Nella notte di domenica 18 novembre 2012, attorno all’1:50, durante il lancio di missili non esplosivi di avvertimento, quattro furono sparati sul quartiere di case popolari di quattro piani di Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, e 10 minuti più tardi un edificio venne completamente distrutto da un attacco aereo. Nell’attacco, altre cinque case furono distrutte e altre 6 vennero gravemente danneggiate.
Youssif Hassan Khalil Balousha, 56 anni, ricorda quei momenti: “Nella notte dei fatti stavo dormendo, con altri 11 membri della mia famiglia, nella nostra casa. Verso l’1:45 il mio figlio maggiore bussò alla porta di camera mia, svegliandomi. Mi disse che la casa dei nostri vicini era stata colpita dai razzi di avvertimento. Decidemmo così di evacuare al più presto, temendo di essere attaccati. Pensai di mandare la mia famiglia lì vicino, da mio fratello, la cui casa di cemento avrebbe offerto maggior sicurezza della nostra, col tetto di amianto”.
“Quando ci fu l’attacco mi trovavo nell’ingresso di casa con uno dei miei figli e un mio nipote. Si sentì una specie di forte terremoto, e alcuni detriti ci caddero addosso. L’impatto dell’attacco mi fece svenire e mi portarono all’ospedale, non ricordo quei momenti. Verso le 3:00 i medici, all’ospedale, riuscirono a svegliarmi: arrivò mio figlio e mi disse che la nostra casa era stata distrutta. Ero sconvolto, non potevo crederci. Alle 5:00 venni dimesso dall’ospedale, mandai alcuni membri della mia famiglia a casa di mio genero mentre gli altri trovarono ospitalità presso alcuni vicini, le cui case erano state risparmiate dagli attacchi.
Youssif e la sua famiglia hanno trovato con difficoltà un’altra abitazione, come egli ci spiega: “Quando la guerra finì, i miei figli ed io ci mettemmo a cercare un posto in cui poter vivere di nuovo insieme, ma non riuscimmo a trovare il posto giusto. Ora abitiamo in un appartamento a Beit Lahiya, ma è molto scomodo. Non posso permettermi un appartamento più grande in quanto sono disoccupato, l’unico di noi ad avere un salario è mio figlio. Fa l’operaio in un’officina in cui si lavora l’alluminio, ma guadagna solo 10 shekel (2,10 euro) al giorno. Dopo la guerra, per poter comprare l’indispensabile per la mia famiglia ho dovuto chiedere dei prestiti a diverse persone della comunità. Viviamo in condizioni disastrose. Questo mese non ce l’ho fatta a pagare l’affitto, e il padrone di casa ha già minacciato di sfrattarci se non lo paghiamo al più presto”.
Dopo l’aggressione, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (Unrwa) ha valutato i danni della casa di Youssif: “Mi hanno detto che per ricostruire la casa ci vogliono 10.440 $: ma non mi posso permettere tale spesa. Abbiamo ricevuto coperte e materassi dalla Croce rossa internazionale, e del cibo da altre organizzazioni di soccorso. Dal governo ho avuto solo 700 $, che ovviamente non bastano. Ogni domenica vado all’ufficio dell’Unrwa a Jabaliya, per sapere quando la mia casa verrà ricostruita”.
Ancora, sferrando attacchi su aree densamente popolate della Striscia di Gaza, e causando la distruzione di abitazioni civili, Israele vìola il diritto a un alloggio adeguato, stabilito, tra l’altro, dall’articolo 11(1) dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice