Storie da Piombo Fuso: la famiglia Dayam

Storie da Piombo Fuso: la famiglia Dayam

Gaza – Pchr. 4 gennaio 2009: la famiglia Dayam.

“Inizialmente mi fu detto che ‘Arafa era rimasto ferito in un carcere israeliano. Ovviamente ero preoccupata, ma molte persone nella sua attività rimangono ferite, e la cosa importante era che fosse ancora vivo. Solo un quarto d’ora prima che il corpo di ‘Arafa arrivasse nella casa di famiglia seppi che era morto. Lo shock fu intollerabile”.

‘Arafa ‘Abdel Dayam, 34 anni, venne ucciso il 4 gennaio 2009, durante l’offensiva israeliana su Gaza durata 23 giorni, denominata in codice “Operazione Piombo Fuso”. ‘Arafa, di professione medico, stava rispondendo (prestando soccorso, ndr) a un attacco missilistico contro un gruppo di 5 uomini disarmati, quando un carro armato israeliano ha fatto esplodere una granata direttamente contro di loro.

Non si può non notare la natura tranquilla e composta dell’intera famiglia, quando si incontrano i Dayam. E’ chiaro che i 4 maschi – Hani, Hamed, ‘Abdel Rahman e Ahmed, rispettivamente di 11, 9, 6 e 4 anni – sono stati istruiti impeccabilmente dalla loro madre, Imithan Dayam, 35 anni, alla gentilezza e alle buone maniere. Nel corso dell’intervista i ragazzi sono rimasti tranquillamente seduti accanto alla loro mamma, per tutto il tempo.

Imithan ricorda i fatti di quel giorno di tre anni fa. “Inizialmente mi fu detto che ‘Arafa era rimasto ferito in un carcere israeliano. Ovviamente ero preoccupata, ma molte persone nella sua attività rimangono ferite, e la cosa importante era che fosse ancora vivo. Solo un quarto d’ora prima che il corpo di ‘Arafa arrivasse nella casa di famiglia seppi che era morto. Lo shock fu intollerabile”. La voce di Imithan si rompe un instante per la commozione, quando racconta il momento in cui apprese della morte del marito: ma è solo un momento. Per il tempo che resta, riesce a mantenere un volto fermo, “per il bene dei bambini e per il loro futuro”.

Dalla perdita di ‘Arafa, la famiglia ha affrontato sfide importanti. A causa di una lite occorsa con la famiglia di ‘Arafa, presso cui vivevano prima dell’incidente, Imithan è stata costretta a trasferirsi nella casa incompleta a cui il marito stava lavorando prima di morire. “Quando ci trasferimmo, non c’era nulla: non c’erano mobili, né finestre o tappeti. Solo dieci giorni fa sono terminati i lavori di tinteggiatura”, racconta Imithan. Con i risparmi di ‘Arafa è riuscita a pagare dei prestiti precedentemente ottenuti per avviare i lavori di costruzione, ma il denaro sufficiente a terminarli non c’era.

Riflettendo sulla vita di ‘Arafa, Imithan parla del coraggio e della popolarità del marito tra i palestinesi. “Durante la guerra, ‘Arafa passava a casa solo per portare cibo: subito dopo usciva nuovamente a svolgere volontariato con i medici. Se un gruppo di medici era al completo, se ne cercava immediatamente un altro. Quando è morto abbiamo ricevuto messaggi di condoglianza da tutto il mondo”. Non sorprende che Imithan ricorra spesso, nella conversazione, all’“importanza di essere forti”, per la vita della propria famiglia dopo la morte del marito.

L’effetto della perdita del padre, sui bambini, è stato particolarmente traumatico: in special modo per Hani, che, dato il forte attaccamento al genitore, ha manifestato sintomatologie fisiche e psicologiche per un anno, per il trauma estremo subito. “Ma io ho chiesto subito ai bambini di comportarsi come il loro padre avrebbe desiderato”, racconta Imithan. Grazie a incontri quotidiani di conversazione con il personale dell’Unrwa, Hani ora va bene a scuola e ottiene risultati eccellenti in scienze, materia che suo padre insegnava presso la locale scuola dell’Unrwa. Hani sta chiaramente assumendo la posizione dell’uomo di casa, sedendo tranquillo con sua madre a badare ai fratelli più giovani. Ahmed, il più giovane, aveva quattro anni quando suo padre morì: “Egli non ha avuto la possibilità di conoscere e di amare suo padre”, dice Imithan.

Riguardo al futuro, Imithan è fiduciosa: “Ho quattro giovani ragazzi che spero di vedere laureati e sposati, ma sono sola; ho una grande responsabilità e devo essere forte”. Ella nutre poi speranze riguardo alle prospettive di procedimenti giudiziari in Israele, volti all’ottenimento di un risarcimento per l’uccisione del marito, dal momento che è evidente che, quando è stato ucciso per mano delle Forze di occupazione israeliane, ‘Arafa non era un obiettivo militare.

Il Pchr presentò denuncia penale per conto della famiglia Dayam il 21 agosto 2009. Ad oggi, nessuna risposta è stata ricevuta.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice

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