Sui 15 minuti di fama di Gilad Shalit e sull’hummus che ha mangiato

Di Sami KishawiMi chiedo quanto tempo ci vorrà a Gilad Shalit, alla sua famiglia e ai suoi sostenitori, per rendersi conto che i suoi 15 minuti di fama stanno per terminare. C'è un soldato, un militare combattente, un membro coscienzioso di un esercito che attua un'occupazione illegale su un territorio e sul suo popolo. Shalit non è nulla di speciale – l'esercito israeliano impiega, attualmente, decine di migliaia di prototipi simili. L'unica cosa che esce dall'ordinario è che a Shalit è successo di venire catturato mentre si trovava in servizio.

La sua cattura dev'essere stata molto imbarazzante per Israele. Come ha fatto uno degli eserciti più avanzati del mondo a non avere la meglio in un caso così semplice? Com'era prevedibile, l'ego collettivo del governo israeliano ha subito attivato una serie di azioni volte a convincere il mondo che Shalit è stato vittima di una “violazione umana armata”. Nelle prime settimane, Israele ha chiesto il rilascio del proprio soldato, dipingendolo come un cucciolo indifeso, rapito illegittimamente da invasori spietati. Ma, dopo un po', il ricordo di Shalit è scomparso, tanto velocemente quanto era scomparso egli stesso. A esclusione della sua famiglia e dei suoi amici, egli non è più stato considerato una questione scottante.

Ciò ha completamente senso. Subito dopo la sua cattura, il governo israeliano ha raccolto una serie di argomenti al fine di indicare al pubblico esclusivamente quanto criminali siano i Palestinesi. I funzionari del governo hanno proclamato Shalit vittima di delinquenza razzista. I propagandisti lo hanno rappresentato come un giovane pacifico che non aveva nulla a che fare con i Palestinesi. Gli ambasciatori hanno sollecitato gli studenti universitari a cercare Shalit nei propri cuori. I sostenitori di Israele hanno sostenuto che la sua scomparsa era la prova dell'occupazione israeliana da parte dei palestinesi. I sapientoni della politica hanno considerato la questione una tattica illegale e illegittima senza precedenti.

L'ironia, in tutto questo, sta nel fatto che prima, durante, e dopo la cattura di Shalit, i militari e la polizia israeliani hanno continuato la lunga tradizione di arresti e di incursioni notturne in Cisgiordania e, fino al 2005, nella Striscia di Gaza. All'avvicinarsi della mezzanotte, i militari iniziano a eseguire i diversi ordini ricevuti, abbattendo porte, facendo incursioni nelle case, ammanettando uomini segnalati (alcuni dei quali ragazzini di 14 anni) e trascinandoli con violenza all'interno delle loro jeep. Questo equivale a “rapimento”.

Nel caso di Shalit, egli non era un adolescente il cui unico crimine consisteva nel mancato rispetto del coprifuoco, per arrivare a scuola in tempo. No: Shalit era un combattente armato di un reparto nemico, attivamente impegnato nella chiusura ermetica dei confini palestinesi. E quindi il governo israeliano non poteva farci niente. Quando i titoli sui giornali hanno cominciato a diminuire, il governo è stato costretto a fare i conti col fatto che il suo esercito di elite era stato oggetto della stessa tattica che esso stesso comunemente impiega.

Dopo cinque anni e mezzo, Benjamin Netanyahu ha finalmente acconsentito a un accordo che gli era già stato offerto innumerevoli volte. Shalit è apparso, e Israele si è sentito vincitore. Shalit era libero e sorridente, ma il governo israeliano voleva riscattarsi. Già prima dell'entrata in vigore dell'accordo sullo scambio di prigionieri, la squadra di propagandisti di Netanyahu, e i sostenitori di Shalit, si sono attivati per ciò che, pensavano, sarebbe sicuramente stata una vittoria di pubbliche  relazioni. Hanno analizzato ogni secondo della vicenda di Shalit. Per ogni dettaglio considerato sotto la norma, è stato pubblicato un comunicato stampa, o è stata giustificata un'altra possibile invasione, presentate richieste alle Nazioni Unite e costruito un altro insediamento nella West Bank.

Alla fine, tutto ciò che hanno trovato è stato uno Shalit emaciato. In uno sforzo frenetico di condannare il trattamento riservatogli, è stata data la colpa all'hummus di Gaza. Lo hanno ammesso, non ha patito la fame, “ma il menù era soprattutto gazawi, non molto nutriente. C'erano pita e molto hummus”. In altre parole, i carcerieri hanno disumanamente negato a Shalit il diritto a antipasti e dessert da ristorante a cinque stelle in riva al mare.

La dieta gazawi non è stata abbastanza buona per Shalit, ma è considerata sufficientemente buona per migliaia di palestinesi sotto assedio, ai quali sono negati cibi semplici come il cioccolato o spezie comuni come la noce moscata. Se pita e hummus non sono abbastanza nutrienti per Shalit, lo sono invece per coloro che non hanno altro, che non riescono a ottenere vitamine e sali minerali e le cui scorte alimentari vengono lasciate marcire al valico di Eretz.

Questa ironia contorta e questo evidente doppio standard stanno a dimostrare quanto bassi possono essere gli sforzi di vittimizzazione di Israele. Shalit è stato usato a questo scopo. Tempo qualche giorno, quando il pubblico non potrà più ignorare che Shalit è stato catturato in servizio attivo, che egli si è probabilmente nutrito meglio dei suoi carcerieri e delle loro famiglie, e che è stato trattato meglio dei palestinesi nelle carceri israeliane, e Shalit sarà ricordato solo come “quel ragazzo che ebbe un ruolo nell'occupazione”. Egli è fisicamente libero da Gaza, ma, assieme a milioni come lui, egli è ancora rinchiuso tra le mura del carcere che le azioni del suo governo tengono alte.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice

 

 

 

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