‘The Palestine Papers’: i negoziatori palestinesi e la ‘più grande Yerushalaim’

“The Palestine papers” – Al-JazeeraNel corso dei mesi, la Tv del Qatar, al-Jazeera, ha avuto libero accesso ad una considerevole mole di materiale, ampiamente documentato, relativo al conflitto israelo-palestinese.

Si tratta di circa 1.700 file, migliaia di pagine di corrispondenza diplomatica dalla quale emerge il nucleo del lavoro segreto condotto dalle parti.

I documenti si presentano nei seguenti formati: promemoria, e-mail, mappe, verbali di incontri privati e documenti di importanza strategica, anche sotto forma di rappresentazioni in power point e sono tutti datati dal 1999 al 2010.

Il voluminoso e dettagliato materiale fornisce un quadro senza precedenti dei negoziati israelo-palestinesi, nel quale sono coinvolti direttamente i vertici statunitensi, israeliani e dell'Autorità nazionale palestinese (Anp).

A partire da ieri, 23 gennaio, i documenti saranno resi noti da al-Jazeera fino a giorno 26.

In “The Palestine Papers” vengono svelati gradualmente:

– La volontà dell'Anp ad accettare la presenza delle illegali colonie a Gerusalemme est mentre si proporrà (sempre da parte palestinese) uno status “creativo” sull'Haram ash-Sharif o Monte del Tempio;

– Il compromesso accordato – ancora dall'Anp – sulla spinosa questione dei profughi palestinesi e del loro diritto al ritorno;

– I dettagli sulla cooperazione dell'Anp con Israele in materia di sicurezza;

– Le comunicazioni private i tra i negoziatori palestinesi e quelli americani a fine 2009, quando le Nazioni Unite erano impegnate a discutere sul rapporto Goldstone.

Data la natura confidenziale della documentazione, al-Jazeera si è riservato di non rivelarne le fonti né di dare spiegazioni su come ne sia venuta in possesso. Prima di deciderne la pubblicazione, la redazione si è accertata sull'autenticità degli stessi.

La redazione della Tv del Qatar ha voluto porre in evidenza la rilevanza di questa documentazione per giornalisti, studiosi, storici, politici e per l'intera opinione pubblica.

Sapendo delle polemiche che ne scaturiranno, la redazione ha fatto sapere di essere intenzionata a portare avanti la propria missione quale: informare e lanciare un dibattito – e non per scoraggiarlo – a disposizione del quale lascia al pubblico uno spazio per commentare.

“Questi documenti vogliono essere per i lettori una prova dei nostri principi fondamentali: la crescita del dibattito pubblico e di quello politico”, ha precisato la redazione di al-Jazeera nel divulgare la prima parte dei cosiddetti “The Palestine Papers”.

“The Palestine Papers”. Mentre nel 2010 veniva approvata l'estensione di Ramat Shlomo, insediamento israeliano a nord di Gerusalemme, con 1.600 nuove unità abitative, a livello internazionale, si disponeva ancora di poche prove perché si aprisse una polemica, tanto più che l'approvazione coincise esattamente con la visita nel Paese del vice presidente Usa, Joe Biden.

Ramat Shlomo non è propriamente una colonia nel cuore di Gerusalemme come le altre. Non è un quartiere parte integrante della città santa, ma si trova a 10 minuti di automobile dalla sede della Knesset (Parlamento israeliano), poco fuori dalla linea verde.

“The Palestine Papers” dimostreranno che Israele non aveva alcun dovere di bloccare i lavori edilizi a Ramat Shlomo perché nel 2008, i negoziatori palestinesi avevano accordato l'annessione di questa come di altre colonie allo Stato israeliano, attraverso una concessione storica per la quale non riceveranno nulla in cambio.

La più grande “Yerushalaim” nella storia ebraica. Queste concessioni sono il risultato di 15 incontri svoltisi tutti a Gerusalemme, alla presenza di Condoleezza Rice, allora segretario di Stato Usa, del ministro degli Esteri israeliano Tzipni Livni, Ahmed Qurei', ex premier dell'Anp e Sa'eb 'Erekaat, capo dei negoziatori palestinesi.

Nelle conversazioni si legge che, mentre Qurei' concede il proprio beneplacito all'annessione israeliana di tutti gli insediamenti (ad eccezione di Jabal Abu Ghnei/Har Homa), 'Erekaat ha premura di farne un'accurata lista: Colonia francese, Ramat Alon, Gilo, Talpiot e il quartiere ebraico nella città vecchia. Si tratta di agglomerati dove in totale vivono 120 mila coloni israeliani.

Dal linguaggio e dalla vaghezza delle posizioni assunti, i documenti dimostrano che, in questa sede, altre grandi colonie come Psigat Ze'ev e Neve Ya'akov (entrambe saranno presto collegate a Gerusalemme dal progetto ferroviario attualmente in costruzione), venogno riconosciute dai negoziatori palestinesi parte integrante d'Israele.

Ancora, ad ottobre 2009 risale un incontro dove 'Erekaat accorda ad Israele il controllo esclusivo sul quartiere ebraico della città vecchia e su parte di quello armeno.

Se, oggi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu dichiara in pubblico che costruire a Gerusalemme non comporta differenze pratiche rispetto alle costruzioni a Tel Aviv, negli incontri qui documentati, si sente Livni ribadire: “La città non sarà mai divisa in nessun accordo con i palestinesi”.

Man mano che vengono esaminati i documenti, emerge un'identità di vedute tra le parti come è in quegli inerenti all'incontro di luglio 2008 tra Udi Dekel, allora consigliere del premier Olmert, 'Erekaat e l'esperto mappe dell'Anp, Samih al-'Abed e quello di gennaio 2010, quando 'Erekaat dichiarerà al presidente Usa Barak Obama e al suo consigliere David Hale: “Abbiamo riconosciuto ad Israele la più grande Yerushalaim nella storia ebraica (…)”.

Qurei' e Livni sulle principali colonie. Per Qurei', Ma'ale Adumim, Ariel, Giv'at Ze'ev, Ephrat e Har Homa (quest'ultima è l'unica al di fuori del centro della Cisgiordania) non dovrebbero essere annesse ad Israele, ma nell'incontro con Livni emerge chiaramente l'impossibilità israeliana di rispondere alla richiesta palestinese e, soprattutto, viene documentata l'ammissione dei negoziatori dell'Anp di quest'impossibilità.

Infatti, come smantellare una delle maggiori aree industriali israeliane come la colonia di Ariel con 18 mila residenti o quella di Ma'ale Adumin (Gerusalemme est) con una comunità di 30 mila persone e in continua crescita?

Nella documentazione, queste due colonie sono quelle sul cui destino le parti discutono più a lungo: “I palestinesi non possono tollerarle, ma d'altra parte gli israeliani non possono smantellare”.

Un'opzione giunge da Qurei' nel giugno 2008 quando propone a Livni: “Ma'ale Adumin potrebbe restare nel futuro Stato sovrano palestinese e fungere da modello di coesistenza”.

Livni allora lo riporta alla realtà dei fatti sul campo: “Non è solo una questione di rilasciare passaporti ai coloni“.

Da lì a poco, quelle affermazioni costeranno minacce di morte a Qurei' da parte di gruppi influenti di coloni.

A riportare con “i piedi per terra” Qurei' ci penserà anche Rice, segretario di Stato Usa, quando precisa al rappresentante palestinese come nessun leader israeliano potrà mai cedere sulla questione delle grandi colonie come Ma'ale Adumin.

Per Rice, “nessuno Stato palestinese” se i palestinesi continueranno a puntare sulle grandi colonie e, a distanza di due anni e mezzo, la ragione sembra essere dalla parte di Rice: “Nessuno Stato palestinese e colonie israeliane in grande e rapida espansione su terra palestinese”.

Haram sh-Sharif. La soluzione secondo 'Erekaat. A tal proposito, “The Palestine Papers” mostrano che il capo dei negoziatori palestinesi raggiungerà con gli israeliani un compromesso che non ha precedenti storici avallando la divisione della città santa e posticipando una soluzione per i suoi luoghi santi.

L'Haram ash-Sharim, dove sorge il 3° luogo santo musulmano, la moschea di al-Aqsa, è quello che gli israeliani rivendicano essere il Monte del Tempio con riferimento al 2° Tempio distrutto in epoca romana. Di recente, qualcuno – tra coloni ed esponenti di govero israeliani – ha provato a sostenere la presenza di un 3° tempio della storia ebraica proprio tra le fondamenta dei luoghi santi musulmani a Gerusalemme.

La storia di quest'occupazione è ricca di episodi di cronaca degli scontri che hanno interessato l'Haram ash-Sharif; puntualmente si è trattato di istigazioni di questa natura, lanciate dai gruppi di coloni con il supporto del proprio governo che non fa mistero di voler creare le condizioni di crollo della moschea di al-Aqsa. A tal proposito, si ricordano i lavori di scavo che mettono seriamente a rischio la stabilità architettonica della moschea.

Una soluzione “creativa”. Così si esprime nei verbali dell'incontro, datato 21 ottobre, Sa'eb 'Erekaat rivolgendosi a George Mitchell, inviato Usa per la pace in Medio Oriente, al suo vice David Hale e a Mitchell Schwartz, allora consigliere legale del dipartimento di Stato Usa.

Per 'Erekaat, si trattava di ribadire quanto sostenuto negli incontri precedenti: i dirigenti palestinesi riconoscono la sovranità israeliana sul quartiere ebraico e su parte di quello armeno, posticipando una decisione per lo status finale della città.

In sostanza, 'Erekaat riproponeva il parametro dei negoziati a “tappe intervallate” (da incontri segreti, ndr) adottato dall'allora presidente Bill Clinton nel corso degli accordi di Oslo.

E' facile allora che a qualcuno tornino in mente i giorni in cui si decideva la sorte di Gerico, quando il presidente 'Arafat non riconobbe nessun compromesso sull'Haram ash-Sharif, pur avendo a che fare con medesima intransigenza e ambiguità della posizione israeliana.

La questione sull'Haram ash-Sharif viene abbandonata a se stessa ad Annapolis (novembre 2007 – dicembre 2008) quando la destra israeliana minacciava di lasciare il governo se la si fosse affrontata.

“Perché vi ostinate a voler affrontare il destino di Gerusalemme se non esiste alcuna comunanza di vedute tra noi”?, dirà qualcuno tra i negoziatori israeliani in un incontro risalente al 2 luglio 2008.

Stracciare Gerusalemme. Nell'incontro del 29 maggio 2008, in una riunione post-Annapolis, Dekel comunica ai negoziatori palestinesi che ora i parametri per i colloqui sono cambiati e critica il clima di terrore creato tra i palestinesi. “Impossibile tornare ad una situazione simile a quella di Camp David all'attuale stato dei fatti. Oggi il Medio Oriente è cambiato”, dice Dekel all'esperto mappe palestinese al-'Abid.

Il 30 giugno 2008 un silenzio cade tra i presenti quando Qurei' ribadisce a Livni che le frontiere da considerare nei negoziati restano quelle occupate da Israele nel 1967.

Nello stesso incontro, quando 'Erekaat propone agli israeliani che è venuto il momento di affrontare il destino di “al-Quds” dopo aver messo in chiaro quello di “Yerushalaim”, Livni afferma davanti a tutti che, “a causa di un problema appena sorto, non è più in grado di proseguire”.

Internazionalizzare la questione dell'Haram ash-Sharif. Da questo punto, documenti e cronaca dimostrano che il passo successivo prevede l'imposizione di un'internazionalizzazione.

A tal proposito, si ricorda il discorso del presidente Mahmoud 'Abbas (31 agosto 2008) quando Olmert chiede l'intervento di Usa, Egitto, Giordania, Arabia Saudita in un comitato al quale, tuttavia, non sarà mai riconosciuto alcun potere vincolante sulle parti. Nessun accordo insomma, potrà essere loro imposto dal neo-organo.

Il 2 dicembre 2008, a poche settimane dalla guerra israeliana contro la Striscia di Gaza, 'Erekaat confida a David Welch, assistente di Stato Usa, che “per i sauditi la questione rilevante sarebbe stata unicamente Gerusalemme e non i suoi quartieri…bensì solo la sorte dell'Haram ash-Sharif”.

Una “mappa su un fazzoletto”. Nessuna concessione israeliana, ma rinnovata aggressività è quanto emerge dagli ultimi documenti divulgati da al-Jazeera nel primo giorno di rivelazioni di “The Palestine Papers”.

Olmert comunica – a proprio modo – che il 10% della Cisgiordania (comprese le principali colonie) saranno annesse definitivamente ad Israele.

A metà 2008, Olmert incontra 'Abbas mostrandogli una mappa della quale al presidente palestinese non è permesso avere una copia tanto da costringerlo a doverla riprodurre, in grandi linee, in seduta stante su un foglio di fortuna.

La “proposta/imposta” mappa presentata da Olmert si traduceva in uno scambio territoriale che interessava l'area di Gerusalemme. In un altra rappresentazione grafica invece, compariva per intero lo Stato di Israele con Cisgiordania e Striscia di Gaza (colonie comprese).

Nel presunto scambio, nessun'area della Palestina risulta essere riconosciuta ai palestinesi, ma solo un passaggio di sicurezza (per il collegamento tra Cisgiordania e Striscia di Gaza) sotto controllo palestinese e sotto sovranità israeliana. Inoltre, nella mappa si poteva intravedere una sorta di strada tra Betlemme e Ramallah tuttavia deviata totalmente da Gerusalemme.

La questione sull'Haram ash-Sharif viene nuovamente rinviata e rilasciata al comitato internazionale proposto da Olmert.

Il 16 settembre 2008 emerge nuova confusione: la parte palestinese non dimostra né comunica alcun rifiuto davanti alle posizioni israeliane.

Al contrario, dall'interpretazione di “The Palestine Papers” emerge l'assenso dei negoziatori palestinesi alla continuazione della crescita degli insediamenti israeliani.

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