Storie da Gaza: “Quando esco a pescare rischio la vita, ma quali alternative ho?”

Gaza – Pchr. Mahmoud Mohammed Jarboa, 52 anni, è un pescatore di Beach Camp, Gaza città: ha 10 figli, 7 maschi e 3 femmine. Sostiene i suoi 21 dipendenti con il reddito che ricava dalla pesca, attività che pratica con i suoi figli. Da molti anni egli risente delle restrizioni in materia di accesso alle acque territoriali palestinesi al largo della costa della Striscia di Gaza.

Dal 1994 l’area in cui Israele permette ai pescatori palestinesi di svolgere la loro attività si è gradualmente ridotta, passando dalle 20 miglia nautiche previste dagli accordi di Oslo, alle 3 miglia nautiche del blocco navale del 2009, imposto con l’uso di armi, molestie, arresti illegali e detenzioni arbitrarie. La zona di pesca rigidamente limitata, in combinazione con il divieto quasi totale delle esportazioni, ha portato l’industria della pesca di Gaza sull’orlo del collasso, riducendo il numero di lavoratori in essa impegnati dai10 mila del 1999 ai 3 mila e duecento di oggi.

La tregua del novembre 2012 tra Israele e l’Autorità palestinese ha in teoria esteso il limite alle 6 miglia nautiche, consentendo un maggior pescato, ma gli attacchi contro i pescatori sono continuati, anche entro il precedente limite di 3 miglia nautiche. Tra il 22 novembre 2012 e il 28 febbraio 2013 si sono registrati 41 attacchi con armi da fuoco, che hanno ferito 4 persone. Inoltre, 42 pescatori sono stati arrestati nel corso di 11 incidenti, 8 barche sono state danneggiate e altre 8 sono state sequestrate.

Il coordinatore delle attività del governo israeliano nei Territori (Cogat), in una dichiarazione pubblicata online il 25 febbraio 2013 ha affermato che ai pescatori è consentito spingersi fino alle 6 miglia nautiche, e che ai contadini è permesso accedere fino a 100 metri dai confini con Israele. Tuttavia, dalla dichiarazione sono stati nel frattempo cancellati questi due riferimenti (1).

Il 21 febbraio 2013 il figlio sedicenne di Mahmoud, ‘Abdel Raziq, durante una battuta di pesca con altri 4 pescatori è stato attaccato dalle forze israeliane all’interno delle 3 miglia nautiche della Striscia di Gaza. ‘Abdel Raziq racconta quanto accaduto quel giorno: “Mi ero alzato alle 6 e alle 7.30 siamo usciti in mare: eravamo io e 4 amici e parenti, Mustafa, Hanafi, ‘Abdullah e Mahmoud. Subito dopo la colazione delle 11 due cannoniere israeliane hanno circondato la nostra barca e hanno aperto il fuoco su di noi, senza alcun preavviso. Ci hanno urlato in un misto di arabo ed ebraico di spogliarci e di saltare in acqua, ma noi ci siamo rifiutati di farlo. Sapevamo che volevano arrestarci e portarci ad Ashdod, in Israele. I soldati hanno continuato a sparare verso di noi, alcuni proiettili hanno colpito il fianco della nostra barca e una scheggia mi ha colpito la tibia destra. Mio cugino ‘Abdullah è stato ferito a una caviglia, entrambi abbiamo sentito un forte dolore. Subito mio fratello Mustafa si è scagliato su di me sollevandomi, per far vedere agli israeliani il sangue. ‘Guardate’ gridò, ‘sta sanguinando’. Un soldato iniziò a gridare a un altro, penso fosse il capitano. Iniziarono a litigare e noi ne approfittammo per girare la barca e tornare a riva. Eravamo spaventati, ce ne siamo scappati via”.

Quando i pescatori raggiunsero la costa accompagnarono immediatamente i due feriti all’ospedale Ash-Shifà, a Gaza città. Il medico che visitò ‘Abdel Raziq constatò che la scheggia si era conficcata tra due arterie. “Mi disse che estraendo la scheggia si sarebbe rischiato di tagliare un’arteria, e che pertanto sarebbe stato meglio lasciare la scheggia al suo posto, se ne sarebbe uscita da sola. È passato quasi un mese ma la scheggia è sempre lì. Non fa tanto male, ma se premo è doloroso”.

‘Abdel Raziq ha iniziato a pescare con la sua famiglia solo 5 mesi fa, e al momento dell’attacco delle forze israeliane era alla sua prima uscita in barca. “Non mi era mai capitato nulla di simile, ma non sono sorpreso, sapevo che sarebbe potuto accadere. Mio padre e i miei fratelli sono già stati attaccati molte volte. In certi casi sono stati costretti a spogliarsi e a saltare in acqua in pieno inverno, in fredde giornate di pioggia. Hanno sofferto molto”.

Il fratello più grande di ‘Abdel Raziq, Mohammed, è stato ucciso nel gennaio 2009 durante un attacco in mare, aveva 22 anni. Il 17 gennaio 2009 delle cannoniere israeliane hanno sparato contro 3 pescatori che si trovavano al largo della costa di As-Sudaniya. Suo padre ci racconta l’accaduto: “Mohammed aveva 22 anni quando venne ucciso. Stava pescando in mare aperto quando i soldati israeliani gli spararono, ferendolo alla testa e alle gambe. Rimase 8 giorni all’ospedale ma non ce la fece; il 25 gennaio 2009 morì. Due giorni dopo la sua morte mia moglie scoprì di essere incinta. Decidemmo di chiamare il bambino Mohammed. Dio dà, Dio toglie”.

Che il limite sia stabilito in 3 o 6 miglia nautiche, secondo Mahmoud cambia poco: “È la stessa cosa: c’è molta sabbia in quelle acque poco profonde, dovremmo poter andare dove il fondo è roccioso, a 15 o 16 miglia. Molte più specie di pesci vivono lì e depongono le uova. Ciò sarebbe di beneficio per tutti i pescatori di Gaza. Al momento non sappiamo con sicurezza dove possiamo andare. I militari israeliani non applicano i confini in linea retta, così è facile oltrepassarli senza rendersene conto. Quando peschiamo loro ci inseguono e ci sparano addosso, senza preavviso. Uno dei miei figli è rimasto ucciso, e due sono stati feriti. Altre volte ci arrestano e ci sequestrano le barche anche per 2 anni o più. Io non ho altre fonti di reddito, e devo preoccuparmi del sostentamento di 21 persone. Lo so che quando esco a pescare rischio la vita, ma quali alternative ho?”

Mahmoud ritiene che la sola speranza per il futuro della sua famiglia sia l’abolizione del blocco navale. “È necessario che gli israeliani aprano il blocco, così poso andare a pesca. Spero che i miei figli e i miei nipoti possano vivere come vivevo io prima del blocco navale. Prima tutto era aperto, sia il mare che i confini, e i pescatori stavano bene. La gente andava addirittura a pescare per divertimento. Mangiavamo il pesce che pescavamo: ora pesco a stento ciò che posso vendere per il necessario guadagno. La mia nipotina di 4 mesi è malata e avrebbe bisogno di essere visitata da un medico, ma non posso permettermelo. Quando la guardo mi sento impotente e mi viene da piangere. Riesco a stento a dar da mangiare alla mia famiglia. Io posso fare a meno di mangiare, ma i bambini no”.

‘Abdel Raziq non è più uscito in mare dal giorno dell’attacco. “Per ora mi limito ad andare al porto ad accudire la barca. Quando siamo stati attaccati ha subito danni, e riparare i buchi ci costerà 600-700 shekel. Non possiamo permetterci di aggiustarla. Pescherò di nuovo quando sarò del tutto guarito. Non ho altro lavoro e pescare mi piace molto”. Ma Mahmoud è in ansia per la scelta di riprendere a pescare di suo figlio. “L’unica cosa che ci interessa, oltre a poter vivere bene, è la sicurezza. Quando i miei figli vanno a pesca ho paura, ho paura ogni minuto, temo di non vederli tornare. La mia speranza è una vita sicura per ogni pescatore e per ogni palestinese”.

Gli attacchi di Israele ai pescatori palestinesi nella Striscia di Gaza, che non costituiscono alcuna minaccia alla sicurezza delle forze navali israeliane, rappresentano una violazione evidente del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. Precludere la pesca con arresti e attacchi arbitrari è un provvedimento di punizione collettiva, vietato dall’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra. Il diritto di lavorare in condizioni giuste e favorevoli è assicurato dall’articolo 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli articoli 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Icescr). Inoltre, l’articolo 11 dell’Icescr riconosce a ognuno “il diritto a un adeguato standard di vita, per se stesso e per la sua famiglia, che comprenda cibo, vestiario e abitazione adeguati e il continuo miglioramento delle condizioni di vita”.

(1) Nonostante ciò, nel rapporto mensile del novembre 2012 del Cogat si legge ancora: “Dopo l’operazione ‘Colonna di nuvole’ (14-21 novembre) si è raggiunto un cessate il fuoco in base al quale l’area di pesca a Gaza è stata estesa da 3 a 6 miglia nautiche”.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice