloniale
del Libano, umanitariamente sostenuto dall’Unifil. Tra stermini di palestinesi,
attentati ai politici “antisiriani”, tribunali-farsa sull’assassinio di Hariri,
sanguinosi attacchi ai “pacificatori” Unifil, continui inneschi di guerra civile
che solo la grande intelligenza di Hezbollah ha fin qui neutralizzato, la più
elementare, ma trascurata, logica del due più due dice che si sta preparando
quel piattino che dovrebbe fare del Libano il solito non-Stato e la base
d’attacco alla Siria. Ma qualcosa è andata storta. Qualcosa va sempre storta
quando impunità e tracotanza provocano eccessi di disinvoltura e scoprono
fianchi alla verità. Basta pensare alla fin patetiche fandonie sulle Torri
Gemelle, incenerite da piloti funamboli con mezzo serbatoio di kerosene e sul
Boeing 157 contro il Pentagono, largo 39 metri e che ha fatto un buco di cinque
e mezzo. Oggi il “Movimento per la verità sull11/9”, di scienziati, tecnici,
piloti, testimoni, analisti, è diventato uno Tsunami.

Appassionarsi ai tasselli, ignorare
il mosaico, vedere l’albero, mai il bosco

Un’amplissima e documentata controinformazione, del
tutto ignorata dai pigri gentiluomini dei media radical-chic, ha messo insieme i
tasselli di questa ciclopica offensiva di Al Qaida: Afghanistan, Libano, Iraq,
Palestina, Europa, Filippine, America Latina…E ha fatto quello che i bravi
giornalisti della stampa di sinistra evitano come il fuoco: ha messo i tasselli
nel contesto. Il gruppetto di quasi tutti stranieri, finanziati e armati dal
clan Hariri, famiglio di Israele e dell’Arabia Saudita, che viene spedito nei
campi palestinesi in Libano per allestire provocazioni che permettano ai
militari di sfoltirli un bel po’, quei campi di straccioni, e inaugurare il
nuovo ruolo di un esercito, del tutto inerte davanti alle aggressioni sioniste,
ma ora armato dagli Usa perché costuisca la colonna dello Stato proconsolare
contro “le milizie”. I quattro katiuscia sparati contro Israele e l’attentato
agli spagnoli dell’Unifil, perché si possa parlare di “complotto Al Qaida e
anche siriano” contro la sicurezza del paese e coinvolgere la Folgore (che ha
intenerito Bertisconi) e domani Tsahal, nella “rimessa in ordine” del
Libano. I già citati documenti scoperti nelle segrete di Fatah a Gaza e che
rivelano l’invenzione di cellule Al Qaida da parte del fantoccio
israelo-statunitense Dahlan (con dietro lo sponsor Abu Mazen). Mentre nulla ci
mette un arnese corrotto e al guinzaglio degli Usa e di Riad, come il presidente
yemenita Ali Saleh, a spedire un’autobomba nella reggia della regina di Saba per
ribadire l’immenso odio dei musulmani contro l’evoluto occidente cristiano.
Anche lui narcotrafficante, come quasi tutti i fantocci insediati dagli Usa,
visto che campa della vendita a mezza Africa dello stupefacente anfetaminico
Khat.

Colonialismo e stato di polizia in
difficoltà? Vai con il terrorismo!

Già, le autobombe, i kamikaze! Altro tassello
straripante sono gli indizi, Indizi tanto urlanti quanto muti ai nostri
informatori. Quando non hai per le mani qualche poveraccio lobotomizzato – come
quelli educati dai manuali Cia (stampati in Texas e distribuiti in Asia
dalla statunitense “Fondazione Nazionale
per la Democrazia”) nelle madrassa afgane e pakistane – che si
avvolga nel tritolo e si faccia esplodere per un Bush chiamato Allah, ci sono le
autobombe. Guidate, ma anche teleguidate. Più facile che telesbattere due aerei
contro grattacieli. Ne ho parlato io, che conto pochissimo, ma ne hanno parlato
addirittura grandi media anglosassoni, francofoni, asiatici. Con tutto questo,
l’automuseruola delle vestali di sinistra dell’11 settembre non si è allentata.
Fin dal 2004, quando gli Usa, utilizzando i neopoliziotti del governo fantoccio
e, soprattutto, le milizie scite, di obbedienza iraniana, di Moqtada e Al Hakim,
venivano riferite testimonianze che gettavano abbagliante luce sulla tecnica
stragista delle autobombe anti-civili. Decine di autisti iracheni, spesso
tassisti, si erano viste sequestrare le vetture per qualche controllo. Poi
avevano potuto riprendersele da uffici militari o di polizia, ma con
l’intimazione di recarsi a fare qualche commissione in un dato luogo, sempre
affollatissimo, mercato, moschea. Arrivati sul posto dovevano avvertire il
committente per telefono e… saltavano per aria con tutto il circondario. La
vettura era stata segretamente rimpinzata di esplosivo. Molti, ovviamente, non
hanno potuto, dai loro brandelli sparsi, denunciare nulla. Ad altri è andata
meglio: si sono fermati prima, hanno scoperto il carico, il telefonino non gli
ha funzionato, o, prima di telefonare, si erano allontanati dall’auto. Perlopiù
sono scappati in Siria o Giordania, tra quei quattro milioni di polvere umana,
cacciata da casa e dal mondo, di cui il mondo non vuole sentire
parlare.

I SAS all’opera, da Belfast a
Basra

Qualche volta i mandanti si fanno direttamente sicari. E
la storia che segue l’hanno riferita tutti, per poi prontamente dimenticarla al
fine di non doverne trarre le ovvie conclusioni quando, per esempio, si trovano
autobombe a Londra, o si vanno a infilare nell’aeroporto di Glasgow. Gennaio del
2005: a Basra un posto di blocco di polizia ferma un camioncino con due arabi in jallabiah e kefìah. I due sparano e buttano giù alcuni
poliziotti, fuggono, ma vengono fermati. Sorpresa, ma per gli iracheni mica
tanto: sono due militari britannici delle famigerate – in Yemen, India e Irlanda
 squadre della morte SAS, travestiti da arabi. Erano diretti a
una gran mercato pieno di gente. Il veicolo trabocca di esplosivo e di innesco a
distanza. I due scherani vengono chiusi in prigione. Tempo due ore, arriva una
colonna di carri britannici, sfonda il muro della prigione, ammazza alcune
guardie e si porta via i commilitoni. Spariti per sempre. E’ da operazioni così,
quando riescono e diventano di Al Qaida, che si fa passare “l’odio immenso dei
musulmani per l’Occidente”. Avrebbe dovuto bastare per far crescare sui fogli
del “manifesto” un albero del dubbio, vasto quanto l’intero giornale, ogni
giorno della sua vita. Chissà se, coltivando quell’albero, il “quotidiano
comunista” non avrebbe più da piangere miseria. Forse quella miseria deriva
anche da quegli omaggi incondizionati e inconsulti inevitabilmente offerti dai
suoi cronisti alle più surreali e sospette versioni di Washington, dall’11/9 in
poi, e di Scotland Yard (“La cellula dei medici iracheni per far saltare il
Regno Unito”, tanto per citare l’ultima ). Non si rende conto, il “manifesto”,
che gran parte dei suoi lettori è chilometri più avanti?

Kamikaze funamboli: il caso
Amman

Ma poi ci sono i kamikaze con la cintura esplosiva. E
chi ne dubita? Peccato che, a volte non sono nemmeno pupazzi psicoteleguidati.
Non ci sono proprio. 11 novembre 2005, Amman. Entrano quattro kamikaze, saltano
per aria tre alberghi. In uno un clan palestinese festeggiava il matrimonio.
Tutti morti, 56. Tosto rivendica Al Zarkawi, capo di Al Qaida in Iraq, ma
defunto e ufficialmente sepolto da due anni. Solo che: 1) non c’erano kamikaze,
perché avrebbero dovuto camminare sui soffitti come le mosche: le bombe erano
esplose dal soffitto (lo documentano foto e filmati), previa loro collocazione
passando davanti a tutti i controlli del hotel; 2) la sera prima i turisti
israeliani in quegli alberghi erano stati prelevati dai servizi giordani su
imbeccata di quelli israeliani. Lo confermano con orgoglio il quotidiano
Haaretz e un vecchio
capo-intelligence israeliano; 3) Nella saletta accanto al matrimonio erano
riuniti alcuni personaggi di straordinaria preoccupazione per Israele: tre alti
funzionari dell’intelligenze e del sistema finanziario palestinese, critici di
Abu Mazen, e tre delegati del Ministero della Difesa cinese. Disintegrati.
Traete voi le facili conclusioni. Non sono cose da indurre anche la nostra parte
almeno a quel sospetto che è lo strumento del quale loro fanno arma antisociale
e con cui filtrano e decimano la popolazione avversa. Sospetto come matrice di
una paura generale che ci taglia le palle, stordisce le ovaie e esaspera fino
alla depressione solipsista l’individualismo dei votati a
perdere?

Il burattinaio e i suoi duelli tra
Pulcinella e il diavolo

Tessere per un mosaico che traccia l’immagine
dell’apocalisse. Potete scommetterci che non appena da Cuba, dal Venezuela, dal
Sudamerica in marcia antimperialista e anche rivoluzionaria, arriva qualche
notizia che susciti approvazione, invidia, magari imitazione (le socializzazioni
di Chavez, le vittorie di Cuba, l’avanzata di Bolivia o Ecuador), vi verrà
rovesciato uno tsunami di rigurgiti di malelingue prezzolate sulle nefandezze di
Castro, la prepotenze di Chavez, l’incoscienza di Morales. A volte il capo
trombettiere è il giornaletto del presidente della Camera. E ‘un ping-pong. Tu
batti un colpo? E io ne batto dieci. Tu mi rifili un sinistro (!)? e io ti
abbatto sotto una gragnola di diretti sotto la cintura. Così per le guerre
stellari tra Occidente e mondo islamico. Il sincronismo è perfetto. MI rifili
Abu Ghraib? E io ti sparo qualche video di tagliateste di Al Qaida.Tanto è tutto
armamentario mio.

In Libano gli israeliani fanno tabula rasa violando ogni
articolo della convenzione di Ginevra, oltre alla nostra soglia della nausea?
Prontissimo, il 10 agosto 2006, Blair assorda il mondo con la storia dei dieci
aerei passeggeri in partenza da Londra per gli Usa e dei kamikaze, dotati di
liquidi esplosivi che, per renderli attivi avrebbero dovuto bruciare sei ore e
impestare di fumo il gabinetto della cabina. Dopo una settimana, passato lo
scandalo Libano, non se parla più. Mai più. Però si continuano a bandire gli
shampoo dal bagaglio. Sennò che paura sarebbe? Quanto all’offensiva terroristica
della guerra globale nel giugno-luglio del 2007, embè di motivi per correre alla
riconquista dell’opinione pubblica a forza di botti di Al Qaida tra Gran
Bretagna, Libano e Yemen se ne erano assommati diversi. In Afghanistan, oltre a
prenderle da tutto un popolo insorto, la nostra coalizione non faceva passare
giorno senza estinguere la vita di un villaggio: F15, F16, bombardieri pesanti
guidati dai nostri Predator,
migliaia di bombe a grappolo, bombe spaccabunker da mezza tonnellata, missili da
crociera. 1.200 missioni la settimana. Tutte impegnate a distinguere nettamente
tra taliban e donne e bambini. E se di taliban non ce n’è, si prende il tizio
disintegrato e gli si mette accanto un AK-47. “I taliban usano i civili come
scudi umani!” Mica lavorano come i topgun, a diecimila chilometri dai loro
compatrioti. Già, stanno tra i civili, sono i combattenti di quel posto, di quel
villaggio, di quella città. La guerra di popolo lì si svolge, non dispone di
campi di battaglia nel deserto. L’orrore per le efferatezze Usa si estende,
oltrechè agli scontati “estremisti”, a un bel po’ di gente. Esclusi gli
inossidabili Magdi Allam, Giuliano Ferrara e Walter Veltroni.

