Sposato a Khalida Jarrar: legati ma separati dalla causa palestinese

335963CRamallah-Ma’an. “È la mia vita, è la mia anima”, afferma Ghassan Jarrar. “Il tempo si è fermato da quando è stata arrestata, e anche la vita”.

Il cinquantacinquenne si ferma, con gli occhi lucidi, e sorride: “Sa, abbiamo un animale domestico, un gatto. Non può immaginare quanto gli manchi”.

Dei poster che mostrano sua moglie, Khalida Jarra, sono stati appesi un po’ ovunque nell’appartamento di Ramallah, dove è stata arrestata più di due mesi fa ormai.

Un membro eletto del parlamento palestinese – il Consiglio legislativo palestinese- Khalida è anche a capo del comitato dei detenuti del PLC ed è la rappresentante palestinese al Consiglio d’Europa.

Gli viene chiesto perché gli israeliani l’abbiano arrestata, lui sorride dicendo “Perché è Khalida.”

“Non vogliono che le persone dicano la verità o parlino liberamente”, afferma, “sono ancora convinto che lei sia una prigioniera della libertà di espressione. Non vogliono che persone del genere siano libere, con il loro popolo.”

Si pensa che la sua posizione nel comitato palestinese per la supervisione della Corte Criminale internazionale abbia contribuito al suo arresto.

Inizialmente condannata a sei mesi di reclusione in detenzione amministrativa, la pressione internazionale ha poi spinto le autorità israeliane a portare 12 capi d’accusa contro di lei, concentrandosi sulla sua appartenenza al PLC e al Fronte popolare per la liberazione della Palestina.

Malgrado un giudice abbia disposto per il suo rilascio dietro cauzione il 21 di maggio, affermando che non vi era alcuna prova del fatto che lei potesse costituire una minaccia alla sicurezza, una settimana dopo, un altro giudice ha accolto il ricordo del pubblico ministero e ha ordinato che la donna sarebbe dovuta rimanere dietro le sbarre fino al 22 di giugno.

In caso di condanna, il leader politico, attivista per i diritti e femminista rischierebbe di passare almeno due anni in carcere. Sono state espresse delle preoccupazioni sul suo stato di salute, che richiede costante trattamento e supervisione.

Il suo caso ha generato varie proteste sia in Palestina che in Israele, con i gruppi per i diritti palestinesi e israeliani che chiedono il suo rilascio.

Il gruppo per i diritti dei palestinesi Addameer ha descritto il suo arresto come “vendicativo, arbitrario e politico, con l’obiettivo di punirla per le sue opinioni politiche e il suo attivismo per i diritti umani dei Palestinesi.” Human Rights Watch dichiara che “il suo caso è pieno di violazioni del giusto processo.”

Ma è su questa strada tranquilla di Ramallah, a breve distanza da ex quartier generale di Yasser Arafat, la Muqata, che la sua perdita è stata maggiormente sentita.

Le due figlie di Ghassan e Khalida, Yafa e Suha, stanno completando i dottorati in Canada e nel Regno Unito, e negli ultimi due mesi Ghassan ha vissuto da solo.

Un uomo cordiale e accogliente, che gestisce una piccola fabbrica di giocattoli a Nablus, Ghassan sorride mentre parla di sua moglie.

 

“La rispetto”

Ho incontrato Khalida circa 35 anni fa all’università di Birzeit, dove studiava diritti umani e democrazia.

Ha inciso la data in un pezzo di marmo mentre era in prigione in Israele. Tenendo la pietra alla luce, legge la frase incisa in calligrafia araba, “Ogni anno, tu sei il mio amore”, con la data del 25 ottobre 1980.

I due si sono fidanzati alla vigilia della loro laurea e si sono poi sposati un anno dopo, quando Khalida ha completato il suo master, nel luglio del 1985.

Ghassan afferma che non si è mai preoccupato di come il suo attivismo politico avrebbe potuto influenzare la loro vita insieme. In parte questo è dovuto alla sua convinzione che “ogni famiglia, ogni casa” è ugualmente influenzata dall’occupazione israeliana.

Ma più di questo, non lo ha mai visto come una ragione per mettere in discussione ciò che ha fatto Khalida. Lui ha rinunciato al suo attivismo politico “per le mie ragioni, per la responsabilità che avevo nei confronti della mia famiglia, delle mie figlie.”

“Ma non interferisco con la sua vita, la rispetto.”

Le loro vite, comunque, non sono sempre state facili. Ghassan è stato arrestato 14 volte, trascorrendo 11 anni della sua vita nelle carceri israeliane – ogni volta sotto detenzione amministrativa, senza né processo né accusa.

Nel frattempo, a Khalida fin dal 1998 è stato fatto divieto di recarsi all’estero, fatta eccezione per una sola occasione, nel 2010, quando le fu permesso di andare in Giordania per delle cure mediche.

Ad agosto dello scorso anno, le truppe israeliane hanno fatto irruzione in casa sua, nel cuore della notte, con un ordine militare che le imponeva di lasciare Ramalla alla volta di Gerico per un periodo di sei mesi.

Hanno scelto Gerico, dice Ghassan, “perché è isolato, e vogliono isolare lei … Lì non ha una casa, non ha ufficio. Non conosce nessuno. ”

Khalida si è rifiutata. “Ha detto all’ufficiale, quando sono venuti qui, “Tu non hai il diritto di darmi questo ordine, quindi non ho intenzione di obbedire”, dice Ghassan. Ha poi iniziato una campagna di protesta e in seguito ad una ondata di sostegno, Israele ha ceduto.

La questione avrebbe dovuto essere finita, dice Ghassan, ma “l’hanno conservata nella loro mente per punirla in seguito.”

 

 Più forte di loro

Ghassan dice che all’una del 2 aprile i soldati israeliani sono venuti a portarla via. Khalida stava lavorando e lo aveva svegliato per dirgli che c’erano dei soldati giù in strada.

I soldati avevano fracassato la porta al piano di sotto, erano corsi su per le scale, e fatto irruzione nell’appartamento. Un ufficiale dei servizi segreti si era fatto avanti presentandosi come il capitano Yahya.

Ha chiesto ai soldati di prendere Ghassan e portarlo in una delle camere da letto, mentre lui si sedeva in soggiorno con Khalida.

Ghassan ha potuto ascoltare solo parte della loro conversazione, quando l’ufficiale ha detto a sua moglie: “L’ultima volta che siamo venuti qui, ti ho detto di lasciare il paese,  ed hai rifiutato, vedrai cosa succede alle persone che rifiutano di obbedire ad un nostro ordine.”

Solo dopo le 2.30 è stato detto a Ghassan che avrebbero portato Khalida con loro. Ha provato a chiedere perché ma non hanno risposto.

La stavano conducendo via quando Ghassan ha cercato di avere un contatto con lei. In un primo momento i militari hanno rifiutato, ma il capitano Yahya si è voltato ed ha ordinato che lo permettessero.

“Così sono andato, l’ho abbracciata, l’ho baciata e le ho detto, “Khalida, ricordati, sei più forte di tutti loro”, lei era nel giusto al contrario loro.

Gli occhi di Ghassan si riempiono di lacrime come ricorda la scena. “Mi ha detto, “non ti preoccupare, sii forte.” E abbassando il viso, inizia a singhiozzare silenziosamente.

 

Una detenzione politica

Da quella notte, Ghassan ha visto solo la moglie in tribunale, dove le sue gambe erano incatenate al pavimento. Quando ha cercato di toccarla, le guardie hanno minacciato di portarlo via, dicendo che non gli avrebbe permesso di tornare se ci avesse riprovato.

Ghassan dice che le sessioni di corte si sono svolte “come uno scherzo.” Ad un certo punto, il pubblico ministero ha detto al giudice che se aveva intenzione di rilasciare Khalida, avrebbe dovuto dargli la possibilità di riportarla in detenzione amministrativa.

Gran parte dell’accusa del pubblico ministero si è basata su prove “segrete” che gli avvocati di Khalida non potevano vedere  -le stesse prove che il primo giudice, Chaim Baliti, ha dichiarato insufficienti per l’arresto.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha descritto le prove come “una kafkiana perversione della legge militare”, mentre il giornalista Gideon Levy ha scritto che l’incriminazione che contiene 12 accuse “è uno dei documenti legali  più ridicoli scritti qui, persino dal sistema giuridico militare.”

Oltre all’appartenenza ad un’organizzazione illegale, le accuse includono il fatto che Khalida ha concesso interviste, tenuto discorsi e conferenze, ha partecipato a marce, e ad una fiera del libro politicizzata, ha chiesto il rilascio dei prigionieri palestinesi e si è opposta all’occupazione israeliana.

È anche accusata di aver invitato i palestinesi a rapire dei soldati israeliani per scambi di prigionieri, sebbene Levy ha scritto che la questione  è “dubbia anche secondo l’accusa.”

Khalida è uno dei 12 membri del PLC attualmente dietro le sbarre, molti dei quali sono tenuti in detenzione amministrativa. La maggior parte delle organizzazioni politiche palestinesi sono considerate illegali da parte di Israele, comprese quelle che compongono l’OLP.

Ghassan dice che è impossibile prevedere l’esito del processo.

“Nel caso di Khalida, non ci si può aspettare nulla, perché non è usuale,” dichiara. Ma, seduto nel suo appartamento, sembra preoccupato.

“È una detenzione politica. Non ha nulla a che fare con questioni giudiziarie o di sicurezza. La vogliono dietro le sbarre. Come? Non importa”.

Traduzione di Domenica Zavaglia