Time. Di Tony Karon
Un tempo, un’illusione popolare a Washington sosteneva che la giusta combinazione di incentivi e punizioni sarebbe riuscita ad allontanare il presidente siriano, Bashar al-Asad, dall’”Asse della resistenza” iraniano; ma nessuno avrebbe ipotizzato che l’anello debole nell’alleanza con i radicali iraniani sarebbero stati gli islamisti palestinesi di Hamas. Eppure, l’annuncio di martedì scorso riguardante il trasferimento ufficiale della leadership di Hamas da Damasco, e le sue dichiarazioni pubbliche in supporto ai ribelli siriani, suggeriscono una rottura politica drammatica con l’Iran – e con essa la fine di qualsiasi illusione, da parte di Teheran, di influenzare la nuova ondata rivoluzionaria araba.
Khaled Meshaal, il leader di Hamas, è al momento rifugiato nella capitale del Qatar, Doha, mentre il suo vice Moussa Abu Marzouk ha aperto un negozio al Cairo. Venerdì 24 febbraio i leader di Hamas hanno salutato pubblicamente, durante la preghiera di mezzogiorno, “l’eroico popolo siriano – come il leader di Hamas di Gaza Isma’il Haniyeh lo ha definito – che si batte per la libertà, la democrazia e le riforme”. L’Iran non si diverte, Hamas lo sa bene. Ma questa è al momento la preoccupazione minore.
La relazione di Hamas con al-Asad, l’alleato-chiave di Teheran, ha iniziato a deteriorarsi l’anno scorso, allorché il gruppo palestinese resistette alle pressioni ricevute al fine di inscenare delle manifestazioni pro-regime presso un campo di rifugiati in Sira. Marzouk dichiarò in quell’occasione ad Associated Press: “La nostra posizione sulla Siria non è favorevole alla posizione sulla sicurezza sostenuta dal regime, e rispettiamo la volontà popolare”. Marzouk riconobbe pure “la scarsa soddisfazione iraniana per la nostra posizione riguardo alla Siria: e quando loro non sono soddisfatti, non trattano con te alla vecchia maniera”.
La “vecchia maniera” sarebbe finanziaria. Mentre alle p.r. di Israele piace dipingere Hamas come un satellite di Teheran, un’occhiata alla storia dell’organizzazione, alla sua ideologia, alla sua base sociale e al suo DNA ci ricordano che l’ascesa relativamente recente di Hamas come principale alleato regionale dell’Iran è stato in realtà un matrimonio di convenienza per Hamas, nella situazione disperata in cui si trovava circa sei anni fa. Sebbene l’Iran abbia appoggiato il rifiuto di Hamas al processo di pace di Oslo nei primi anni ’90, la teocrazia sciita non è mai stata esattamente un’anima gemella ideologica del movimento islamista sunnita palestinese, fondato negli anni ’80 dalla Fratellanza musulmana egiziana. Ma quando l’amministrazione Bush cercò disperatamente di invertire i risultati delle elezioni amministrative palestinesi del 2006 – che indicarono in Hamas il partito al governo nell’Autorità palestinese -, esigendo che gli alleati arabi sostenessero il blocco di eventuali finanziamenti che sarebbero potuti arrivare nelle mani di Hamas, per tutta risposta l’Iran colse l’occasione e intensificò l’invio di contanti per colmare il vuoto. Ancora oggi Hamas dipende dalla generosità iraniana per pagare gli stipendi a Gaza, proprio come l’Autorità palestinese della Cisgiordania dipende dai finanziamenti elargiti dai donatori occidentali per pagare i suoi.
Teheran, fornendo a Hamas le risorse che gli hanno permesso di contrastare i tentativi di annientamento messi in atto da Stati Uniti e Israele, ha innalzato il lustro della propria leadership nel mondo arabo, evidenziando allo stesso tempo il comportamento supino degli altri leader arabi, pronti a eseguire gli ordini impartiti da Washington a spese dei palestinesi. Ma le prospettive e le scelte di Hamas sono state alterate dall’ondata rivoluzionaria, che ha spazzato via alcune autocrazie-chiave arabe e ha potenziato le organizzazioni della Fratellanza musulmana, che restano i parenti più prossimi di Hamas. L’opinione pubblica palestinese è compatta nel sostenere la ribellione siriana, nella quale un ruolo fondamentale è occupato dai Fratelli musulmani. Partiti di orientamento simile hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Egitto, e sembrano destinati a essere i beneficiari dell’onda democratica in tutto il mondo arabo.
