Svelato il “fattore israeliano” nella guerra in Siria: “Il piano A di Usa e Israele”

Svelato il “fattore israeliano” nella guerra in Siria: “Il piano A di Usa e Israele”

Dopo più di due anni e mezzo è stata improvvisamente messa la parola fine alla pretesa neutralità di Israele nel conflitto siriano e alla fanfara della retorica statunitense, che sollecitava un cambio di regime a Damasco, con la rivelazione che il fattore israeliano è stato per tutto il conflitto la preoccupazione principale di entrambi i paesi.

Tutto il focalizzarsi politico e mediatico sulla “democrazia contro la dittatura” e sull’intervento della comunità internazionale in base a una “responsabilità da proteggere” per evitare di esacerbare la “crisi umanitaria” in Siria, si è rivelata essere solo una distrazione dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal vero obiettivo, la salvaguardia della sicurezza di Israele.

Il loro “piano A” consisteva nell’imporre un cambio di regime in Siria, da sostituire con uno meno minaccioso e più disponibile a sottoscrivere un “accordo di pace” con Israele come “primo premio”. In caso di fallimento – ciò che si è poi verificato –  il “piano B” avrebbe mirato a perseguire un “premio minore”, disarmando la Siria delle sue armi chimiche, per privarla del suo deterrente difensivo strategico contro il predominante arsenale di distruzione di massa nucleare, chimico e biologico israeliano. Il “Piano A” si è dimostrato un fallimento, ma il “Piano B” è stato un successo.

Ma il fatto che la crisi umanitaria siriana prosegua ininterrotta, tra l’infuriare di continui combattimenti, mentre gli Stati Uniti stanno gradualmente venendo a patti con i maggiori alleati della Siria in Russia e in Iran, come preludio al riconoscimento della “legittimità” dello status quo in Siria, spazza via quel po’ di credibilità statunitense che resta nel conflitto.

Il presidente Barack Obama, parlando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 24 settembre scorso, ha esposto questa giustificazione: “Ricordiamoci che questa non è un’impresa a somma zero. Non siamo più in Guerra Fredda. Non c’è alcun grande gioco da vincere, né gli Stati Uniti hanno altro interesse in Siria che il benessere del suo popolo, la stabilità dei suoi vicini, l’eliminazione delle armi chimiche e la garanzia che non diventi un porto sicuro per i terroristi. Accolgo il contributo di tutte le nazioni a realizzare una soluzione pacifica”.

Questa svolta a “u” cancella ogni dubbio residuo che gli Stati Uniti si siano mai preoccupati del popolo siriano e del suo “benessere”.

Il dichiarato impegno degli Stati Uniti a una “soluzione politica”, sostenendo con la Russia la convocazione di una conferenza di “Ginevra 2”, è compromesso dall’ammessa incapacità di unire  l’”opposizione”, creata e sostenuta da loro stessi e dagli “amici della Siria” che essi guidano, e di frenare il continuo supporto del conflitto armato con armi, denaro e logistica da parte degli alleati arabi del Golfo e della Turchia, che mina qualsiasi soluzione politica e rende la stessa convocazione di una conferenza di “Ginevra 2” una scommessa per tutti.

La “punizione” di Israele

Intanto, la neutralità di Israele è stata  sconfessata nientemeno che dal suo presidente, Shimon Peres.

Al quarantesimo anniversario della guerra contro Siria e Egitto del 1973, commemorando i circa 3000 soldati israeliani caduti in quell’occasione, Peres ha rivelato senza mezzi termini che il principale beneficiario del conflitto siriano è stato il suo Paese.

Peres ha detto: “Oggi il presidente siriano, Bashar al-Assad, è punito per rifiutare un compromesso con Israele: il popolo siriano paga per questo”.

Quando è diventato evidente, dagli ultimi sviluppi, che non ci sarà alcun “cambio di regime” in Siria, né ci sarà un domani post-Assad, e che gli Usa, maggior garante della sopravvivenza di Israele, hanno compiuto, o stanno per compiere, una svolta a “u” politica davanti al conflitto siriano, escludendo come “inaccettabile” la soluzione militare, come dichiarato dal Segretario di Stato John Kerry il 6 ottobre scorso, Israele si è fatto impaziente, e non ha più potuto celare i propri interessi nel conflitto.

Lo scorso 17 settembre i principali canali giornalistici hanno intitolato: “Con una svolta pubblica, Israele chiede la caduta di Assad”, riferendosi a un articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Jerusalem Post, che citava l’affermazione dell’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Michael Oren: “Abbiamo sempre voluto che Bashar Assad se ne andasse; abbiamo sempre preferito i cattivi non sostenuti dall’Iran ai cattivi sostenuti dall’Iran”.

“Il pericolo maggiore per Israele è costituito dall’arco strategico che si estende da Teheran a Damasco e a Beirut. E abbiamo visto che il regime di Assad è la chiave di volta di quell’arco”, ha aggiunto Oren.

E quello è realmente il nodo cruciale del conflitto siriano: smantellare questo “arco” è stato per tutto il conflitto la strategia pronunciata dei cosiddetti “amici della Siria”, essi stessi amici di Israele e guidati dagli Stati Uniti.

L’obiettivo di questa strategia è stato per tutto il conflitto il cambiamento del regime di quella che Oren ha chiamato la “chiave di volta di quell’arco”, supportata da un governo filo-iraniano in Iraq e dai movimenti palestinesi di liberazione che si oppongono agli oltre 6 decenni di occupazione militare israeliana, anche attraverso la cancellazione di tutte le risorse, infrastrutture e potere siriani finché il paese non avesse altra scelta che accettare senza condizioni i termini di quello che Peres ha definito un “compromesso” con Israele, come precondizione per la restituzione delle Alture siriane del Golan occupate da Israele.

La Siria, il terzo incomodo

Questo obiettivo strategico è stato oscurato da una cortina fumogena, presentando il conflitto prima come una rivolta popolare trasformatasi in una ribellione armata contro una dittatura, poi come una “guerra civile” settaria, quindi come una guerra per procura nell’ambito di una storica divisione arabo-iraniana tra sunniti e sciiti e infine come un campo di battaglia di geopolitiche regionali e internazionali in conflitto, ma per tutto il tempo il nocciolo del conflitto è stato il fattore israeliano.

Altrimenti perché gli “amici della Siria e di Israele”, guidati dagli Stati Uniti, dovrebbero interessarsi del regime al governo in un paese privo di significativi giacimenti di petrolio e di gas, il “libero” flusso dei quali è stato ripetutamente dichiarato essere un interesse “vitale” degli Stati Uniti, o uno di quelli che Obama nel suo discorso all’ONU ha definito gli “interessi chiave” del paese? La sicurezza di Israele è un altro interesse “vitale” o “chiave” che, nelle parole di Obama, “gli Stati Uniti d’America sono pronti a garantire con tutti i mezzi possibili, compresa la forza militare”.

Secondo uno studio dell’Università di Oslo, la fine della Guerra Fredda ha aperto una “finestra di opportunità” al trattato di pace tra Israele ed Egitto. Un accordo di pace è stato firmato tra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e lo stato ebraico nel 1993, seguito da un trattato di pace tra Israele e Giordania l’anno seguente. Durante l’invasione del Libano nel 1982 Israele ha cercato, senza successo, di imporre al paese un trattato simile, non fosse stato per l’”influenza” siriana, che da allora ha impedito qualsiasi sviluppo in tal senso.

La Siria resta il terzo incomodo nella cintura del processo di pace attorno a Israele; nessuna pace complessiva è possibile senza la Siria; Damasco possiede perfino la chiave della sopravvivenza degli accordi di pace palestinesi, giordani ed egiziani con Israele. La Siria non cederà questa chiave senza ottenere il ritiro delle Forze d’Occupazione Israeliane (Foi) dalle proprie terre e dalle terre di altri paesi arabi, e senza una “giusta” soluzione della “questione palestinese”.

Questa è stata la strategia nazionale siriana molto prima che salissero al potere il partito pan-arabo Baath e la dinastia di Assad.

Perciò il “piano A” di Stati Uniti e Israele resterà nelle agende di entrambi i paesi, in attesa di un contesto geopolitico più favorevole.

Traduzione a cura di Stefano Di Felice