Storie da Gaza: “Non mi resta che bruciarle”

clip_image004Gaza – Pchr. Il 42enne Mohammed Yassin al-Astal è un contadino di Khan Younis che ha in affitto 5 dunum (5000 metri quadrati) di terreno agricolo in un’area di complessivi 22 dunum di terreno a nord-ovest di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.

Nelle scorse settimane egli è stato obbligato a bruciare i suoi raccolti di menta e di basilico: “Abbiamo iniziato a bruciare il raccolto all’inizio del mese, quando il confine è stato ripetutamente chiuso a tutte le esportazioni: da allora abbiamo continuato a bruciare il resto del raccolto”.

“A causa della chiusura del confine sono ora costretto a bruciare 10 tonnellate di menta, 2 tonnellate per ogni dunum di piantagione. La menta era pronta per essere raccolta ed esportata, ma, durante la chiusura del valico, le piante hanno superato la fioritura. Per evitare malattie alle piante ho dovuto comunque raccogliere le foglie di menta, le ho ammucchiate per farle seccare, e le ho bruciate tutte. Se le avessi potute esportare il loro valore sarebbe ammontato a 30 mila euro. Ma non mi resta che bruciarle”.

Secondo una dichiarazione congiunta emanata dall’esercito israeliano e dal Cogat (il Coordinamento delle attività governative nei territori) il 21 marzo scorso, il primo ministro e il ministro della Difesa israeliani hanno deciso di chiudere il valico di Kerem “in risposta allo sparo di razzi” da Gaza verso Israele, avvenuto in quello stesso giorno. La dichiarazione annunciava inoltre che “tali cambiamenti rimarranno in vigore fino a quando le Forze di difesa israeliane non riceveranno ulteriori istruzioni dai ranghi militari”. Dal 21 marzo al 18 aprile il valico di Kerem Shalom è stato completamente chiuso per 16 giorni, sia per festività pubbliche israeliane – in risposta al lancio di razzi – che, in alcuni giorni, senza un motivo dichiarato.

Continua Mohammed: “Posso conservare il basilico e la menta al massimo tre giorni in frigorifero, dopo di che le foglie cominciano a scurirsi. Solo l’erba cipollina dura una settimana in frigorifero”.

La chiusura del valico non è la sola difficoltà dovuta affrontare da Mohammed in quanto agricoltore: “Avevo 7 dunum di terreno agricolo a Khan Younis, ma la qualità del raccolto iniziò a decadere a causa dell’alta salinità della falda acquifera. Nel 2006 vendetti il terreno e iniziai a lavorare terreni in affitto qui, dove la qualità dell’acqua è buona e i prodotti ottenuti sono di qualità”.

“Due anni fa ho iniziato a coltivare erba cipollina, menta e basilico, e ho ottenuto la certificazione internazionale Globalgap per l’esperienza accumulata negli anni e per la conoscenza della domanda dei mercati esteri”.

“La resa economica di questi raccolti erbacei è superiore a quella di altri prodotti, come pomodori o cetrioli. Un dunum di erbe rende più di 10 dunum di altre piantagioni. Inoltre, la coltivazione di erbe è stabile, e continua tutto l’anno dando 2 raccolti. Quest’anno speravo di veder fruttare i miei investimenti, ma la chiusura del valico ha rovinato tutto”.

“Sul mercato di Gaza riesco a vendere solo una minima parte del raccolto, e i prezzi sono molto bassi” racconta Mohammed, spiegando perché investire in trasporti e nel mercato locale sarebbe una scelta impraticabile. La decisione di coltivare per il mercato europeo è stata invece una scelta strategica. “Sul mercato europeo riesco a ottenere dalle 3 alle 5 volte l’investimento sulla menta. I mercati sono molto diversi. Ad esempio, quando provo a vendere l’erba cipollina qui a Gaza la gente si mette a ridere, mi chiedono perché dovrebbero comprare dell’erba e non la vera cipolla. L’erba cipollina la produco specificamente per il mercato europeo, qui da noi non si usa. L’80% di ciò che produco va incontro agli standard del mercato europeo, solo che ora non posso esportare. Saremmo pronti per l’esportazione, ma siamo impediti a farlo”.

In un anno Mohammed investe molto sui suoi 5 dunum di terra: “Spendo circa 2.500$ per i dipendenti, per i fertilizzanti, per le piantine e per l’acqua. Spendo poi 400 dinari giordani (430 €, ndt) per l’affitto annuale, oltre agli investimenti per le coperture in plastica, per le strutture in acciaio e per l’impianto d’irrigazione. L’affitto per il terreno ovviamente lo devo pagare anche se non esporto il raccolto”.

Mohammed ha 2 figli e 2 figlie, tra i 3 e i 12 anni di età. La perdita del raccolto sta causando difficoltà economiche alla sua famiglia.  “Mi sono indebitato e, se la situazione continua, dovrò considerare di coltivare prodotti a basso rendimento da vendere al mercato locale. Ho delle responsabilità verso la mia famiglia e i miei dipendenti”.

Mohammed si preoccupa per le conseguenze che le perdite possono avere sui suoi dipendenti: “Nel periodo del raccolto assumo per diversi giorni circa 30 lavoratori, ma se il raccolto non rende, come posso provvedere a un compenso adeguato per loro”?

Il blocco del valico costringe Mohammed a prendere una decisione difficile: “Investo molto denaro in queste terre, constatando che alla fine va tutto perduto. Ora pensiamo solo alla sopravvivenza. Ma la vita non è solo sopravvivenza, voglio migliorare le condizioni economiche della mia famiglia”.

Mohammed non esclude la possibilità di emigrare, in cerca di opportunità agricole che possano rendere. “Trasferendoci altrove potremmo trovare soluzioni per un futuro migliore. Qui la nostra vita dipende dalle date di chiusura del valico. Spero che i paesi europei facciano pressione su Israele affinché ci permetta di esportare i nostri prodotti. Chiediamo solo di poter esportare dei generi alimentari”.

Considerate le circostanze, Mohammed non è ottimista riguardo al futuro: “Ogni giorno che passa mi rendo maggiormente conto che l’anno precedente è stato migliore di quello attuale. Invece di progredire, regrediamo”.

Il blocco continuo della Striscia di Gaza imposto da Israele e il punitivo divieto alle esportazioni rappresentano una forma di punizione collettiva della popolazione civile che vive sotto occupazione. In quanto tale, essi contravvengono all’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra. In quanto potenza occupante, Israele ha il dovere legale di rispettare il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Icescr), compreso l’articolo 6, che riconosce il diritto al lavoro come diritto fondamentale, e l’articolo 11, che stabilisce il diritto a standard di vita adeguati, a un’alimentazione adeguata, all’abbigliamento e a un alloggio adeguati e al continuo miglioramento delle condizioni di vita.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice