‘The Palestine Papers’: 2° round. Profughi ed espulsione dei palestinesi da Israele

“The Palestine Papers” – al-Jazeera.

Espellere la popolazione araba?

Baqa al-Gharbiyah, Israele – E' un villaggio agricolo ad un'ora di automobile a nord est di Tel Aviv e sembra essere tagliato fuori dalla capitale commerciale di Israele. Nel villaggio c'è un alto livello di disoccupazione, al suo ingresso s'incontrano file di rifiuti, strade appena asfaltate ed è evidente il basso livello di servizi pubblici.

Identità e nazionalità. Secondo Avigdor Lieberman, leader dell'estrema destra, i residenti palestinesi in Israele potranno scegliere tra l'abbandonare la propria terra oppure restare cittadini israeliani dietro giuramento di una dichiarazione di “fedeltà” allo Stato ebraico in qualità di Stato democratico e genuinamente ebraico.

Di fronte a simile affronto, il piano di “transfer” di Lieberman non può godere di popolarità tra i residenti dei villaggi palestinesi come Baqa al-Gharbiyah; alla cittadinanza israeliana, la maggioranza di essi preferirebbe restare palestinese.

“Separati. Tutti i palestinesi da una parte e tutti gli israeliani dall'altra”. Nel dicembre 2008, l'allora ministro degli Esteri israeliano Livni incontra i negoziatori palestinesi proponendo loro l'annessione dei villaggi arabi al futuro Stato palestinese, alle medesime condizioni dell'idea di Lieberman.

Al fine di creare uno Stato di Israele puramente ebraico, l'intervento degli Stati Uniti in merito alle frontiere sembra favorire l'ambizioso progetto israeliano di “transfer” – o di pulizia etnica – dei palestinesi non ebrei cittadini di Israele.

Il linguaggio più diretto giunge il 21 giugno 2008, quando Ahmed Qurei' e Sa'ed 'Erekaat affermano che lo scambio di terra dovrebbe includere i villaggi arabi. Udi Dekel, consigliere dell'allora premier israeliano Omert, sembra essersi preparato quando esibisce loro una lista dei villaggi da annettere.

In quell'occasione, emerge un'altra questione. Esistono, infatti, realtà cittadine come Raja (Ghajar) che erano state divise in due “per errore”, come dirà Livni, con il risultato che coloro che vivevano su suolo libanese ora si ritrovano la cittadinanza israeliana. Come Ghajar , c'era anche Barka, Barta il Sharqiya, Barta al-Garbiyah, Betil, Beit Safafa…

In seguito a queste proposte israeliane, Ahmed Qurei' pare preoccupato: “Bisogna rivedere l'intera questione altrimenti mi si rivolteranno contro”, (i palestinesi all'interno di Israele, ndr).

Ma se l'idea di Livni era quella della separazione, “Tutti i palestinesi da una parte e tutti gli israeliani dall'altra”, cosa potrebbe aver voluto dire quando, due mesi prima, nel corso di un nuovo incontro con Qurei' ed 'Erekaat (dove tra l'altro la questione su Gerusalemme viene ancora posticipata), aveva chiesto di annettere ad Israele tutti quei villaggi palestinesi situati sulla parte israeliana delle linee del '67?

“Saranno annessi ad Israele, verrà loro dato un passaporto israeliano e pagheranno le tasse allo Stato di Israele”. Il linguaggio emerso da “The Palestine Papers” però non dà luogo a dubbi: il ministro degli Esteri israeliano continua a chiamarli palestinesi.

“Il transfer non si mette in discussione”. In un incontro con il ministro degli Esteri francese, nel novembre 2007, Livni torna ad usare un linguaggio che riconduce ancora alla sua volontà di trasferire fuori da Israele tutti i palestinesi.

“Lo Stato palestinese deve rispecchiare l'aspirazione del popolo palestinese – di tutti i palestinesi, ovunque essi si trovino, compresi gli arabi di Israele”.

Pochi anni dopo, Livni definirà lo Stato palestinese come “una soluzione nazionale per gli arabi di Israele”.

Opinioni lungimiranti. Nonostante le politiche razziste verso i palestinesi all'interno di Israele, nel dicembre 2010, le statistiche mostrano ancora come questi residenti si oppongano fermamente alla proposta di “transfer” di Lieberman e Livni.

Diritto al ritorno. Circa 6 milioni di palestinesi sono rifugiati e vivono sparsi nel mondo. In Libano sono oltre 400 mila e vivono privati dei diritti fondamentali; non possono comprare proprietà, né vendere e sono esclusi da oltre 70 categorie d'impiego. Dipendono interamente dall'assistenza delle Nazioni Unite.

Solo un “numero simbolico” farà ritorno. “The Palestine Papers” svelano che i negoziatori palestinesi sono disposti a cedere sul diritto al ritorno, concedendo un abbassamento del numero di coloro che sarebbero potuti ritornare in Palestina, e sembrano disponibili a mettere in discussione il loro diritto di voto sugli accordi.

Via e-mail, Ziyad Clot, consigliere legale per i negoziatori palestinesi sulla questione dei rifugiati scrive al presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud 'Abbas, consigliandogli di accettare il ritorno di un esiguo numero di rifugiati a poche settimane dalla conclusione di un accordo.
Olmert aveva proposto il ritorno di mille rifugiati ogni anno per non oltre 5 anni.

Il 15 gennaio 2010, 'Erekaat conferma l'attendibilità di queste trattative quando dirà al diplomatico Usa, David Hale, che i palestinesi sono disposti ad offrire agli israeliani il ritorno di un “numero simbolico” di rifugiati. In quell'occasione, lo stesso 'Erekaat darà la rassicurazione che ad essi (coloro che sarebbero rientrati in Palestina) non sarebbe stato riconosciuto alcun diritto di voto sull'accordo di pace con Israele.
“Non ho mai detto che la diaspora voterà e il referendum sarà valido per i palestinesi residenti nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Di certo non per coloro che vivono in Libano o in Giordania”, dirà 'Erekaat stando al verbale di un incontro con il ministro degli Esteri belga, Karel De Gucht, del 23 marzo 2007.

Dai documenti sembra che, quanto più i negoziatori palestinesi dimostrano di non avere scrupoli ad adottare simili idee e linguaggio, gli israeliani si sentono maggiormente legittimati a mettere in chiaro le proprie posizioni.

Il 27 gennaio 2008, Livni dirà: “Il vostro Stato sarà una risposta per tutti i palestinesi, compresi i profughi, mettendo così fine alla realizzazione dei diritti nazionali per tutti”. Quasi a voler liquidare il problema una volta per sempre.

Ancora, il 21 ottobre 2009, 'Erekaat dirà all'inviato Usa per la pace in Medio Oriente, George Mitchell: “I palestinesi devono sapere che faranno ritorno solo 5 milioni di profughi. Il numero sarà accordato sulla base di criteri precisi e in considerazione della capacità ad assorbirli dello  Stato (arabo, ndr) in cui si trovano”.

Con Obama, frustazioni. Settembre 2009 – un sorridente Obama presenzia alla stretta di mano tra il premier israeliano Netanyahu e il presidente palestinese Mahmoud 'Abbas, in un incontro trilaterale per la ripresa dei colloqui.

Nelle conversazioni che precedono quell'incontro, 'Erekaat esprime preoccupazione perché un Obama debole di fronte alla questione del congelamento delle colonie si tradurrebbe in un fallimento, minando la credibilità…di tutti.

Colloqui a “qualunque costo”. 'Abbas comunica ad Obama che senza un congelamento delle attività coloniali israeliane, nessuno sarebbe stato credibile e, nel giugno 2009, da uno scambio di email tra gli uffici dell'Unità di supporto dei negoziatori dell'Anp, emergono le preoccupazioni sulle intenzioni di Obama in materia.

“Rilancio e non riproposte”. Il metodo Obama. La capitolazione di Obama sulla questione delle colonie viene confermata da “The Palestine Papers”, nei quali si legge che il presidente statunitense, forse per una questione di principio, non avrebbe tollerato una ripresa di proposte del suo predecessore.

Quando 'Erekaat rivendica i contenuti di una conversazione con Rice (I, II) e Mitchell, (I, II) dai quali aveva ricevuto rassicurazioni sul fatto che uno scambio di territorio avrebbe avuto come uniche basi di partenza le frontiere del '67, nel settembre 2009, incassa un duro colpo perché Obama gli fa sapere di non considerare legalmente vincolanti quei colloqui (tra l'altro mai trascritti).

'Erekaat sembra nervoso e crede che Netanyahu sia riuscito a manovrare Obama, il quale continuava a pretendere ai negoziatori “nuove idee” sul processo di pace. Intanto, la poco chiara posizione di Obama sulle frontiere mostrava altre intenzioni.

Qurei' a Livni: “Voterò per te”. Tzipi Livni sostiene di essere la rappresentazione della moderazione all'interno del suo partito Kadima e pubblicamente biasima Netanyahu per la politica del breve termine adottata negli accordi con l'Anp.

Quanto emerge di più scoraggiante è incontrare, sulla scia di questa visione politica, un'Anp convinta sostenitrice di Kadima come partner di pace.

Questi ducumenti fanno emergere una Livni “partner di pace” oltranzista sulle questioni principali e al pari di Lieberman quando propone il transfer o pulizia etnica dei palestiensi, Livni rifiuta di riconoscere il diritto al ritorno e scarta qualunque possibilità di continuità territoriale del futuro stato palestinese.

Livni dichiarerà pubblicamente: “Sono stato ministro della Giustizia, sono avvocato, ma sono contro la legge, quella internazionale in particolare e la legge in generale.
In effetti, la sua idea di giustizia (tra occupante e occupato) emersa nei negoziati è sempre stata calzante.

D'altra parte lo dimostrano pure i vari mandati d'arresti nei suoi confronti (Gran Bretagna e Sudafrica) per i crimini di guerra commessi contro la Striscia di Gaza, questo nonostante abbiano poi ricevuto un freno, mettendo a rischio la validità della giurisdizione universale. 

“Non possiamo fare riferimento al passato”. Israele si rifiuta di ammettere le responsabilità sul problema dei profughi palestinesi.

“Livni: parola d'ordine “non lo accetteremo”. Preservare il carattere ebraico di Israele, trasferire i palestinesi all'esterno, pensare ad uno Stato palestinese smilitarizzato e non accettare la risoluzione Onu n° 194 con cui la comunità internazionale ammise il diritto dei profughi palestinesi espulsi da Israele nel '48 a ritornare nella propria terra.

Sulla continuità territoriale, Livni considera il corridoio di collegamento tra Striscia di Gaza e Cisgiordania al pari di una concessione (18 febbraio 2008) e pretende di rassicurare Qurei' che “i checkpoint non ne comprometteranno la viabilità”.

Di frequente, l'oltranzismo è accompagnato da un freddo sarcasmo quando ad esempio, rispondendo a Qurei' che le chiede cose mai chiederebbe ai giordani, Livni risponde: “Uno Stato palestinese”.

Ma non importa, nonostante questo l'Anp insiste: “L'alleato è Kadima” e dopo le elezioni governative in Israele, nel febbraio 2009,  quando emerge un Netanyahu forte di una coalizione di destra, qualcuno tra i negoziatori palestinesi cercherà l'intermediazione statunitense nella speranza che al posto di Ysrael Beituna (partito di Lieberman) possa esserci proprio Kadima.

L'approccio generalmente condiviso da Anp e Kadima è palese. Qurei' dimostra anche di provare una sorta di personale stima quando confida a Livni: “Voterò per te”.

L'espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi dalla Palestina nel '48 per mano delle forze terroristiche israeliane, poi confluite nell'esercito del neo-Stato di Israele, resta il nucleo del conflitto israelo- palestinese.

“The Palestine Papers” mostrano come i negoziatori israeliani tentino di sottrarsi dal riconoscere la propria responsabilità creando il più grande problema dei rifugiati nella storia.
Quando affrontano la questione, gli israeliani sostengono: “dimentica il passato”, mentre 6 milioni di palestinesi periscono nei campi profughi.

Il cosiddetto “refugees file” viene affrontato anzitutto ad Annapolis, dove gli israeliani trovano il sostengo di Usa e Francia, abili nel convertire la responsabilità israeliana in internazionale.

Il 24 marzo 2008, Livni fa sapere ai palestinesi che non pagherà compensazioni in nessun accordo di pace finale. “E' una quesitone internazionale – dice  -(…) al contrario sono gli israeliani a dover esser ricompensati per il terrore“.

In più occasioni, 'Erekaat cerca di convincerla a non confondere le cose e a non insistere.
Per riassumere il punto di convergenza al quale le parti arrivano in materia di compensazioni ai profughi, il 31 agosto 2008 'Abbas espone l'offerta verbale dell'allora premier Olmert.
Israele ammette le sofferenze – ma non la responsabilità  – sui rifugiati e, per converso, pretende che si parli di “sofferenza” israeliana (o ebraica);

Israele pretende che facciano rientro mille rifugiati per soli 5 anni. Questi verranno accolti solo su base “umanitaria” con dei programmi di “riunificazione familiare”; le compensazioni saranno fatte da Israele proprio sulla base delle sofferenze e non sul criterio di restituzione. Tuttavia, non è certo neanche se queste compensazioni riguarderanno 5 mila profughi che potranno tornare.

“Nessun riferimento al passato”, afferma Livni, mentre Qurei' risponde: “Neanche io voglio essere schiavo del passato ma vorrei costruire il futuro”.

In queste occasioni, appare un'Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp) intenzionata ad essere l'unico interlocutore con Israele sulla questione.

“Sono i Paesi arabi ad avere la responsabilità di tenerli in dei campi profughi – dice Livni il 21 giugno 2008 (…) – sono essi ad aver prodotto speranze nei rifugiati”.

In un incontro bilaterale con Rice, 'Erekaat incontra le medesime tesi di Livni. Il 16 luglio Rice afferma che la responsabilità (sui rifugiati) non è esclusivamente israeliana.

Qui il capo dei negoziatori capisce forse che la questione deve essere risolta tra le parti, senza alcun coinvolgimento Usa, ma intanto interviene anche la Francia. Il ministro degli Esteri Bernard Kouchner dirà che a pagare la compensazione ai rifugiai palestinesi sarà la comunità internazionale. In quest'occasione un negoziatore palestinese afferma: “In effetti, il problema fu creato dagli inglesi (…)”.

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