Sull’orlo della guerra civile.

Da www.ilmanifesto.it del 16 dicembre

Sull’orlo della guerra civile
«Siamo nati per diventare martiri, non ministri»: esplode la furia di Hamas, che accusa Fatah di aver cercato di uccidere Haniyeh. Ore di battaglia tra gruppi rivali a Ramallah, decine di feriti

Ramallah
Le strade insolitamente deserte di Ramallah descrivevano bene ieri sera l’ansia dei palestinesi per l’ulteriore aggravamento dello scontro tra Hamas e Al-Fatah, il partito di Abu Mazen. Mai come in queste ultime ore i Territori occupati sono giunti vicini al baratro di uno spargimento di sangue tra di loro. Non pochi concordano con il noto giornalista di Al-Jazeera, Walid Omari, che raccontando i durissimi scontri avvenuti ieri nel centro della città ha parlato di «guerra civile già cominciata ma nessuno sembra rendersene conto». E la scintilla della guerra fra palestinesi potrebbe essere il discorso che questa mattina pronuncerà il presidente Abu Mazen, deciso, così almeno fa capire, a dare una svolta alla crisi politica e «ad andare fino in fondo». Le conseguenze di una sua proclamazione di elezioni anticipate, contro il volere di Hamas, potrebbero rivelarsi drammatiche.
Dopo i colpi sparati domenica scorsa contro il ministro dell’interno Said Siyam, il barbaro assassinio il giorno dopo di tre bambini figli di un ufficiale fedele ad Abu Mazen e l’uccisione di un giudice islamico tre giorni fa, la situazione è precipitata giovedì sera quando sconosciuti hanno sparato raffiche di mitra contro il convoglio di auto che riportava a casa il primo ministro Ismail Haniyeh. Un viaggio dal valico di Rafah a Gaza, dopo ore e ore di attesa a causa del blocco intimato da Israele, eseguito da Egitto e osservatori europei e completato dall’atteggiamento compiacente delle guardie di frontiera palestinesi. Colpi che hanno mancato di poco il primo ministro, uccidendo una guardia del corpo e ferendo gravemente il figlio e un consigliere di Haniyeh, Ahmed Yusef, e un’altra quindicina di persone.
La protesta di Hamas per l’accaduto è stata veemente, prima con una conferenza stampa di fuoco e poi con il discorso che Haniyeh ha rivolto nello stadio Yarmouk di Gaza city ad una folla di almeno 70mila attivisti e simpatizzanti, riuniti in occasione del 19esimo anniversario della fondazione del movimento islamico. L’intero gruppo dirigente di Hamas ha puntato l’indice contro Al-Fatah e in modo particolare contro un suo dirigente, l’ex ministro Mohammed Dahlan, capo di una milizia spesso coinvolta in fatti di sangue. Dopo averlo accusato di aver istigato «l’attentato contro il premier Haniyeh», il ministro degli esteri Mahmud Zahar ha affermato che «Dahlan, che da giovane era un modesto ladro di polli, è riuscito negli ultimi anni a derubare il popolo palestinese» quando ha rivestito incarichi di rilievo nell’Anp. Simili i commenti di altri dirigenti di Hamas che, tuttavia, hanno avuto l’effetto di compattare Al-Fatah a difesa di Dahlan, che pure nel suo partito non gode di grande stima e prestigio. L’ex negoziatore Saeb Erekat ha affermato che le accuse a Dahlan «equivalgono a una sua condanna a morte». Al-Fatah nega che ci sia stato un attentato contro Haniyeh e sostiene invece che i colpi che hanno colpito il convoglio del premier siano stati sparati durante le fasi concitate in cui alcune centinaia di attivisti di Hamas avevano invaso il terminal di Rafah per consentire il rientro a casa di Haniyeh. Secondo alcune fonti, Dahlan – che pure non perde occasione di sfidare il governo di Hamas con azioni provocatorie – non sarebbe coinvolto nell’accaduto a Rafah. I colpi sparati contro il premier sarebbero invece partiti dai mitra degli agenti di «Forza 17»", la guardia presidenziale schierata al valico.
Nelle stesse ore, scontri gravissimi sono divampati a Ramallah quando migliaia di simpatizzanti di Hamas hanno cercato di marciare verso il centro della città, per celebrare l’anniversario della fondazione del loro movimento. Sono stati fermati prima da decine di attivisti armati di Al-Fatah e poi dalle forze di sicurezza inviate dallo stesso Abu Mazen, ufficialmente per impedire un confronto tra i due gruppi. Quelli di Hamas non hanno fatto in tempo a lasciare la moschea Nasser che sono stati circondati dagli agenti in assetto anti-sommossa che hanno cominciato a picchiarli. Infine i poliziotti hanno fatto fuoco. Il bilancio degli incidenti, andati avanti per ore, è di 35 feriti, due dei quali sono stati dichiarati «clinicamente morti». In serata le televisioni locali e quelle satellitari arabe, anche per allentare la tensione, hanno rilanciato più volte l’appello di Haniye affinché «venga preservata l’unità nazionale e non venga sparso sangue palestinese». Il premier ha aggiunto: «Siamo un popolo unito, per la causa della liberazione della nostra terra e dei luoghi santi». Qualche ora prima prima, nello stadio Yarmouk, aveva detto che «l’Islam progredisce e la sua marcia procede nonostante i complotti che vengono tramati giorno e notte», e aveva spiegato che «i dirigenti di Hamas si sono aggregati per diventare martiri, non ministri». Da Damasco il leader di Hamas in esilio, Khaled Mashaal, ha esortato gli attivisti del movimento a mantenere la calma.

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