Storie da Gaza: “Ai miei figli posso dare solo false rassicurazioni”

Gimage003aza – Pchr.  Il 1° maggio si celebrano il diritto al lavoro e la salvaguardia dei diritti umani dei lavoratori. Ma il 1° maggio 2013, mentre il resto del mondo festeggia, nella Striscia di Gaza non si può non constatare quanto stia peggiorando la situazione per i pescatori.

Jamal Isma’il Faris Baker, pescatore 48enne di Gaza City con una famiglia di 9 persone, fa questo lavoro da 35 anni ormai, ed è testimone del declino ininterrotto dell’industria della pesca a Gaza. La vita di Jamal ha avuto un rapido sbandamento alcuni giorni dopo la fine dell’operazione militare israeliana Colonna di nuvole, abbattutasi sulla Striscia di Gaza del novembre 2012.

In base all’armistizio raggiunto tra Israele e l’Autorità palestinese lo scorso novembre, il limite concesso per la pesca sarebbe dovuto passare da 3 miglia nautiche a 6. Ma nel marzo 2013 il limite è stato ridotto nuovamente a 3 miglia nautiche.

A novembre Jamal era soddisfatto per l’estensione del limite: “Eravamo felici di sapere che il limite per la pesca era stato portato a 6 miglia, pensavamo che le cose per noi sarebbero migliorate. Presi in prestito la barca del mio amico Talal per poter pescare in acque più profonde”.

Ma il mattino del 28 novembre 2012 la barca venne attaccata e distrutta da una cannoniera israeliana: “Quel giorno mio figlio Khader, 19 anni, uscì a pesca il mattino presto con altri 3 pescatori. Uscirono con un gruppo di altri 4 o 5 pescherecci. Io rimasi a riva a fare alcuni lavori, in attesa di vederli ritornare con il pesce. Poco dopo la loro partenza squillò il telefono e mio figlio mi disse che stavano per essere attaccati da una cannoniera israeliana. Rimasi scioccato. Mio figlio mi disse che si trovavano a circa 2 miglia nautiche dalla costa e che questa cannoniera aveva cominciato a sparare alla barca, danneggiandone il motore. Improvvisamente cadde la linea, e io pensai che mio figlio fosse stato ferito. Così chiamai mio nipote, che si trovava su un’altra delle imbarcazioni, ed egli mi raccontò che Khader e gli altri 3 colleghi avevano dovuto abbandonare la loro barca, distrutta nell’attacco, tuffandosi in mare. Mi disse poi che alcune barche erano andate in loro soccorso, ma che non riusciva a vedere bene cosa stesse accadendo. Io non ero preoccupato per la barca, temevo per quel che sarebbe potuto succedere a mio figlio. Poco dopo 2 pescherecci tornarono a riva, con a bordo i tre colleghi di Khader. Telefonai di nuovo a mio nipote, ero estremamente preoccupato di non avere notizie di Khader. Mio nipote mi disse che mio figlio era stato arrestato dalle Forze israeliane”.

Khader passò 4 ore sulla cannoniera israeliana, durante le quali l’ansia di Jamal cresceva sempre più: “Ero così spaventato che non riuscivo a parlare, letteralmente, non mi usciva la voce di bocca. Durante i fatti alcune persone dell’informazione ed altri mi si raccolsero attorno, chiedendomi cosa stesse accadendo, ma io non riuscivo a rispondergli. Ero troppo preoccupato per rispondere alle loro domande, volevo solo veder tornare Khader sano e salvo. Pensavo che lo avessero portato a Ashdod, come fanno di solito con i pescatori arrestati. Ma 4 o 5 ore più tardi vidi Khader avvicinarsi alla riva sulla barca danneggiata. Era stanco e spaventato, ma, fortunatamente, non era ferito”. Jamal vorrebbe sapere perché la barca è stata attaccata, ma non ha ancora ottenuto una risposta soddisfacente. “Khader e i suoi compagni stavano solo pescando, non avevano nemmeno superato le 3 miglia nautiche. Non capisco il motivo dell’attacco”.

Da quel giorno terribile, Khader e Jamal non sono riusciti a tornare a pesca. “Quando Khader tornò controllammo la barca. Era completamente distrutta e inutilizzabile. Per fortuna Talal non mi fece pressioni per il pagamento della barca distrutta; egli si preoccupò semplicemente della salute di mio figlio e degli altri. Ma, con la barca, abbiamo perso tutta la mia attrezzatura da pesca, comprese le canne da pesca del valore di circa 10 mila dinari giordani (all’incirca 14 mila dollari Usa). Il combustibile poi l’avevo preso a credito, e sono altri 4000 shekel circa (1200 dollari Usa). Dopo l’attacco i creditori mi chiesero di essere pagati, ma io non possedevo assolutamente nulla. Guadagnavo a stento 10-15 shekel al giorno prima dell’attacco, e da allora non ho più guadagnato un centesimo. Come posso pagare i debiti? I miei creditori hanno presentato una denuncia alle autorità di Gaza, la quale denuncia non mi consente più di andare a pesca. Cosa posso fare ora? Dovrei chiedere l’elemosina e rubare per mantenere la mia famiglia”?

In seguito all’incidente Jamal ha dovuto chiedere denaro a suo fratello, per poter sostenere la sua famiglia: “Mio fratello mi ha dato 6000 shekel, ma non bastano per mantenere 10 persone per 6 mesi. Io e Khader non possiamo più pescare, e quella è l’unica cosa che sappiamo fare, così non possiamo lavorare da nessun’altra parte. Nessuno dei miei altri figli lavora, 4 di loro vanno ancora a scuola. Oltre a ciò ho fatto dei debiti al mercato. Ad oggi ho accumulato debiti per 10 mila shekel e non ho idea di come poterli saldare”.

Jamal spiega la situazione disastrosa in cui si trova la sua famiglia: “Mio figlio Khader ha 19 anni, i suoi amici indossano bei vestiti e mangiano bene in bei posti. Quando fa un confronto è molto triste, ma non mi chiede denaro perché sa che non posso dargli nulla. Se avessi qualcosa di valore lo avrei già venduto per poter pagare i debiti. Inoltre, il tetto di casa mia è stato danneggiato negli attacchi di novembre. Quando piove, ci entra l’acqua in casa, e non posso nemmeno ripararlo. I miei figli più piccoli mi chiedono frutta e dolci, ma tutto ciò che poso dare sono solo false rassicurazioni”.

Jamal sente con frustrazione l’abbandono da parte delle autorità di Gaza: “Non mi aiutano. Da loro non ottengo nessun aiuto, né cibo o denaro. Non mi permettono nemmeno di lavorare per poter ripagare i debiti. Molti pescatori ricevono degli aiuti, ma li ottieni solo se conosci qualcuno che ha del potere”.

Gli attacchi israeliani ai pescatori della Striscia di Gaza, che non rappresentano alcuna minaccia per le Forze della marina israeliana, rappresentano una palese violazione del diritto umanitario e dei diritti umani internazionale. L’area preclusa alla pesca, mantenuta con attacchi e arresti arbitrari, rappresenta una misura di punizione collettiva, proibita dall’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra. Il diritto al lavoro, oltre che in condizioni giuste e  favorevoli, è garantito dall’articolo 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani, oltre che dagli articoli 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Icescr). Inoltre, l’articolo 11 dell’Icescr riconosce “il diritto di ciascuno a uno standard di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, oltre che ad adeguati alimentazione, vestiti e alloggio, e al continuo miglioramento delle condizioni di vita”.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice