Spunti politici dalla missione a Istanbul-coalizione per al-Quds

Missione a Istanbul, organizzata da API, Associazione Palestinesi d’Italia, per la Conferenza
internazionale della Coalizione per Al Quds.

Spunti politici e accenni organizzativi. 31 ottobre, 1, 2 e 3 novembre 2019.
La Missione organizzata da Api ci ha consentito di attivare nuove conoscenze e relazioni, politiche
e personali, rilevanti e di pregio.
Ci siamo confrontati e scambiati opinioni politiche e strategiche sulla situazione in West Bank e
Gaza.
La Conferenza ha visto la partecipazione di delegazioni da 50 Paesi, con interventi di ampio
interesse.
Alcune brevi considerazioni sulla Conferenza internazionale per la Palestina e Al Quds.
Per vocazione dei gruppi organizzatori, la Conferenza ha il merito di mobilitare la coscienza
religiosa mussulmana in merito al terzo luogo sacro dell’Islam, il “Duomo della Roccia” e la
spianata delle moschee di Gerusalemme, con relativi riferimenti alla situazione palestinese,
all’occupazione militare israeliana e all’implementazione del movimento internazionale a difesa dei
luoghi e della vocazione storica arabo-palestinese e multi confessionale di Gerusalemme.
Si tratta di una missione naturale, ma anche di una puntuale, efficace ed intelligente strategia, per
alzare il livello di attenzione verso Gerusalemme e la Palestina occupata. Se il mondo arabo e il
mondo in generale, nel loro complesso sono sostanzialmente disinteressati (salvo pregevoli
eccezioni), alla questione palestinese, i mussulmani del mondo non possono ignorare l’importanza
di Al Quds e le concrete minacce da parte di movimenti estremisti ebraici, con ampie complicità dei
governi israeliani e dell’alleato americano, rivolte al terzo luogo sacro dell’Islam.
Movimenti estremisti che raccolgono sempre più ampi consensi in Israele teorizzano la distruzione
delle moschee della “spianata” al fine di ricostruire il tempio ebraico, distrutto circa 2000 anni or
sono dai romani.
Le politiche della municipalità di Gerusalemme e dei governi di ultra destra, religiosa e dei coloni,
vanno nella direzione auspicata dagli estremisti ortodossi ebrei di radere al suolo le moschee. Un
tunnel è stato scavato sotto la spianata, con formali intenti archeologici e logistici, ma con la
conseguenza reale di rendere più instabile strutturalmente la spianata; gruppi sempre più numerosi
di ortodossi estremisti vengono accettati, accompagnati e protetti dall’esercito israeliano nelle loro
strumentali e provocatorie passeggiate e preghiere sulla spianata delle moschee. Fino a qualche
anno fa agli estremisti religiosi ebrei veniva impedito dall’esercito di accedere alla spianata, proprio
per evitare tensioni e provocazioni. Ricordiamo che la “seconda Intifada” fu scatenata proprio da
una provocatoria passeggiata sulla spianata da parte del leader della destra israeliana del Likud,
Ariel Sharon.
L’incontro con Khaled Meshal e il suo discorso all’Assemblea denota una impostazione del tutto
politica e Hamas nella Striscia e in Cisgiordania raccoglie molti consensi popolari, elettivi ed
amministra, oltre alla Striscia, diverse Municipalità in West Bank. La chiusura dell’Occidente a
riccio e l’accusa ad Hamas di essere un’organizzazione terroristica non reggono più e sono retorica
pura islamofobica. Hamas rappresenta una parte consistente del popolo palestinese e con essa
occorre dialogare e aprire strade di confronto, peraltro già percorse dalla Svizzera e dalla Norvegia
(oltre che da moltissimi Paesi arabi e mussulmani), che non l’hanno inserita nella lista delle
organizzazioni terroristiche. Anche con l’ex inviato del “quartetto” in Palestina, Tony Blair, il
dialogo è costante. L’Italia non può essere assente da un tentativo di dialogo e di cooperazione con
una consistente parte della rappresentanza palestinese, per tabù e chiusure imposte dagli Stati Uniti
(gli stessi che, per ammissione dell’ex segretaria di Stato, Hilary Clinton, hanno a lungo finanziato
le milizie estremiste di ISIS).
Cosa fare.
L’unità palestinese è indispensabile per contare sui tavoli internazionali e per affrontare, almeno
diplomaticamente, la preponderanza e la prepotenza militare, propagandistica, economica e

diplomatica di Israele. Per agevolare il percorso unitario della rappresentanza palestinese, più volte
intrapreso e più volte fallito, l’Italia e l’Europa devono riconoscere Hamas come interlocutore e
mettere al bando le ipocrisie imposte da Stati Uniti e Israele. In questa direzione, dobbiamo
ricominciare a parlare e a scrivere (con testate, colleghi, istituzioni, rappresentanti politici e
istituzionali, opinion maker) in maniera chiara e senza timidezze.
Strategie.
Coinvolgere, nella difesa di Gerusalemme araba e internazionale, multi confessionale, altre
rappresentanze politiche e religiose. La Chiesa cattolica, i cristiani e il Vaticano sono, da sempre,
vicini alla causa palestinese, ma con troppa timidezza. Oggi che le minacce a Gerusalemme, al
dialogo interreligioso e alla autonoma gestione e tutela dei luoghi sacri della “città santa”, sono
messi in evidente pericolo, è necessario che anche cattolici, cristiani e Vaticano alzino la voce. Di
conseguenza, è auspicabile che lo facciano anche gli esponenti politici che si proclamano vicini al
cristianesimo. Così come dovremmo essere in grado di coinvolgere e ad esprimersi, esponenti
mussulmani del mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo.
Quando il Santo Sepolcro fu occupato da Saladino, il cristianesimo organizzò 200 anni di crociate
per liberare Gerusalemme. Oggi il Santo sepolcro e Gerusalemme sono occupate militarmente dagli
israeliani e il mondo cristiano e occidentale non profferisce parola. Al di là della gestione interna
del Santo Sepolcro, affidata alle diverse confessioni cristiane, la governance dei luoghi e di
Gerusalemme resta in mano alle autorità civili e militari occupanti israeliane. Oggi sotto attacco si
trova la spianata delle moschee, domani potrebbe toccare, o ritoccare, ad altri luoghi sacri cristiani,
come il Santo Sepolcro.
I diritti umani.
La leva religiosa serve a mobilitare ed a unire tutti i fedeli nel mondo nella comune causa,
coinvolgendo anche chi non si è mai interessata/o della causa palestinese.
La leva sulla violazione dei diritti umani, invece, dovrebbe essere la bandiera da sventolare in ogni
manifestazione pubblica per Gerusalemme e la Palestina. La gente comune non sa neanche di cosa
parliamo, di conseguenza, la politica, lo scontro religioso e la contrapposizione, non attecchiscono
su chi è a digiuno di informazioni o di interesse. La violazione dei diritti umani e in particolare la
violazione dei diritti dell’infanzia, crea immediata empatia, interesse, attenzione e indignazione. I
casi di violazione dei diritti dell’infanzia e dei diritti umani a Gaza e in Cisgiordania, sono continui,
plateali e scandalosi. Occorre ristabilire, nell’immaginario collettivo e nei media, la verità su chi
sono i carnefici e chi sono le vittime.
Alcune immagini rendono mille volte più di tanti discorsi e scritti. I nostri fotoreporter a Gaza e in
West Bank svolgono un lavoro indispensabile per attirare l’attenzione internazionale sul dramma
palestinese. Dobbiamo metterli in rete, chiedere la loro collaborazione e raccogliere più foto notizie
e immagini possibili, per poi divulgarle e valorizzarle nel modo migliore possibile.
Gli opinion maker italiani. La comunicazione
Sono molti i personaggi pubblici italiani progressisti e di sinistra che tuttavia non sanno quasi nulla
di Palestina, ma che dovremmo informare e coinvolgere affinchè conoscano, anche direttamente, il
dramma palestinese e possano esprimersi, pubblicamente, a favore dell’infanzia, dei diritti, della
convivenza e della difesa di Gerusalemme internazionale.
Se esistono le condizioni economiche, occorre organizzare periodiche missioni nei luoghi più afflitti
della Palestina (campi profughi, il centro di Hebron, il muro etc.), invitando giornalisti e opinion
maker italiani, aggiungendo la presenza di rappresentanti istituzionali da sempre vicini alla causa
palestinese, come Massimo D’Alema o il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, il Senatore
Gianluca Ferrara dei 5 Stelle. Utile, al fine di contrastare il clichè dell’accusa di “antisemitismo”,
rivolta a chiunque si schieri con la causa palestinese, coinvolgere anche superstiti ebrei dei campi di
sterminio nazisti ed esponenti ebrei contrari all’occupazione. Penso al compagno e amico Giorgio

Forti, ebreo ed ex partigiano, di Ebrei Contro l’Occupazione, e a tanti altri. Ritengo occorra anche
coinvolgere diversi linguaggi della comunicazione, tra cui l’arte, lo spettacolo, la musica, la street
art, l’editoria etc.

Laici e religiosi
Sono evidenti le tensioni, in Palestina e nella diaspora, tra laici e religiosi palestinesi. Gli italiani e
gli europei devono dialogare apertamente e senza alcun pregiudizio con gli uni e gli altri, senza far
leva, parteggiare o agevolare le devastanti divisioni nel mondo palestinese. Sia l’approccio laico, sia
quello religioso, se coordinati, servono e sono utili a creare maggior attenzione e a raccogliere
consensi verso la causa palestinese. La rete dei Centri culturali, delle associazioni e delle moschee
in Italia può avere un ruolo ancor maggiore nella divulgazione della causa palestinese, della difesa
di Al Quds e della raccolta fondi per attività caritatevoli e di volontariato a Gaza e in West Bank. E’
necessario ampliare la platea mondiale in difesa di Gerusalemme multi confessionale e araba. In
questa battaglia devono essere coinvolte tutte le fedi monoteiste (ovviamente, anche alcune
organizzazioni di rabbini per la pace-Rabbi for Peace, i rabbini anti sionisti che manifestano con le
bandiere palestinesi, i rabbini progressisti e di sinistra).

I media. Social, Ufficio stampa e la Radio araba (e islamica).
La presenza della causa palestinese sui social media è irrisoria, rispetto, ad esempio, alle pagine di
“cultura ebraica”, promosse dalle Comunità e, tutte, fiancheggiatrici delle politiche aggressive di
Israele. Dobbiamo aprire alcune pagine e account Instagram pro Palestina (una marcatamente
islamica, una che punti sui diritti umani, una sull’infanzia in Palestina, una più politica). Per attivare
tali strumenti dovremmo contare su giovani italiane/i e palestinesi di seconda generazione che
hanno maggior dimestichezza con i social media. Sui social media sono presenti milioni di persone
ed è indispensabile che la questione palestinese sia rappresentata in maniera corretta, coinvolgendo
le lettrici e i lettori ed evitando approcci estremistici (tipici di alcuni gruppi di sostegno italiani), che
non fanno assolutamente il bene della causa palestinese, ma che, al contrario, avallano e avvalorano,
la distorsione della propaganda israeliana per cui i palestinesi sarebbero gli aggressori e loro le
vittime. Mi riferisco, ad esempio, al gruppetto che a Milano, ogni 25 aprile, in piazza San Babila,
contesta sguaiatamente la “Brigata ebraica”, attirando alla stessa molte più simpatie e solidarietà di
quante ne meriti realmente. La Comunità, le Associazioni pro Palestina, dovrebbero dotarsi di un
Ufficio stampa, che attivi i contatti con i giornalisti e che in occasioni importanti (25 aprile, 29
novembre, la Nakba, iniziative e manifestazioni contro l’aggressione israeliana etc.), dirami
comunicati stampa, sintetici, immediati ed efficaci. A questo possiamo lavorare con alcuni colleghi
giornalisti.

