Gaza – Pchr. Verso le 20.30 del 14 gennaio 2009, durante l’Operazione piombo fuso, le forze israeliane sferrarono un attacco da un drone sull’abitazione della famiglia di Ezz Eddin Wahid Mousa, nella città di Gaza. In quel momento i membri della famiglia avevano appena finito di cenare nel cortile di casa dal tetto di latta: 6 di loro morirono e uno rimase gravemente ferito.
Il ferito era Mahmoud Ezz Eddin Wahid Mousa, 28 anni, che fu colpito da diverse schegge del missile. Ferite alla mano destra e alla gamba destra gli causarono danni al sistema nervoso di entrambi gli arti. A oltre 4 anni dall’attacco Mahmoud non è ancora completamente guarito, pur essendo stato curato presso l’ospedale di Gaza e in Egitto. Nel gennaio 2010 il Centro palestinese per i diritti umani (Pchr) indirizzò una richiesta di risarcimento per suo conto presso il Tribunale israeliano, ma il 27 febbraio 2013 il caso fu arbitrariamente respinto in base a delle misure israeliane – in particolare un emendamento del 2012 – che assolvono lo Stato di Israele da responsabilità legate a danni causati dalle forze israeliane nel corso di “azioni di combattimento”.
“Non posso credere che il mio caso sia stato respinto”, spiega Mahmoud. “L’ho saputo da mio zio molto tardi, in quel momento mi trovavo in Egitto per delle cure. Tutta la mia famiglia, i miei genitori, mio fratello e mia sorella sono stati uccisi nell’attacco: voglio sapere perché. Non ho fatto causa per ottenere dei soldi. I soldi non possono riportare in vita la mia famiglia”. Riguardo all’emendamento in base al quale il caso è stato respinto, Mahmoud dice: “Questa non è legge. Come si può fare una legge così? Durante l’attacco hanno mirato alla mia famiglia. Noi eravamo tutti civili, senza alcun legame con i militanti. Non è stata un’operazione militare, bensì un’operazione civile per uccidere la mia famiglia. Come possono non riconoscere le mie ragioni? A quanto pare la mia famiglia è morta per niente. Vorrei che il giudice israeliano mi dicesse come si comporterebbe lui al posto mio. Dovrebbe considerare il caso equamente: se a morire nell’attacco fosse stata la sua famiglia non avrebbe respinto il caso”. Con le lacrime agli occhi, Mahmoud aggiunge: “Ero sicuro che la causa sarebbe andata a buon fine, è un caso molto chiaro. Tutti noi siamo stati attaccati senza motivo, stavamo solo cenando, non ci possono ammazzare così”.
“Il motivo che sta dietro a questa legge è poter continuare a commettere crimini contro noi civili. Sanno di avere torto. La mia era una causa valida, non l’avrebbero dovuta respingere così, non è giusto. Loro sanno che siamo persone normali che non possono permettersi le parcelle dei loro tribunali. Per quanto tempo ancora il resto del mondo resterà silenzioso davanti a crimini del genere? Per quanto tempo ancora continueranno ad ammazzarci così? Cosa vogliono da noi? Siamo stati costretti a lasciare le nostre case per loro, e ora, appena proviamo a ricostruire le nostre vite, continuano a ucciderci”.
Chiedere una revisione del caso sarebbe estremamente costoso per Mahmoud: la sua situazione economica è molto precaria. Ma egli non ha perso la speranza: “Se qualcun altro si trovasse al mio posto perderebbe presto la speranza, si arrenderebbe. Ma io non ci sto. Continuerò a combattere per la mia causa, non importa per quanto tempo ancora. Non mi aspetto niente di nuovo da loro, ma spero ancora che qualcuno voglia fare giustizia. Se morirò prima della conclusione del caso, incaricherò la mia prossima generazione di continuare a insistere: non posso arrendermi davanti alla dignità della mia famiglia”.
Le cure ricevute fino ad oggi non sono sufficienti a migliorare le condizioni di salute di Mahmoud. Egli ci spiega: “In seguito all’attacco, quando venni trasportato all’ospedale di Gaza con i nervi degli arti danneggiati, mi dissero che per far diminuire il dolore avrebbero dovuto amputarmi la gamba destra. Ma io non accettai, e l’Autorità palestinese a Ramallah mi organizzò le cure in Egitto. Lì subii molti interventi e le mie condizioni migliorarono. Ora sono arrivato al punto di poter salvare la gamba, ma il problema è che nemmeno in Egitto mi possono assicurare di riuscire a farlo. Secondo i medici dovrei farmi operare in Europa, dove le attrezzature sono migliori. Il tempo passa, se non si interviene presto si dovrà amputare. Ma io i soldi non ce li ho: spero in qualche modo di farcela ad ottenere le cure che mi servono”. Mahmoud avrebbe bisogno di un trapianto di midollo osseo, per poter salvare la gamba: ma, data la carenza di supporto finanziario, questo sembra difficile.
