Terremoto Turchia-Siria: “E’ come se qualcuno avesse sganciato una bomba atomica”

MEMO. Di Amelia Smith e Marwa Koçak. Intorno alle 4 del mattino di lunedì, Malik Abu Ubaidah si è svegliato mentre la sua casa traballava sulle proprie fondamenta. Si è alzato, ha riunito i suoi figli ed è scappato fuori in mezzo ad un muro di fumo e polvere.

Strappato al sonno, non poteva ancora saperlo, ma quello che Malik aveva sentito era un terremoto di magnitudo 7,8 che ha colpito il nord-ovest della Siria e il sud-est della Turchia ed è stato avvertito anche in Libano, Giordania e Cipro.

Il sisma ha lasciato dietro di sé una scia di distruzione, abbattendo ponti, radendo al suolo edifici e riducendo le case in macerie. Il bilancio delle vittime è costantemente in aumento.

Malik vive nel villaggio di Al-Bab, nel nord della Siria, dopo che la sua famiglia è stata sfollata dal sud a causa della guerra decennale combattuta dal regime siriano e dai suoi alleati.

“Francamente, non ho mai provato tanta paura per la mia vita come oggi”, ha affermato Malik. “Siamo in guerra da 12 anni ma, in tutto questo periodo, non ho mai provato la paura e l’impotenza che ho provato oggi”.

“Almeno i bombardamenti non arrivano tutti insieme”, continua. “Si possono prevedere, oppure si possono sentire gli aerei e ci si può nascondere da qualche parte. Durante i bombardamenti si sa di essere in uno stato di guerra e si sa che Dio è con noi. Ma il terremoto viene da Dio”.

I villaggi vicini ad Al-Bab hanno conosciuto un destino ancora più tragico. “Sono andato nella città di Jindires, nella campagna di Aleppo”, ricorda Malik.

“Non esagero se dico che lì non c’è una casa che sia ancora in piedi. Ci sono oltre 100 edifici completamente crollati, ognuno dei quali era abitato da almeno quattro o cinque famiglie, fino anche a 15 famiglie per edificio”.

“Abbiamo visto una distruzione peggiore di quella della guerra”, ripete. “Interi quartieri sono stati rasi al suolo in due minuti, come se qualcuno avesse sganciato una bomba atomica”.

Le province settentrionali della Siria, dove circa il 60% dei 4 milioni e mezzo di siriani che vi abitano sono sfollati interni, sono già un’area vulnerabile, con un’alta densità di popolazione e infrastrutture praticamente inesistenti.

Nove persone su dieci vivono in povertà e la malnutrizione è diffusa, oltre alla mancanza d’acqua, di medicine adeguate e per la presenza di un’epidemia di colera. Dopo il terremoto, i pozzi sono stati ricoperti di detriti e le panetterie sono state distrutte.

A causa della vastità della distruzione, le squadre della protezione civile sono sopraffatte e non riescono a recuperare i corpi o i sopravvissuti dalle macerie velocemente.

“Secondo le mie stime, la protezione civile dovrà continuare il recupero dei corpi ancora per un mese e mezzo, lo sforzo profuso è lento e debilitante”, dice Malik. “Abbiamo sentito molte grida provenire da sotto gli edifici, ma dopo qualche ora queste grida smettono. Fino ad ora i soccorsi sono riusciti a salvare solo il 10% delle persone”.

Più o meno nello stesso momento in cui Malik e la sua famiglia stavano fuggendo dal loro appartamento, oltre il confine, nella città di Killis, nel sud della Turchia, Mustafa Otri ha sentito quella che pensava fosse un’esplosione proveniente dalle profondità della terra.

Si è precipitato giù dal letto e si è rifugiato in un campo da basket al chiuso, che sarebbe poi diventato un rifugio di fortuna per le migliaia di persone che avevano perso le loro case.

“Qui c’è il riscaldamento e le forniture di base per le emergenze, come coperte, acqua e un po’ di cibo”, ci racconta. “C’è pane, formaggio e verdure. Ma non ci sono medicine”.

Mentre il terremoto ha causato enormi distruzioni nei due paesi, la situazione politica in Siria sta ostacolando seriamente gli sforzi dei soccorsi. Malik ritiene che le squadre per la protezione civile della Siria settentrionale non superino le 1.000 unità, mentre l’autorità turca per la gestione dei disastri e delle emergenze ha dichiarato che oltre 24.000 persone stanno partecipando alle operazioni di ricerca e salvataggio.

Sheyar Khalil, la cui famiglia vive ad Afrin, nel nord della Siria, afferma che anche se diverse organizzazioni sono disponibili per aiutare, non vi sono le risorse adeguate e nemmeno collegamenti per raggiungere quelle zone.

I siriani erano già alla ricerca disperata di aiuti e lo sono ancora di più ora, ma non c’è libertà di movimento o di accesso per poter far arrivare i soccorsi. Il confine tra la Turchia e la Siria settentrionale è strettamente controllato e le strade sono state distrutte dalla guerra o sono ricoperte dalle forti nevicate. Le vie di collegamento tra i due paesi sono state ulteriormente bloccate dai detriti del terremoto.

Per oltre un decennio, il regime siriano e i suoi alleati hanno preso di mira ospedali e personale medico, devastando il sistema sanitario e creando ulteriori problemi di salute, come le malattie causate dal consumo di acqua inquinata nei campi profughi.

Prima del terremoto, i siriani del nord della Siria con gravi problemi di salute attraversavano il valico di Bab Al-Hawa e raggiungevano Gaziantep, in Turchia, dove venivano curati negli ospedali statali della Turchia.

I finanziamenti delle organizzazioni internazionali e gli effetti devastanti della pandemia di coronavirus, però, hanno fatto sì che questo avvenisse sempre meno. Ora è ancora più difficile, poiché gli ospedali in Turchia sono completamente sovraccarichi.

I meteorologi hanno detto che una tempesta di neve incombe sulle province settentrionali della Siria. Nell’attesa, centinaia di persone sono ancora vive sotto le macerie, mentre altre si sono radunate tra gli ulivi, nei campi aperti, nel timore che un terzo terremoto colpisca. “Qui c’è uno stato continuo di panico tra donne, bambini e uomini”, racconta Sheyhar Khalil.

“La situazione dopo il terremoto è più che catastrofica”, aggiunge Malik. “La parola catastrofico non è sufficiente”.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi

(Foto: personale e civili conducono operazioni di ricerca e soccorso a Idlib, in Siria, dopo che un terremoto di magnitudo 7,7 e 7,6 ha colpito Kahramanmaras, in Turchia, il 7 febbraio 2023 [Muhammed Said/Anadolu Agency]).

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