Se la rivolta araba ha reso insensate le rivendicazioni iraniane di parlare a nome del mondo arabo messo a tacere, essa ha anche stroncato il progetto, risalente all’era Bush, di far alleare gli autocrati arabi moderati (compreso il presidente dell’Autorità palestinese Mahmud ‘Abbas) al fine di contrastare l’Iran e l’asse della resistenza ad esso facente capo. Gli autocrati moderati fondamentali, come l’egiziano Hosni Mubarak, sono stati spodestati dalla ribalta, e le monarchie del Golfo conducono una guerra fredda regionale in chiave anti-iraniana che, anziché dividere la regione in moderati e radicali, la divide in maniera settaria. Nessuno dei tradizionali alleati arabi degli Stati Uniti segue oramai le direttive di Washington, e i principali attori regionali emergenti, quali Turchia e Qatar, non condividono l’avversione israeliana e statunitense per Hamas (né condividono la strategia di Washington di isolare e di fare pressioni all’Iran, pur trovandosi in competizione politica con la Repubblica islamica).
Il Qatar ha già scavalcato i rottami dei tentativi israelo-statunitensi di distruggere Hamas, e si è posto come mediatore per un accordo di unità tra il movimento e il partito di ‘Abbas, Fatah, anche se una sua attuazione concreta è compromessa da profonde rivalità e divisioni interne ad Hamas. E nessuno dovrebbe sorprendersi troppo, se il Qatar intervenisse economicamente a turare la falla causata dal ritiro dei fondi iraniani.
Hamas non si sente più così isolato, nella regione, da non poter fare a meno del sostegno iraniano. I partiti della Fratellanza musulmana, ora rinforzati, sono troppo impegnati a governare società complesse e difficili, per volere una guerra con Israele – né sono intenzionati ad aiutare Israele a soffocare e a martellare Gaza come aveva fatto Mubarak. Per Hamas, unirsi alla corrente della Fratellanza, potrebbe significare accettarne le condizioni, cercando delle strategie più politiche che militari, per far avanzare la causa palestinese. Meshaal ha fatto una serie di dichiarazioni che alludono a un allontanamento dalle armi e a un avvicinamento alla “resistenza popolare”, dichiarazioni che però alimentano qualche conflitto tra le fila di Hamas.
Non aspettiamoci però che i leader israeliani gioiscano dell’allontanamento di Hamas da Damasco.
Il primo ministro Netanyahu ha utilizzato a lungo la tesi di Hamas procuratore dell’Iran: non ci si può aspettare che Israele accetti alcun compromesso territoriale nell’immediato futuro. Il fatto che Hamas si avvicini alla corrente islamica moderata rappresenta in minima parte una minaccia militare, per Israele (nonostante da qualche tempo sia stato in gran parte rispettato il “cessate il fuoco”); ciò potrebbe piuttosto rappresentare una sfida politica (sebbene, al momento, non si intraveda alcun segnale di visione strategica coerente, da parte di Hamas o di qualsiasi altra fazione palestinese).
Eppure, gli islamisti palestinesi immaginano la possibilità di prosperare politicamente, allineandosi alla nuova corrente araba. La strategia di Fatah di negoziazioni sotto auspici statunitensi, è arrivata da tempo al punto di rottura. Se si avvicina alle Nazioni unite, si ritrova bloccato da accordi di sicurezza con Israele che di fatto rafforzano lo status quo, e la sua capacità di fornire un buon governo inteso a contrastare la miseria di Gaza, viene meno con il prosciugarsi degli aiuti dei donatori occidentali. La rottura di Hamas con la Siria e l’Iran, e l’accoglienza dimostrata dal Cairo, da Doha e anche da ‘Amman, saranno sicuramente fonte di preoccupazioni per ‘Abbas. Di certo lo spostamento avvicinerà Hamas a una posizione più integrata, ma ciò potrebbe sfidare il tradizionale monopolio del potere rappresentato da Fatah.
Abbandonando abilmente la nave siriana, dopo le rivolte arabe Hamas potrebbe essere in grado di fare meglio di quanto abbia saputo fare Fatah, nonostante la breve crisi finanziaria che si trova ad attraversare. E questa prospettiva non è gradita da Israele e dagli Stati Uniti.
Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice