Storie da Piombo Fuso: Motee’ e Isma’il as-Selawy

Storie da Piombo Fuso: Motee’ e Isma’il as-Selawy


Gaza – Pchr. 3 Gennaio 2009: Motee’ e Isma’il as-Selawy.

“Quello che ci ha molto colpiti psicologicamente è il fatto che stavamo tutti pregando nella moschea quando siamo stati attaccati. La moschea è un luogo nel quale andiamo quando abbiamo bisogno di sollievo o quando siamo tristi. Non avremmo mai potuto immaginare che saremmo stati il loro bersaglio mentre stavamo pregando”.

Il 3 gennaio 2009, quando erano circa le 17:20, durante l’ora della preghiera, un drone israeliano ha sganciato un missile sull’entrata occidentale della moschea di al-Maqadma nel campo profughi di Jabaliya. Nell’attacco sono morti 15 fedeli e centinaia sono stati feriti.

“In ogni preghiera ricordo quello che è successo nella moschea, quel giorno. Ricordo il posto in cui ho visto braccia dilaniate, gambe ed altre parti del corpo sparsi per tutto il pavimento. Posso ancora vedere i nostri parenti ed amici sparsi per tutta la stanza in cui pregavamo”, dice sheikh Motee’ as-Selawy (49 anni), mettendosi la testa tra le mani. Si trovava sul palco degli anziani a tenere un discorso ai fedeli quando un missile ha colpito l’ingresso. “Avevo una visuale diretta verso la porta della moschea ed ho visto schegge rosse volare verso di noi attraverso l’entrata”, ricorda.

La numerosa famiglia as-Selawy, che vive insieme in una grande casa dall’altra parte della moschea, ha perso cinque dei suoi membri, che stavano tutti pregando nella moschea quando questa è stata attaccata: Ahmad Isma’il (22), Mohammed Mousa Isma’il (12), Ibrahim Mousa Aissa (44), Hani Mohammed (8), e ‘Omar Abdel Hafez as-Selawy (27).

Il fratello di Motee’, Isma’il Mousa as-Selawy (53), ha perso suo figlio maggiore, Ahmad Isma’il, nell’attacco. “Piango ogni giorno per mio figlio. Ho sofferto molto durante questi tre anni. Era tutto per la nostra famiglia. Faccio visita sulla sua tomba una o due volte la settimana almeno. Lo ricordo in ogni momento, che io sia a casa, alla moschea o da qualsiasi altra parte”, dice Isma’il.

“Ci mancano molto i nostri parenti uccisi, in qualsiasi occasione. La nostra famiglia vive tutta nello stesso palazzo e quindi ci divertivamo molto insieme. Ora andiamo a fare visita alle loro tombe”, aggiunge Motee’.

Sei membri della famiglia as-Selawy sono stati feriti durante l’attacco e molti di loro continuano ad accusare dolori fisici per via delle schegge che sono rimaste conficcate nei loro corpi. “Ho ancora delle schegge conficcate nel polso destro e mi danno problemi ancora adesso. I dottori a Gaza hanno detto che un intervento per rimuovere le schegge potrebbe peggiorare le cose invece di migliorarle. Sento costantemente un formicolio e la mano destra è debole. Non posso tenere nulla”, dice Motee’. Un altro parente, Mohammed Khalil as-Selawy (14), ha delle schegge conficcate nella testa che gli hanno causato perdida di udito e che lo hanno costretto a delle protesi uditive. I fratelli Abdel Karim Mohammad as-Selawy (12) e Maher Mohammed as-Selawy (3) hanno dovuto anch’essi imparare a convivere con le schegge conficcate nei loro corpi; Abdel Karim ha frammenti alle spalle, mentre Maher ha schegge conficcate nel fegato. Tamer Khalil (22) e Mousa Isma’il (23) as-Selawy sono stati anche loro feriti da schegge alla schiena, ma i dottori sono stati in grado di rimuovere le parti metalliche dai loro corpi.

“Quello che ci ha colpiti di più psicologicamente è il fatto che stavamo tutti pregando nella moschea quando siamo stati attaccati. La moschea è un luogo nel quale andiamo quando abbiamo bisogno di sollievo o quando siamo tristi. Non avremmo mai potuto immaginare che saremmo stati il loro bersaglio mentre stavamo pregando nella moschea. Questo è un grosso crimine”, dice Motee’. Il nonno della famiglia, Mousa ‘Issa Mohammad as-Selawy (93), aggiunge: “La moschea è la casa di Dio. Non ci sono soldati o armi nella sua casa. Chiunque va lì per pregare ed essere felice di stare lì dentro. Come hanno potuto prenderli di mira in quella maniera?”

Motee’ aggiunge: “Goldstone è venuto a farci visita a casa nostra ed è venuto alla moschea con noi per indagare. Gli ho chiesto: ‘Dove vai quando ti senti triste e stanco?’, lui ha risposto: ‘Vado in un posto per pregare’. Gli ho chiesto: ‘Cosa avresti fatto se ti avessero bombardato lì dentro?’; mi ha risposto: ‘Non so immaginarmelo. Un crimine come questo dovrebbe essere punito’. Ora Goldstone si è scusato per il suo report e noi non abbiamo ancora visto nessun risultato”.

Dal giorno dell’attacco, gli as-Selawy non piangono solo la perdita dei propri parenti. I membri della famiglia sono anche alle prese con problemi finanziari poiché tre dei parenti deceduti erano quelli che provvedevano alla maggior parte del reddito familiare. Ibrahim ha lasciato 9 figlie, che ancora vivono in casa. “Chi si prenderà cura di loro, adesso?” chiede Motee’. ‘Omar Abdel Hafez aveva 4 figlie ed un figlio. Fino al giorno della sua morte contribuiva al reddito familiare lavorando come cameraman per il canale di una TV locale. Il figlio di Ismai’l, Ahmad, era padre di due bambini, Mohammed (5) e Nisreen (3) lavorava come sarto.

“Le mie preoccupazioni adesso riguardano i miei nipoti, Mohammed e Nisreen, e come poterli far crescere. Voglio dare loro un futuro, ma sono troppo malato per lavorare. La mia salute è stata fortemente minata dall’attacco e dalla perdita di mio figlio”, dice Isma’il, che soffre di gravi emicranie e problemi di stomaco. “Provo a prendermi cura di loro più che posso, ma non sarò qui per sempre”.

Gli as-Salawy hanno poche aspettative riguardo i risultati del procedimento legale nel contesto del sistema legale israeliano. “Gli israeliani stanno prolungando i procedimenti della Corte e non vediamo nessun risultato positivo. Possiamo nutrire delle speranze se il nostro caso fosse preso in esame da una corte internazionale”, dice Motee’.

Il PCHR ha presentato una denuncia penale alle autorità palestinesi per conto della famiglia as-Selawy il 2 luglio 2009. Ad oggi, non è pervenuta alcuna risposta.

Traduzione per InfoPal a cura di Romina Arena

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