Qalandiya-The Palestine Chronicle. Di Tamar Fleishman. Stavo tornando a casa dopo aver passato molto tempo dalla parte palestinese del checkpoint militare israeliano di Qalandiya. Avevo riempito il mio cesto di frutta fresca di stagione dopo aver scattato delle foto vicino al campo profughi di Qalandiya. È stato allora che un uomo palestinese mi ha chiesto di accompagnarlo negli uffici dell’amministrazione civile israeliana (DCO).
Sperava che la mia presenza potesse aiutarlo a ottenere un permesso per sua figlia, che doveva raggiungere il St. John Hospital di Gerusalemme est. “Se Dio vuole”, ha detto, “sarebbe stata operata immediatamente, come hanno raccomandato i medici”.
Ho cercato invano di sminuire le sue aspettative riguardo alla mia capacità di influenzare la decisione delle autorità israeliane. L’uomo ha insistito sul fatto che sua “figlia deve sottoporsi a un intervento chirurgico urgente oggi”.
Nel frattempo, sua moglie e sua figlia lo stavano aspettando in taxi appena fuori dal checkpoint. L’autista era pronto a partire e a portarli in ospedale non appena il padre fosse tornato con i permessi richiesti.
Secondo la procedura, il richiedente deve attendere il suo turno, quindi chiudersi la porta alle spalle per ritrovarsi davanti a una finestra bloccata, dove è seduto un soldato israeliano che si occuperà del suo caso.
L’ufficio era pieno di gente che aspettava silenziosa e paziente il proprio turno o di ricevere il verdetto. Tutti i guai del mondo sembrano convergere in questo piccolo luogo affollato.
L’uomo che era con me continuava a muoversi, non sapendo cosa fare. Sono riuscita ad attirare l’attenzione di una donna soldato israeliana e le ho chiesto se qualcuno poteva occuparsi del caso dell’uomo. È stato indirizzato in una stanza diversa e io sono entrata con lui.
Subito è arrivato un soldato.
“Ho bisogno di un permesso urgente, mia figlia deve andare in ospedale ed essere operata”, ha detto l’uomo palestinese.
“È troppo tardi”, ha detto il soldato israeliano. “Abbiamo chiuso mezz’ora fa. Perché non sei venuto prima?”
«Vengo da molto lontano, da Nablus», ha cercato di spiegare l’uomo.
“Troppo tardi”.
“Per favore, ho bisogno di un favore”, l’ha implorato l’uomo.
“Perché sei qui?”, ha chiesto il soldato, rivolgendosi a me.
“Lei è con me”, ha detto l’uomo.
Il soldato mi ha chiesto di andarmene e sono dovuta andare, sperando nel meglio.
Pochi minuti dopo, l’uomo è uscito e mi ha detto che non solo non ha ottenuto ciò che aveva chiesto, ma è stato anche rimproverato per avermi portato con sé.
Poi si è precipitato dalla sua famiglia e io sono rimasta lì, con il cuore spezzato, di fronte all’ennesima ingiustizia perpetrata dall’occupante israeliano.
(Da Tal Haran. A cura di Romana Rubeo).
Traduzione per InfoPal di Edy Meroli