In Palestina si scopre che un popolo già massacrato
decide di votare per chi lo difende con la Resistenza e allora lo si decima,
imprigiona, affama. Tanto di Gaza interessava solo l’acqua. E quella la si è
presa, lasciando ai palestinesi le falde ormai salmistrate dal mare, in pozzi
che non devono scendere sotto i 130 metri (quelli israeliani fino a 800!). Poi la striscia si chiude e vaffanculo. Del
resto lo diceva il vecchio capoccia Weizman e lo ripetevano tutti da Ben Gurion
in giù, che era per l’acqua che Israele doveva predare fino al Litani in Libano,
allo Yarmuk in Siria, alle fonti del Golan, alla riva est del Giordano. E
magari, poi, fino al Nilo e all’Eufrate. Ma ecco che un po’ di gente, neanche
tanto sprovveduta, come l’ex-presidente Jimmy Carter e l’ondivaga Amnesty, iniziano ad arricciare il naso.
Il golpe contro Hamas da parte di forchettoni venduti non fa pensare proprio a
una rettifica democratica. C’è sconcerto e le voci della verità riprendono
volume.

Più figuracce fanno, più Al Qaida
fanno

In Iraq la tragedia e i crimini contro l ‘umanità che la
determinavano assumevano proporzioni tali da far riflettere perfino un fautore
dell’armagheddon  come Brzezinski. Contemporaneamente, campagna
Usa di sicurezza dopo campagna Usa di sicurezza, surge dopo surge fallita, altri inutili 30mila marines, i cinquanta sunniti al giorno trovati
trapanati, le carneficine e gli attentati ai luoghi sacri, tipo Samarra, tutta
farina del sacco iraniano-statunitense protagonizzato da Moqtada al Sadr (che
perciò deve far finta di essere “antiamericano”), i quattro milioni di profughi
e sfollati, dannati della Terra come neanche Franz Fanon avrebbe potuto
immaginare, Bakuba, Samarra, Falluja, Adhita, Hilla assediate dagli USA e uccise
per fame, sete, peste, peggio di Gengis Khan, i furti con scasso della più
preziosa e grande ricchezza archeologica del mondo, tutto questo stava facendo
vacillare non poco la fede assoluta nel bene – noi – e nel male – quelli.
Occorreva rispondere, troncare, sopire i perplessi, accendere ovunque la
fiaccola dello scontro di civiltà. Occorreva un bel po’ di Al Qaida, da Glasgow
a Khiam in Libano, da Londra a Sanaa. Occorreva ripristinare il genoma del
capitalismo feudatario e colonialista attraverso il rilancio della catena
consequenziale: strategia del terrorismo islamico, strategia della paura,
strategia del controllo e della repressione sociale e della guerra
imperialista. 

Il terrorismo islamico compensa la perdita del nemico
sovietico, è universale, perenne, invincibile. Se non ci fosse, bisognerebbe
inventarlo. Così l’hanno inventato. La paura – in particolare quella
preziosissima dei “mori” – è da duemila anni lo strumento più riuscito per il
dominio dei pochi sui molti, dei delinquenti sui giusti, per cui diffondere a
piene mani bombe, cellule dormienti o sveglie, arresti di imam, pandemie
assassine, dati pompati sulla criminalità (purchè non mafiosa), una spruzzatina
di pornopedofili ogni tanto, e poi telesorveglianza, tecnologie della sicurezza,
ogni tre mesi l’invocazione “più poliziotti, più carabinieri” (abbiamo più guardie per persona di tutta
Europa), e tanto Magdi Allam. Quanto a Sofri, ora che sta a casa, oltrechè su
“Foglio”, “Panorama”, “Repubblica”, lo vogliamo anche sulla carta igienica…
Così è se vi pare. Basta che
grattiate appena un po’ dietro a ogni autobomba, dietro a ogni sito
fondamentalista e ci troverete un texano. O grattiamo, o siamo
fregati..

 

 

 

 

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