La Radio araba e islamica.
Sono stato contattato e ho fatto alcuni incontri con tecnici esperti di trasmissioni e frequenze
radiofoniche. In Italia, a differenza di Francia, Spagna, Germania, Danimarca e altri Paesi europei,
non esiste una radio araba sulle frequenze FM ( https://www.radio.it/language/arabic ).
Entro 4 anni circa, come già avvenuto per la TV digitale, anche le radio passeranno al sistema
digitale DAB (Digital Audio Broadcasting). Nel frattempo la parte del leone continua ad essere
svolta dalle radio con frequenze analogiche. L’assegnazione o l’acquisizione di una frequenza è
opera delicata ed economicamente impegnativa. Tra 4 o 5 anni chi sarà in possesso di una frequenza
FM passerà, automaticamente, sulla piattaforma digitale. Lo sviluppo delle tecnologie, legate alle
trasmissioni e alla telefonia, come il 5G, rivoluzioneranno ulteriormente il mondo della radiofonia.
Occorre dedicare a questo tema un capitolo a sé stante, in quanto questione molto complessa, dal
punto di vista tecnico, strategico ed economico. Svolgo qui sinteticamente solo un paio di ipotesi.
Una delle persone che ho conosciuto al ritorno dalla nostra missione, è un esperto di frequenze e ha
sempre lavorato nel mondo della costruzione di apparecchiature di trasmissioni radio, oltre ad
essere stato nel board direttivo dell’UPA (Utenti Pubblicità Associati), l’Associazione che riunisce
le principali aziende che investono nella comunicazione commerciale. E’ a conoscenza di una nfrequenza radio libera per la quale è andata deserta l’asta (base d’asta 1.700 mila euro). Si potrebbe
contattare il curatore per capire il prezzo di acquisizione della frequenza (ex Radio Cuore, 92,600
MHZ, concessione ministeriale), che prevede anche la stazione emittente che, potenzialmente
(rafforzando il segnale con ponte radio e ripetitori nelle città), può coprire con il segnale tutta la
Lombardia e definire accordi e partnership con altre radio in tutta Italia o nelle principali città della
Penisola.
Una radio araba che parli agli arabi, ai maghrebini e ai mussulmani d’Italia sarebbe una novità di
grande interesse, anche commerciale e pubblicitario per tutti gli imprenditori e gli operatori arabi e
mussulmani presenti in Italia.
L’operazione, il tentativo, di acquisire la frequenza Radio FM e relativi allestimenti di ripetitori,
studio, redazione etc. potrebbe avere un costo di partenza sui 1.800 mila euro.
La Radio ospite su frequenze in affitto.
Esistono ampi spazi sulle frequenze delle TV digitali che possono essere affittate per trasmissioni
Radio, prevedendo anche la trasmissione via Web. In questo caso, l’operazione di start up potrebbe
costare sui 200 mila euro.
Se si ritiene che la proposta possa interessare l’Associazione o la Coalizione mondiale per Al Quds
e la Palestina, al fine di ottenere i finanziamenti necessari all’operazione, possiamo ottenere, a
breve, una dettagliata relazione economica e un budget più puntuali.
La Conferenza.
Per quanto concerne la Conferenza, posso solo complimentarmi per l’organizzazione di un evento
così ampio, articolato e partecipato. Alcuni disguidi, incongruenze e gap logistici sono fisiologici
nell’organizzazione di eventi così complessi e partecipati.
Mi sento solo di suggerire il maggior coinvolgimento e ampliamento della platea di riferimento,
prevedendo anche più esponenti istituzionali e politici europei, statunitensi e delle altre
rappresentanze religiose vicine alla causa palestinese e dell’internazionalità di Gerusalemme
(cristiane ed ebraiche).
Per le traduzioni, sarebbe utile prevedere più lingue, oltre all’arabo e all’inglese.

Milano, 5 novembre 2019

Stefano Camerini