Dopo il devastante attacco, la vita di Mahmoud è completamente cambiata, ed egli ha trovato difficoltà sia sul piano personale che su quello professionale. “Nessuno qui vuole assumere una persona con problemi a una mano e a una gamba. Ho provato a lavorare come receptionist al ministero dei Trasporti a Gaza, per 4 mesi, ma potevo essere presente solo 10 giorni al mese perché mi stavo curando. Dopo un po’ ho lasciato, era troppo difficile per me. A Gaza moltissime persone sono disoccupate, perché dovrebbero assumere me se gli altri hanno gambe e braccia che funzionano normalmente?” Mahmoud continua: “Prima ero sposato, ma dopo l’attacco mia moglie volle divorziare, non poteva vivere così. Grazie a Dio mi sono fidanzato di nuovo: vorrei mettere su famiglia e condurre una vita normale, ma per far questo avrei bisogno di soldi, e, nelle condizioni in cui mi trovo, non vedo come poter guadagnare”.
In seguito all’offensiva israeliana del 2008-2009, il Pchr ha presentato 1046 querele civili (o “risarcimenti di danni”) per conto di altrettante vittime al funzionario dei risarcimenti del Ministero israeliano della difesa. Queste richieste di danni miravano al risarcimento delle vittime di presunte violazioni del diritto internazionale commesse dalle forze israeliane. Poiché le autorità israeliane hanno ignorato tali risarcimenti di danni, tra il giugno 2010 e il gennaio 2011 il Pchr ha presentato 100 cause civili al Tribunale israeliano, con la richiesta di risarcimento per 620 vittime. Ma il Parlamento e il Tribunale israeliani, per mezzo di emendamenti e decisioni recenti, hanno imposto diversi ostacoli legali e procedurali all’ottenimento della giustizia per le vittime.
La corte ha rifiutato il caso di Mahmoud appellandosi all’emendamento n.8 del 2012 sull’illecito civile (Responsabilità dello Stato), che solleva lo Stato di Israele da qualsiasi responsabilità legata a danni causati agli abitanti di uno Stato nemico durante una “azione di combattimento” o una “operazione militare”. Questo emendamento, che si applica retroattivamente dal 2000 in poi, e nello specifico della Striscia di Gaza dal 12 settembre 2005 in poi, amplia la definizione di “azione di combattimento” a qualsiasi azione operata dalle forze israeliane in risposta a terrorismo, ostilità o insurrezioni, se essa è per sua natura un’azione di combattimento, date le circostanze generali, compreso lo scopo dell’azione, la località geografica e la minaccia intrinseca per i membri delle forze israeliane impegnati nell’azione stessa. Questo emendamento ignora la questione fondamentale riguardante la legalità di questi attacchi, così come ignora i danni causati alle vittime nel corso degli stessi, che possono potenzialmente violare le regole che governano il comportamento delle forze armate nelle operazioni militari prescritto in base al diritto umanitario internazionale. L’emendamento n.8 è contrario alle norme del diritto internazionale consuetudinario, che stabiliscono che uno Stato è responsabile di tutti gli atti commessi da chi fa parte delle sue forze armate. Inoltre, in quanto alta parte contraente della Quarta convenzione di Ginevra del 1949 riguardante la protezione dei civili in tempo di guerra, Israele non può essere sollevato da responsabilità legate a gravi mancanze e violazioni commesse contro la popolazione civile nel corso di operazioni militari. Il tribunale israeliano, poi, richiede il pagamento anticipato di una garanzia di circa 30.000 Nis (8000 US$) ad ogni ricorrente, e se il caso non arriva alla fase processuale il tribunale trattiene tale cauzione come “spese per la difesa”.
È significativo il fatto che queste decisioni penalizzano economicamente le vittime per il solo fatto di aver legittimamente richiesto di accedere alla giustizia presentando cause civili in tribunale. Il sistema giudiziario è utilizzato per fornire un’illusione di giustizia, negando in maniera sistematica, ai civili palestinesi, il loro diritto a un ricorso efficace.
Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice