‘Timori’ d’Israele sulle nuove affermazioni di Obama.

Maan e agenzie. Il presidente Usa Barack Obama ha chiarito la settimana scorsa, durante i colloqui con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, di avere intenzione d'imporre un accordo di pace entro due anni.

Il giornale israeliano Haaretz, citando fonti politiche, ha infatti riportato oggi che le autorità israeliane vedono nelle richieste di Obama l'inizio di un drammatico cambiamento nelle politiche USA nei confronti d'Israele, con cui gli Stati Uniti mantengono forti legami.

Secondo la notizia, delle dieci richieste formulate dal presidente quattro riguardano nello specifico la questione di Gerusalemme, tra cui l'apertura di un ufficio per gli interessi dei palestinesi a Gerusalemme est, lo stop alla demolizione delle case arabe e un congelamento degli insediamenti che includa anche Ramat Shlomo, la cui costruzione ha scatenato la condanna del vice presidente Usa Joe Biden durante la sua visita qualche settimana fa.

Israele, da parte sua, non vorrebbe che Obama spingesse entrambe le parti a ingaggiare delle trattative indirette, rendendo inutili eventuali incontri diretti. Questo metodo permetterebbe così agli Usa d'imporre le proprie condizioni, secondo quanto affermerebbero gli israeliani.

Le stesse fonti accusano inoltre la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato di fare pressioni su Israele attraverso i propri alleati in Europa, in particolare la Germania.

Un altro timore israeliano sarebbe la possibilità che le nuove politiche Usa contraddicano le passate garanzie di fedeltà e incoraggino i palestinesi a rinforzare le proprie posizioni, che sono già contrarie a qualsiasi genere di negoziati non implichi un vero stop alle colonie.

Dall'altra parte, il presidente Mahmud Abbas ha appunto ribadito ai delegati della Lega araba che non ci saranno trattative senza una fine degli insediamenti in tutti i Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est.

Per salvare la soluzione dei due stati, ha sostenuto sabato Abbas, occorrono un'azione immediata per costringere Israele a concedere la formazione di uno stato palestinese sui territori occupati da Israele nel 1967, una moratoria delle attività coloniali e l'adesione ai termini della Road Map.

“Gerusalemme è il nostro fiore all'occhiello, oltre che la porta e la chiave per la pace – sono state le sue parole al vertice – Manteniamo salda la presa su ogni granello di terra e ogni sasso di Gerusalemme. Siamo decisi a difendere la capitale della Palestina.”

Il presidente ha inoltre invitato la comunità internazionale a non riconoscere azioni unilaterali a Gerusalemme, e ha chiesto di mobilitare il sostegno arabo e musulmano, in coordinazione con l'Organizzazione della Conferenza islamica, per fermare le “aggressioni israeliane” contro i siti religiosi musulmani e cristiani.

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